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Indennità di coordinamento: serve la prova effettiva

Una lavoratrice del settore sanitario ha richiesto il riconoscimento della cosiddetta indennità di coordinamento e la conseguente riclassificazione in una categoria superiore. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, sottolineando che la sola qualifica formale di ‘coordinatore’ non è sufficiente. È indispensabile fornire una prova concreta e formale dell’effettivo svolgimento delle mansioni di coordinamento alla data specifica richiesta dal contratto collettivo nazionale, supportata da un atto formale del datore di lavoro.

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Pubblicato il 5 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità di Coordinamento: Non Basta il Nome, Serve la Prova Concreta

L’attribuzione di un’ indennità di coordinamento e la conseguente riclassificazione del personale nel comparto sanità non sono automatiche e non dipendono dalla sola qualifica posseduta. È necessario dimostrare, con atti formali e prove concrete, l’effettivo svolgimento delle mansioni di coordinamento alla data specifica indicata dalla contrattazione collettiva. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con l’ordinanza n. 19373 del 2024, dichiarando inammissibile il ricorso di una lavoratrice del settore.

I fatti di causa

Il caso riguarda una dipendente di un’Azienda Sanitaria Provinciale che aveva agito in giudizio per ottenere il riconoscimento del suo diritto all’indennità di coordinamento e, di conseguenza, l’inquadramento nella categoria superiore DS. La lavoratrice sosteneva di aver svolto per anni mansioni da ‘coordinatore’, come attestato da vari atti risalenti anche a decenni prima, e che tale ruolo le avrebbe dovuto garantire i benefici economici e contrattuali richiesti.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano però respinto le sue richieste. Secondo i giudici di merito, la lavoratrice non aveva fornito prove sufficienti a dimostrare un requisito fondamentale previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL): l’esistenza di un atto aziendale formale che riconoscesse lo svolgimento effettivo di funzioni di coordinamento alla data del 31 agosto 2001. La semplice qualifica o l’esercizio di fatto non erano stati ritenuti sufficienti.

La decisione sull’indennità di coordinamento della Corte di Cassazione

La lavoratrice ha quindi presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali: la violazione delle norme del CCNL, l’omesso esame di fatti decisivi (come alcune certificazioni e documenti aziendali) e una motivazione apparentemente illogica da parte della Corte d’Appello.

La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso nel suo complesso inammissibile, confermando la linea dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno chiarito che, per ottenere i benefici richiesti, non basta una generica posizione denominata ‘di coordinamento’ in un periodo anteriore alla data dirimente, ma è cruciale che si tratti di un incarico che comporti un «effettivo coordinamento», concretamente in atto a quella data e formalmente riconosciuto dall’azienda.

Le motivazioni: la necessità della prova formale

La ratio decidendi della Corte si fonda su un’interpretazione rigorosa della disciplina collettiva. Il CCNL Sanità del 2001 mirava a razionalizzare gli inquadramenti e l’attribuzione dell’indennità di coordinamento. Per farlo, ha stabilito un criterio preciso: il beneficio spetta ai lavoratori a cui, alla data del 31 agosto 2001, le aziende avessero conferito un analogo incarico o, previa verifica, ne avessero riconosciuto lo svolgimento con un atto formale.

La Corte ha specificato che la ‘funzione di coordinamento’ non è intrinseca al profilo professionale, ma è un’attività autonoma e distinta che necessita di essere ‘dimostrata o accertata con atto formale’. Di conseguenza, l’insistenza della ricorrente sulla sua storica qualifica di ‘coordinatore’ è stata giudicata irrilevante.

I giudici hanno inoltre smontato gli altri motivi di ricorso:

* Mancanza di prove decisive: I documenti prodotti dalla lavoratrice sono stati ritenuti non decisivi, in parte perché tardivi e in parte perché non specificamente riferibili alla situazione esistente alla data cruciale del 31 agosto 2001.
* Irrilevanza del giudicato esterno: La ricorrente aveva citato una sentenza favorevole ottenuta da una collega in una situazione simile. La Corte ha ricordato che, ai sensi dell’art. 2909 c.c., il giudicato ha effetto solo tra le parti di quello specifico processo e non può essere esteso ad altri soggetti.
* Motivazione non apparente: La motivazione della Corte d’Appello, sebbene contraria alle aspettative della ricorrente, è stata ritenuta logica e completa, in quanto spiegava chiaramente le ragioni della carenza di prove.

Essendo stata respinta la richiesta principale relativa all’indennità, è venuta meno anche la base per la pretesa di inquadramento nella categoria superiore DS, che ne costituiva una diretta conseguenza.

Le conclusioni: implicazioni pratiche per i lavoratori

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale nel diritto del lavoro pubblico contrattualizzato: per il riconoscimento di diritti economici e di carriera basati sulla contrattazione collettiva, la forma è sostanza. Non è sufficiente ‘fare’ un certo lavoro, ma è necessario che le mansioni svolte siano formalmente riconosciute dal datore di lavoro secondo le procedure e le tempistiche previste dai contratti.

Per i lavoratori, ciò significa che è essenziale assicurarsi di avere atti formali (delibere, ordini di servizio, contratti individuali) che attestino in modo inequivocabile le funzioni svolte, specialmente quando da queste derivano benefici economici come l’indennità di coordinamento. Affidarsi a qualifiche storiche o a prassi non formalizzate espone al rischio di vedersi negare i propri diritti in sede giudiziaria.

Per ottenere l’indennità di coordinamento nel comparto sanità è sufficiente avere la qualifica di ‘coordinatore’?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione ha stabilito che è necessaria la prova concreta e formale dell’effettivo svolgimento di funzioni di coordinamento alla data specifica prevista dal contratto collettivo (31 agosto 2001), riconosciuto con un atto formale dell’azienda.

Una sentenza favorevole ottenuta da un collega in una causa simile può essere usata per vincere la propria causa?
No. La Corte ha ribadito che una sentenza precedente (il cosiddetto ‘giudicato’) ha effetto solo tra le parti di quel specifico processo e non può essere estesa automaticamente ad altri dipendenti, anche se in situazioni analoghe.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Se il ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte di Cassazione non esamina il merito della questione. La decisione del grado precedente (in questo caso, della Corte d’Appello) diventa definitiva e il ricorrente viene condannato a pagare le spese legali del giudizio di cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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