LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Indennità di coordinamento nel TFR: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un ente pubblico che si rifiutava di includere l’indennità di coordinamento nel trattamento di fine servizio di un suo legale dipendente. L’ordinanza sottolinea che, se la contrattazione collettiva la qualifica come parte strutturale della retribuzione, tale indennità deve essere computata. Il ricorso è stato respinto anche per vizi formali nella sua stesura.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indennità di Coordinamento nel TFR: la Cassazione Conferma la Computabilità

L’inclusione di alcune voci retributive nel calcolo del Trattamento di Fine Servizio (TFS) è spesso fonte di contenzioso tra dipendenti pubblici e amministrazioni. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha affrontato il caso specifico della indennità di coordinamento, fornendo chiarimenti cruciali sulla sua computabilità e, al contempo, ribadendo importanti principi sulla corretta formulazione dei ricorsi.

I Fatti di Causa: Una Lunga Battaglia Legale

La vicenda riguarda un avvocato dipendente di un importante ente previdenziale pubblico. Per quasi un decennio, dal 1998 al 2007, il professionista aveva svolto funzioni di coordinamento presso diversi uffici legali, percependo in modo continuativo una specifica indennità di coordinamento in misura fissa.

Al momento della cessazione del rapporto, l’ente si era rifiutato di includere tale indennità nella base di calcolo del trattamento di quiescenza e della buonuscita. Il legale aveva quindi adito il Tribunale, che gli aveva dato ragione.

La controversia è proseguita in appello e poi in Cassazione una prima volta. In quella sede, la Suprema Corte aveva annullato la decisione d’appello, stabilendo un principio fondamentale: per decidere sulla computabilità dell’indennità, non era sufficiente constatarne la mera percezione per un lungo periodo, ma era necessaria una verifica puntuale della qualifica di inquadramento del dipendente e della struttura del suo trattamento stipendiale, alla luce delle norme di legge e della contrattazione collettiva.

Il Giudizio di Rinvio e il Secondo Ricorso

La causa è tornata quindi alla Corte d’appello, che, seguendo le indicazioni della Cassazione, ha analizzato i Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro (CCNL) applicabili. I giudici hanno concluso che l’indennità di coordinamento era effettivamente entrata a far parte della struttura retributiva del professionista, respingendo nuovamente l’appello dell’ente. Contro questa seconda decisione, l’ente ha proposto un nuovo ricorso in Cassazione, che ha dato origine all’ordinanza in esame.

La Decisione della Cassazione: Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso dell’ente inammissibile, chiudendo definitivamente la questione a favore del professionista. La decisione si fonda su due ordini di ragioni, una di natura formale e una di natura sostanziale.

Le Motivazioni

La Corte ha innanzitutto bacchettato l’ente per come è stato redatto il ricorso. I giudici hanno evidenziato come l’atto fosse formulato in modo confuso, con un unico motivo che mescolava diverse censure (violazione di norme processuali, di legge, di contratti collettivi) senza una chiara distinzione. Questa modalità, definita un “intreccio sovrapposto ed indiscernibile di pretese violazioni”, rende impossibile per la Corte individuare con precisione i vizi denunciati e svolgere il proprio ruolo di controllo di legittimità. Un ricorso per cassazione deve possedere i caratteri di tassatività e specificità, collegando in modo chiaro ogni censura a una specifica statuizione della sentenza impugnata.

Nel merito, la Corte ha spiegato che l’oggetto del giudizio era unicamente verificare se la Corte d’appello avesse rispettato il principio di diritto enunciato nella precedente sentenza di cassazione. E, secondo i giudici, lo aveva fatto. La Corte territoriale, infatti, aveva effettivamente proceduto alla verifica richiesta, analizzando le previsioni di legge e di contrattazione collettiva per stabilire la natura dell’indennità. L’ente, con il suo ricorso, tentava invece di riaprire una discussione sul merito dei fatti e sull’interpretazione dei contratti, un’operazione non consentita in sede di legittimità, specialmente dopo un giudizio di rinvio. La Corte d’appello non si è discostata dal principio di diritto, ma lo ha applicato ai fatti di causa, utilizzando le norme contrattuali come strumento per quella verifica.

Le Conclusioni

L’ordinanza offre due importanti spunti di riflessione. Il primo, di carattere sostanziale, è che un’indennità accessoria, come quella di coordinamento, entra a far parte della base di calcolo del trattamento di fine servizio quando la contrattazione collettiva la configura come un elemento fisso e continuativo legato alla qualifica e alle mansioni svolte, rendendola una componente strutturale della retribuzione. Il secondo, di carattere processuale, è un monito sull’importanza del rigore tecnico nella redazione degli atti giudiziari: la confusione e la mancanza di specificità nella formulazione dei motivi di ricorso possono condurre a una declaratoria di inammissibilità, precludendo l’esame del merito della controversia.

L’indennità di coordinamento va sempre inclusa nel calcolo del trattamento di fine servizio?
Non automaticamente. Secondo la Corte, deve essere inclusa se le norme di legge e la contrattazione collettiva la configurano come parte integrante e strutturale della retribuzione legata alla qualifica ricoperta, e non come un compenso occasionale. La mera percezione continuativa non è sufficiente da sola, ma è un elemento che va valutato alla luce delle fonti contrattuali.

Perché il ricorso dell’ente pubblico è stato dichiarato inammissibile?
Per due ragioni principali: un vizio di forma, in quanto il ricorso mescolava in modo confuso diverse censure senza articolarle chiaramente; e un vizio di sostanza, poiché la Corte d’appello, nel giudizio di rinvio, aveva correttamente applicato il principio di diritto indicato dalla Cassazione, e il ricorso dell’ente tentava di rimettere in discussione il merito della causa, eccedendo i limiti del giudizio di legittimità.

Cosa significa che la Corte d’appello ha rispettato il “vincolo” della precedente decisione della Cassazione?
Significa che, nel riesaminare il caso dopo l’annullamento della prima sentenza (giudizio di rinvio), la Corte d’appello si è attenuta alle istruzioni fornite dalla Cassazione. Invece di basare la sua decisione solo sulla lunga durata del pagamento dell’indennità, ha proceduto alla “verifica degli elementi in diritto”, analizzando la qualifica, il trattamento stipendiale e le previsioni della contrattazione collettiva, come richiesto dalla Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati