Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13504 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 13504 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25360/2019 R.G. proposto
da
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliato in INDIRIZZO INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME , elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME
Oggetto: RAGIONE_SOCIALE pubblico contrattualizzato – RAGIONE_SOCIALE – Indennità coordinamento legale – Trattamento fine servizio – Computabilità
R.G.N. 25360/2019
Ud. 05/04/2024 CC
NOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello RAGIONE_SOCIALE n. 56/2019 depositata il 21/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 05/04/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 56/2019, pubblicata il 21 febbraio 2019, la Cote d’appello di RAGIONE_SOCIALE, decidendo in sede di rinvio ex art. 384 c.p.c., ha respinto l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE n. 3935/2009, la quale, a propria volta, aveva accolto la domanda di NOME, volta a far accertare il diritto a vedersi computare l’indennità di coordinamento fra le voci retributive utili ai fini del calcolo del trattamento di quiescenza, con conseguente rideterminazione del trattamento di buonuscita.
L’odierno controricorrente, infatti, aveva adito il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, riferendo di essere dipendente RAGIONE_SOCIALE come avvocato appartenente al ruolo professionale legale e di essersi visto attribuire, a far tempo dall’8 aprile 1998 sino al 31 gennaio 2007, le funzioni di coordinamento, dapprima dell’Ufficio legale della RAGIONE_SOCIALE e poi anche dell’Ufficio legale della RAGIONE_SOCIALE, percependo l’indennità di coordinamento in misura fissa.
Aveva quindi dedotto la violazione RAGIONE_SOCIALE artt. 83 e 85 CCNL Area Dirigenti e Professionisti 1994/1998 nonché dell’art. 97 CCNL 2002/2005 per essersi l’RAGIONE_SOCIALE rifiutata di calcolare il suo trattamento di quiescenza tenendo conto anche di detta indennità, opponendo che
detto computo presupponeva il conferimento della funzione di coordinamento a seguito della selezione prevista dall’art. 72 CCNL.
La Corte d’appello ha rammentato che la propria precedente decisione di rigetto del gravame era stata cassata da questa Corte con sentenza n. 2970/2017, nella quale si era rilevato che la Corte territoriale aveva riconosciuto l’inclusione dell’indennità in virtù della sua mera percezione per un lungo periodo di tempo, laddove si sarebbe resa necessaria una verifica della qualifica di inquadramento del ricorrente e del trattamento stipendiale di tale qualifica, alla luce del disposto di cui agli artt. 52, D. Lgs. n. 165/2001 e 13, Legge n. 70/1975.
Svolta tale premessa, la Corte d’appello ha tuttavia richiamato le previsioni di contrattazione collettiva succedutesi nel tempo – a cominciare dall’art. 83 CCNL 11 ottobre 1996 ed ha quindi concluso che l’indennità di coordinamento era entrata a far par te della struttura della retribuzione del professionista, escludendo invece che tale computo potesse essere limitato alle ipotesi del conferimento dell’incarico all’esito della procedura selettiva.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ricorre nuovamente RAGIONE_SOCIALE.
Resiste con controricorso NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma RAGIONE_SOCIALE artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
Le parti hanno depositato memorie.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’unico, articolato, motivo di ricorso, viene dedotta, testualmente, la:
‘Violazione e falsa applicazione dell’art. 394 c.p.c. (art. 360 comma 1, n. 3 c.p.c.) per aver la Corte di RAGIONE_SOCIALE violato ed erroneamente applicato il principio di diritto statuito nella sentenza della Corte di Cassazione n. 2970/2017 che ha accolto il ricorso dell’RAGIONE_SOCIALE ed ha cassato con rinvio- così nuovamente incorrendo in:
violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 72, 83 e 85 del RAGIONE_SOCIALE del Personale con qualifica dirigenziale e relative specifiche tipologie professionali, dipendente delle Amministrazioni pubbliche ricomprese nel Comparti RAGIONE_SOCIALE non RAGIONE_SOCIALE, relativo al quadriennio 1994/1998 sottoscritto il giorno 11 ottobre 1996, dell’art. 108 RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, relativo al personale dell’area VI per il quadriennio normativo 2002 -2005 e biennio economico 2002-2003, sottoscritto il 1° agosto 2006 (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.);
violazione e falsa applicazione dell’art. 13 legge 20 marzo 1975 n. 70 (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) e violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 1362 e seguenti cod. civ. in relazione al punto 3 della deliberazione RAGIONE_SOCIALE n. 634/1998 (art. 360 n. 3 c.p. c.)’ .
L’Ente ricorrente impugna la decisione della Corte torinese, deducendo che la stessa avrebbe omesso di dare applicazione al principio di diritto enunciato da questa Corte nella propria precedente decisione.
2. Il ricorso è inammissibile.
Inammissibile, in primo luogo, nella forma, dal momento che lo stesso appare articolare inizialmente tre motivi, procedendo tuttavia alla loro illustrazione in modo unitario , risultando per l’effetto non evidenziate con chiarezza le statuizioni della sentenza impugnata nelle quali si riscontrerebbero i vizi denunciati, con la conseguenza che il ricorso, piuttosto che risultare diretto a censurare specifici vizi rinvenuti
in singoli passaggi decisionali della sentenza impugnata, presenta un intreccio sovrapposto ed indiscernibile di pretese violazioni.
Occorre allora rammentare che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito, con la conseguenza che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicché è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 12355 del 2020; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 11603 del 14/05/2018; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 6519 del 06/03/2019; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 25332 del 28/11/2014; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 19959 del 22/09/2014).
Il ricorrente, quindi, ha l’onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata, in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata, con la conseguenza che il requisito in esame non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia costituito da una unica generale argomentazione con la quale si critica la sentenza impugnata -ancorché preceduta da un elencazione di rubriche di ipotetici motivi – perché una tale modalità di formulazione dei motivi rendendo impossibile l’individuazione delle diverse critiche mosse a parti ben identificabili del giudizio espresso
nella sentenza impugnata, rivelandosi del tutto carente nella specificazione delle deficienze e RAGIONE_SOCIALE errori asseritamente individuabili nella decisione (Cass. 22 gennaio 2018, n. 1479; Cass. 18 maggio 2005, n. 10420).
Essendo invocata l’ipotesi della violazione o falsa applicazione di norma di legge, poi, si deve rammentare che il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, primo comma, n. 3), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4), c.p.c., non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 16700 del 05/08/2020; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 24298 del 29/11/2016).
Il ricorrente, quindi, a pena d’inammissibilità della censura, ha l’onere di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni – la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. Sez. U – Sentenza n. 23745 del 28/10/2020).
Inammissibile, in secondo luogo, in quanto oggetto del presente giudizio è unicamente la verifica del rispetto, da parte della Corte territoriale, del principio di diritto enunciato dalla decisione rescindente, secondo i principi reiteratamente affermati da questa Corte (da ultimo Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 5253 del 28/02/2024; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 3150 del 02/02/2024; Cass. Sez. 3 Ordinanza n. 17240 del 15/06/2023; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3955 del 19/02/2018).
Va premesso, allora, che nel caso in esame il giudice di rinvio era chiamato ad attenersi al principio di diritto secondo cui non era legittimo riconoscere la computabilità dell’indennità di coordinamento nella base di computo dell’indennità di buonuscita unicamente sulla base della sua corresponsione in misura fissa e continuativa e per un lungo periodo, trascurando di verificare la qualifica di inquadramento del ricorrente e il trattamento stipendiale correlato a tale qualifica.
Tale essendo il vincolo che era scaturito dalla precedente decisione di questa Corte, si deve constatare che la Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha effettivamente proceduto alla verifica RAGIONE_SOCIALE elementi in diritto indicati da questa Corte senza modificare i fatti accertati.
Da ciò consegue che le censure mosse nel ricorso risultano sostanzialmente esorbitanti rispetto a quello che costituisce l’ambito del presente giudizio, dovendosi rilevare, ulteriormente, che la Corte territoriale, mentre ha applicato previsioni di legge e di contrattazione collettiva che, pur riferite ai medesimi fatti, non erano state interpretate dalla sentenza rescindente, non ha tuttavia sindacato il principio di diritto enunciato dalla precedente decisione di questa Corte, né dal medesimo si è discostata.
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione in favore del
contro
ricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
4. Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte:
dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 5.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale in data 5 aprile 2024.