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Indennità di custodia: la Cassazione dice sì agli usi locali

Una società che fungeva da custode giudiziario per beni sequestrati ha contestato l’importo dell’indennità di custodia liquidata dal Tribunale. Il Tribunale aveva applicato un criterio di equità pura, non essendoci tariffe ministeriali specifiche. La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, stabilendo che la legge impone di fare riferimento agli usi locali, come le tariffe prefettizie, prima di poter ricorrere a criteri alternativi. L’uso dell’equità è stato ritenuto errato, in quanto il rinvio agli usi locali è prioritario.

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Pubblicato il 4 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

L’indennità di custodia: come si calcola il compenso del custode?

Determinare la corretta indennità di custodia per i beni sottoposti a sequestro giudiziario può trasformarsi in un complesso problema legale, specialmente quando mancano tariffe ministeriali specifiche. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui criteri da seguire, sottolineando la priorità degli usi locali rispetto al generico principio di equità. Questa decisione offre importanti chiarimenti per tutti gli operatori del settore che svolgono il delicato ruolo di custode giudiziario.

I Fatti di Causa

Una società di servizi, nominata custode giudiziario di trenta colli contenenti materiale elettronico (lampadine, faretti e componenti led), si è vista liquidare un compenso di circa 827 euro per un periodo di custodia di oltre quattro anni. Ritenendo l’importo inadeguato, la società ha presentato opposizione, sostenendo che il giudice avesse errato nel calcolare l’indennità basandosi su un criterio di mera equità. La richiesta della società era di applicare, in via analogica, le tabelle prefettizie in uso nel territorio, considerandole come un parametro oggettivo riconducibile agli usi locali.

La Decisione del Tribunale di merito

Il Tribunale, in prima istanza, aveva respinto l’opposizione. I giudici avevano riconosciuto che il decreto ministeriale di riferimento (d.m. 265/2006) non prevedeva tariffe specifiche per quel tipo di beni, limitandosi a regolamentare veicoli e natanti. Per tutte le altre categorie, la norma rimanda agli “usi locali”. Tuttavia, il Tribunale aveva concluso che la società opponente non aveva fornito prova sufficiente che le tariffe prefettizie fossero effettivamente applicate come consuetudine consolidata nel territorio. In assenza di tale prova, il giudice aveva ritenuto corretto applicare un criterio equitativo puro, basato sul proprio prudente apprezzamento, confermando la somma liquidata.

L’indennità di custodia e il principio affermato dalla Cassazione

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione del Tribunale, accogliendo il ricorso della società. Gli Ermellini hanno chiarito che, in materia di indennità di custodia, la legge stabilisce una gerarchia di criteri che non può essere derogata. L’articolo 5 del d.m. 265/2006, richiamato dal d.P.R. 115/2002, impone di fare riferimento in via residuale agli usi locali. Il ricorso all’equità, pertanto, non è una via alternativa percorribile se prima non si è esaurita la ricerca e l’applicazione degli usi locali. La Corte ha specificato che il rinvio della legge agli usi (la cosiddetta consuetudo secundum legem) conferisce a questi ultimi piena efficacia normativa.

Le Motivazioni

Il cuore della motivazione risiede nella corretta interpretazione del concetto di “usi locali” in questo specifico contesto. La Cassazione, in continuità con la propria giurisprudenza, ha spiegato che gli usi locali non devono necessariamente essere provati nella loro componente soggettiva, ovvero l’ opinio iuris ac necessitatis (la convinzione della loro obbligatorietà). Poiché la loro efficacia deriva direttamente dal rinvio operato dalla disciplina legale, è sufficiente accertarne l’esistenza come prassi consolidata. In questo quadro, anche le tariffe emanate da un’autorità pubblica come la Prefettura o l’Agenzia del Demanio possono costituire un valido riferimento quali usi locali, se abitualmente applicate nel territorio per compensare i custodi. Di conseguenza, il giudice di merito, una volta esclusa l’applicabilità diretta delle tariffe ministeriali, avrebbe dovuto verificare se le tariffe prefettizie indicate dalla società potessero essere qualificate come usi locali, prima di ricorrere al criterio dell’equità.

Le Conclusioni

La Corte ha cassato l’ordinanza impugnata e ha rinviato la causa al Tribunale, che dovrà riesaminare il caso attenendosi a questo principio. In pratica, il nuovo giudice dovrà accertare se nel territorio esistano prassi o tariffe consolidate, come quelle prefettizie, per la liquidazione del compenso dei custodi di beni simili a quelli in oggetto. Solo in caso di esito negativo di tale indagine si potranno esplorare criteri differenti. Questa decisione rafforza la certezza del diritto per i custodi giudiziari, ancorando la determinazione della loro indennità di custodia a parametri più oggettivi e verificabili rispetto al soggettivo apprezzamento equitativo del giudice.

Come si calcola l’indennità di custodia se mancano tariffe ministeriali specifiche?
Secondo la Corte di Cassazione, il calcolo deve basarsi prioritariamente sugli “usi locali”, ovvero le prassi e le tariffe consolidate applicate in un determinato territorio, come ad esempio quelle approvate dalla Prefettura o da altri enti pubblici.

Il giudice può liquidare l’indennità di custodia secondo equità?
No, il giudice non può ricorrere a un criterio di equità pura se la legge prevede un criterio specifico. In questo caso, la normativa impone di fare riferimento agli usi locali; il criterio equitativo può essere considerato solo in assenza di tali usi.

Le tariffe approvate dalla Prefettura possono essere considerate “usi locali”?
Sì. La Corte ha chiarito che le tariffe emanate e abitualmente applicate da un’autorità pubblica nel territorio, come la Prefettura, possono essere considerate a tutti gli effetti “usi locali” ai fini della determinazione dell’indennità di custodia, senza che sia necessario provare la convinzione della loro obbligatorietà giuridica da parte della collettività (opinio iuris).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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