Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19373 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 19373 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 15/07/2024
coordinamento fosse il necessario presupposto logico del riconoscimento dell’inquadramento in posizione DS;
aggiungeva poi che era pretesa nuova, formulata peraltro senza indicare quali superiori inquadramenti le sarebbe stato impedito di conseguire, quella in ordine al ristoro di un danneggiamento subito a causa dell’allegato declassamento, nell’attribuzione nel livello stipendiale, a far tempo dal 1983;
quanto all’inquadramento in categoria D ed al riconoscimento dell’indennità di coordinamento, esclusa la qualifica d i capo sala che ne comportava l’automatica attribuzione per effetto dell ‘art. 10 CCNL 20.9.2001, la Corte di merito sottolineava come l’attribuzione dipendesse dall’esistenza di un atto aziendale che riconoscesse lo svolgimento in concreto di funzioni di coordinamento al 31.8.2001;
tuttavia, non era utile -secondo la Corte distrettuale – il richiamo in quanto di essi non era stata fatta tempestiva produzione;
all’asserito conferimento di tali funzioni attestata al 9.10.1989, né ad altri ‘numerosi atti’ che avrebbero dovuto indurre in tal senso, non decisivo era ritenuto anche il richiamo ad una prova concorsuale al cui esito la ricorrente avrebbe conseguito la qualifica necessaria, perché il ricorso introduttivo aveva fatto invece riferimento ad un inquadramento presso la USL come effetto del trasferimento a domanda dalla Provincia regionale e non per concorso; per quanto riguardava il periodo successivo al 31.8.2001, lo svolgimento di funzioni di coordinamento avrebbe invece potuto essere dimostrato semmai in via testimoniale, ma la ricorrente -affermava la Corte d’Appello – era decaduta dalla relativa prova; infine, la Corte distrettuale riteneva non decisivo l’assunto della ricorrente in ordine al coordinamento, da parte sua, di quattro unità di personale, sul presupposto che si trattasse di apprezzamenti soggettivi, che ignoravano l’intento della norma collettiva invocata di evitare l’erogazione indistinta di un emolumento comunque destinato a gravare sulle risorse pubbliche; 2.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, cui la RAGIONE_SOCIALE ha opposto difese mediante controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria;
CONSIDERATO CHE
1.
il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 10 del CCNL 1999/2001 del comparto sanità e con esso si fa riferimento al fatto che inspiegabilmente, dal 1999, alla ricorrente, pur inquadrata come operatore professionale ‘coordinatore’, non era
stata più attribuita l’indennità di coordinamento, il che contrastava con il disposto della citata norma collettiva che ne imponeva il riconoscimento a coloro a cui, al 1° settembre 2001, le aziende avessero conferito «incarico di coordinamento» o anche -sottolineandosi la disgiuntiva – a coloro rispetto ai quali esse avessero riconosciuto, con atto formale lo svolgimento, a quella data, di attività di coordinamento;
in proposito la ricorrente richiamava la sua assegnazione per concorso al posto di operatore professionale ‘coordinatore’, alla delibera del 1985 con la quale in tale veste era stata inserita nei ruoli della RAGIONE_SOCIALE ed alla delibera del 1988 di inquadramento con tale qualifica;
peraltro -aggiunge il motivo -il possesso dei requisiti di cui al CCNL poteva essere facilmente desunto esaminando la certificazione del Direttore Generale del 19.5.2023 che attestava il possesso del requisito di coordinatore dal 1.1.1983 al 19.5.2003, così come l’effettivo svolgimento di mansioni di coordinamento era inequivocabilmente dimostrato dall’attestato del 28.7.2003, dal quale si evinceva che la ricorrente svolgeva funzioni di collaborazione, con anche coordinamento dei servizi;
il motivo richiama poi il giudicato intercorso in altra causa in cui ad una collega della ricorrente in posizioni analoga alla sua era stato riconosciuto quanto rivendicato ed infine afferma che erroneamente la Corte territoriale aveva disconosciuto che in base al « sistema di ‘transito automatico’ previsto dal suddetto CCNL 2002/2002 » chi era inquadrato in categoria D avrebbe dovuto essere inquadrato in categoria DS;
il secondo motivo denuncia l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.) che ravvisa nella mancata valutazione delle lettere di contestazione della ricorrente, del contratto integrativo aziendale, nonché della certificazione del 19.5.2023, dell’inquadramento operato nel DATA_NASCITA, del collegamento tra tali dati
e le certificazioni ed attestazioni del 2003, oltre che di un assenza di continuità mai eccepita dalla RAGIONE_SOCIALE e comunque destinata ad emergere dagli atti citati, senza contare che eventuali produzioni tardive avrebbero dovuto portare all’acquisizione dei corrispondenti documenti sulla base di disposto dell’art. 421, co. 2, c.p.c. e che comunque la RAGIONE_SOCIALE non aveva contestato né quei documenti, né le deduzioni che stavano alla base della pretesa azionata;
il terzo motivo denuncia, infine, la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., sostenendo che la motivazione della Corte territoriale sarebbe del tutto apodittica sia rispetto al mancato riconoscimento della posizione di coordinatore, sia rispetto al mancato riconoscimento, come effetto del conseguente automatismo, della categoria DS;
2.
i motivi, stante la loro connessione, possono essere disaminati congiuntamente, secondo l’ordine logico delle questioni da essi sollecitate;
3.
va intanto escluso che ricorra la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. denunciata con l’ultimo motivo di ricorso per cassazione;
la Corte territoriale -come si evince dallo storico di lite -ha argomentato sull’assenza di prova, per varie ragioni, dello svolgimento di funzioni di coordinamento al 31.8.2001 ed ha ritenuto che non vi fosse alcun automatismo tra riconoscimento della posizione di coordinamento e il passaggio alla categoria DS;
ciò esprime -a prescindere dalla correttezza in diritto del ragionamento, e si dirà che rispetto al passaggio a DS vanno fatte alcune precisazioni -una ben precisa linea argomentativa che esclude l’inesistenza della motivazione;
vale infatti il principio per cui il vizio di motivazione apparente della sentenza ricorre soltanto quando essa, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della
decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass. 1° marzo 2022, n. 6758), a propria volta radicato più a fondo nel principio per cui si realizza la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. ricorre solo quando vi sia «’mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico” .. “motivazione apparente”, … “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e … “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” » (Cass. S.U., 7 aprile 2014, n. 8053);
nessuno di tali requisiti ricorre nel caso di specie ed il motivo apoditticamente non considera l’esistenza della ratio decidendi quale poco sopra ricostruita, sicché esso è altresì incoerente rispetto al contenuto della pronuncia e come tale inammissibile;
4.
ciò posto e fornendo subito il preannunciato chiarimento, è indubbiamente errata l’affermazione per cui il riconoscimento del diritto all’indennità di coordinamento non avrebbe effetti sul riconoscimento dell’inquadramento in categoria DS;
infatti, il CCNL 19.4.2004 (art. 19 lett. b) prevede dal 1.9.2003 il passaggio in categoria DS di chi fosse stato riconosciuto titolare di effettive funzioni di coordinamento al 31.8.2001;
dunque, anche la decisione sull’attribuzione della categoria DS ruota attorno all’esistenza o meno del diritto all’indennità di coordinamento, nei termini di cui alla citata disposizione di CCNL, 5.
la disciplina degli artt. 7, 8 e 10 del CCNL 20.9.2001 era finalizzata a razionalizzare l’assetto degli inquadramenti tra le categorie C, D e DS, nonché il regime dell’attribuzione dell’indennità di coordinamento;
il riordino del sistema si è fondato quindi sulla valorizzazione della posizione di coloro che « espletino l’incarico di effettivo
coordinamento ai sensi dell’art. 10 alla data del 31 agosto 2001 » (art. 8, co. 4, del CCNL 20.9.2001) ed in tale prospettiva vanno intesi i requisiti di cui al citato art. 10, co. 3, che consentono l’attribuzione dell’indennità, in sede di prima applicazione, ai lavoratori sanitari « già appartenenti alla categoria D, ai quali a tale data le aziende abbiano conferito analogo incarico di coordinamento o, previa verifica, ne riconoscano con atto formale lo svolgimento al 31 agosto 2001 »;
vale a dire che non basta una qualsiasi indistinta posizione denominata come di coordinamento anteriore a quella data, ma è necessario che si tratti di incarico comportante un « effettivo coordinamento », concretamente in atto alla data dirimente;
ciò è quanto già ritenuto da questa RAGIONE_SOCIALE. con il principio massimato nel senso che « l’indennità di coordinamento di cui agli artt. 8 e 10 del c.c.n.l. Comparto Sanità del 2001 non può essere riconosciuta al personale già inquadrato nel livello D alla data di entrata in vigore della contrattazione collettiva, se non vi è stato l’effettivo svolgimento delle mansioni correlate a detto emolumento, costituendo l’attività di coordinamento una funzione autonoma e distinta dalle altre che connotano la categoria di appartenenza » ed ulteriormente confermato da Cass. 28 maggio 2019, n. 14507, con la precisazione (al punto 4.9. della motivazione) per cui « la funzione di coordinamento non è intrinseca al ruolo dei profili e quindi ha bisogno di essere dimostrata o accertata con atto formale »;
5.1
su tali consolidate premesse non ha rilievo l’insistenza della ricorrente sulla denominazione del suo inquadramento del passato con riferimento ad una veste di ‘coordinatore’, perché la disciplina collettiva richiede la dimostrazione dell’esercizio di ‘reali’ funzioni di coordinamento alla data dirimente;
sul punto decisivo, la Corte territoriale, oltre a sottolineare la novità della deduzione in ordine al verificarsi di un ‘declassamento’ della ricorrente « a far data dal 1983 », ha ritenuto, confermando sul punto la pronuncia del Tribunale, che il provvedimento del 1989 cui era stato fatto riferimento in ricorso e gli altri ‘numerosi atti’ fossero stata tardivamente prodotti;
in proposito, le censure addotte dalla ricorrente non sono utili al fine impugnatorio da essa perseguito;
5.2.1
infatti, quanto al richiamo all’art. 421 c.p.c., vale il consolidato principio per cui il ricorrente che denunci in cassazione il mancato esercizio dei poteri istruttori di ufficio nel giudizio di merito, deve riportare in ricorso non solo gli atti processuali dai quali emerge l’esistenza di una “pista probatoria” qualificata, ossia l’esistenza di fatti o mezzi di prova, idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività, ma deve anche « allegare …, di avere espressamente e specificamente richiesto tale intervento nel predetto giudizio » (Cass. 10 settembre 2019, n. 22628; Cass. 16 maggio 2002, n. 7119);
della prospettazione di una tale richiesta non vi è menzione nel ricorso per cassazione e tanto basta sul punto;
5.2.2
in ogni caso, anche la censura di omesso esame di fatti decisivi non è destinata in sé a miglior esito;
non si vede infatti quale portata probatoria decisiva potessero avere lettere di contestazione provenienti dalla parte che rivendicava il diritto, né poteva comunque avere portata risolutiva, in senso diverso da quanto stabilito dalla contrattazione nazionale, il contratto integrativo aziendale, che rispetto alla prima, deve essere coerente, sicché permane la necessità di prova dello svolgimento delle funzioni di coordinamento alla data dirimente;
quanto ai documenti da cui dovrebbe desumersi lo svolgimento a quella data delle funzioni di coordinamento, essi non sono riportati nel ricorso per cassazione con completezza utile a consentire di apprezzarne la decisività, in violazione già del principio di specificità di cui all’art. 366 c.p.c.;
nel ricorso si fa riferimento, rispetto ad essi, alla capacità della certificazione del 19.5.2003 di fornire la prova richiesta, ma al contempo si fa riferimento (pag. 12) ad inquadramenti ricevuti fino al 31.12.1997 e dal 1.1.1998, salvo poi affermare (pag. 13, sesto periodo) che la certificazione prodotta in causa « non era riferibile alla data esattamente al 31 agosto 2001 », per quanto dagli atti « traspariva una sicura continuità »;
si tratta di deduzioni perplesse ed incomplete e come tali certamente inidonee anch’esse a manifestare quella decisività dei fatti storici rivenienti dai documenti predetti che è necessaria per integrare i presupposti di applicazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c.;
ciò, in una con il difetto di specificità di cui si è detto ed anche a prescindere dal trattarsi o meno di documenti tempestivamente prodotti, ulteriormente esclude che ricorrano i presupposti di ammissibilità della censura;
5.2.3
del tutto generica -e contrastata da specifici richiami nel controricorso alle difese svolte fin dal primo grado anche rispetto all’indennità di coordinamento è infine l’affermazione in ordine ad una ‘non contestazione’ dei fatti decisivi e fondanti i diritti azionati;
5.3
inconferente è poi anche il richiamo a pronuncia in giudicato rispetto ad altro dipendente, che avrebbe riconosciuto i diritti qui rivendicati dalla RAGIONE_SOCIALE;
infatti, il giudicato, ai sensi dell’art. 29 09 c.c. ha effetto solo tra le parti del giudizio -non ricorrendo certo alcuna delle eccezionali
ragioni che giustificano un’efficacia riflessa di esso verso terzi – e dunque l’argomento è meramente suggestivo;
5.4
in definitiva i motivi, essendo nella sostanza impropriamente formulati come se la RAGIONE_SOCIALE potesse riesaminare nel merito i dati istruttori e dunque senza coerenza con la natura di giudizio a critica vincolata e di mera legittimità dell’impugnativa presso la Corte di Cassazione, sono nel loro complesso inammissibili ed in tal senso va definito il ricorso;
6.
venendo disattese le censure in ordine al diritto all’indennità di coordinamento, va da sé l’assenza degli elementi utili al riconoscimento del diritto all’inquadramento D S secondo le regole sopra richiamate al punto 4, delle quali manca il presupposto fondante;
7.
le spese seguono la soccombenza;
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 3.000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 19.3.2024.