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Indennità di cessazione: il fisso va calcolato

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23043/2024, ha stabilito un principio fondamentale per l’indennità di cessazione rapporto di agenzia. La Corte ha chiarito che nel calcolo dell’indennità massima deve essere incluso anche il ‘fisso provvigionale’ o ‘minimo garantito’ percepito dall’agente, e non solo le provvigioni maturate sul fatturato. Questa decisione si basa su un’interpretazione ampia del concetto di ‘retribuzioni riscosse’, in linea con la normativa europea, volta a garantire un’equa compensazione all’agente per la perdita dei vantaggi derivanti dal contratto.

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Indennità di Cessazione Rapporto: La Cassazione Include il Fisso Provvigionale

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha introdotto un’importante novità in materia di calcolo dell’indennità di cessazione rapporto di agenzia. Con la pronuncia n. 23043 del 22 agosto 2024, i giudici hanno stabilito che anche il cosiddetto ‘fisso provvigionale’, o minimo garantito, deve essere conteggiato per determinare il tetto massimo dell’indennità spettante all’agente. Questa decisione amplia la base di calcolo e rafforza la tutela degli agenti di commercio.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla controversia tra un agente di commercio e la sua società preponente. A seguito della cessazione del rapporto, era sorta una disputa sull’ammontare dell’indennità dovuta. In particolare, la Corte d’Appello di Milano, riformando parzialmente la sentenza di primo grado, aveva ridotto l’importo dell’indennità, escludendo dal calcolo le somme percepite dall’agente a titolo di minimo garantito. Secondo i giudici di secondo grado, il calcolo doveva basarsi unicamente sulle provvigioni effettivamente maturate in relazione al fatturato generato, escludendo quindi il fisso che era stato contrattualmente pattuito.

L’agente, ritenendo la decisione lesiva dei propri diritti, ha presentato ricorso per cassazione, sostenendo la violazione dell’articolo 1751 del Codice Civile e dell’Accordo Economico Collettivo del settore commercio.

Come si calcola l’indennità di cessazione rapporto secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso dell’agente, cassando la sentenza della Corte d’Appello e rinviando la causa per un nuovo esame. Il cuore della decisione risiede nell’interpretazione del terzo comma dell’art. 1751 c.c., che fissa un tetto massimo per l’indennità, calcolato sulla media annuale delle ‘retribuzioni riscosse’ dall’agente negli ultimi cinque anni.

I giudici supremi hanno chiarito che il termine ‘retribuzioni riscosse’ ha una portata più ampia rispetto a quello di ‘provvigioni’. Esso comprende non solo le somme variabili legate al fatturato, ma anche tutte le altre somme percepite dall’agente in virtù del contratto, incluso il fisso provvigionale. Questo importo, infatti, rappresenta una parte della remunerazione dell’agente e contribuisce a definire i vantaggi economici che egli perde a causa della cessazione del rapporto.

L’importanza del criterio di equità

La Corte ha ribadito che la determinazione dell’indennità di cessazione rapporto non segue un calcolo puramente matematico, ma deve essere guidata da un criterio di equità. Il giudice deve tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, come l’acquisizione di nuovi clienti o lo sviluppo degli affari con quelli esistenti, e soprattutto delle provvigioni che l’agente perde.

La finalità della norma è quella di indennizzare l’agente per la perdita dei vantaggi futuri che il contratto gli avrebbe procurato. Di conseguenza, escludere dal calcolo una componente fissa e garantita della sua retribuzione, effettivamente percepita, sarebbe contrario sia alla lettera della legge sia alla sua ratio, oltre che alla direttiva europea di riferimento (86/653/CEE).

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha fondato la sua decisione su diverse argomentazioni. In primo luogo, ha sottolineato che l’art. 1751, comma 3, c.c. parla genericamente di ‘retribuzioni riscosse’ e non solo di ‘provvigioni’. Questa scelta terminologica non è casuale, ma riflette l’intenzione del legislatore, in linea con la direttiva europea, di adottare un concetto più ampio di remunerazione. In questo concetto rientrano anche i fissi provvigionali, i compensi per patti di non concorrenza e altre somme erogate in relazione al contratto.

In secondo luogo, la funzione dell’indennità è compensare l’agente per la perdita del contratto e dei vantaggi che ne derivano. È quindi logico e corretto fare riferimento a quanto l’agente ha effettivamente percepito durante il rapporto, poiché ciò rappresenta la misura più concreta dei vantaggi persi. Questo è particolarmente vero in caso di recesso anticipato, dove il fisso provvigionale può aver avuto la funzione di sostenere l’agente nella fase di avvio e penetrazione di un nuovo mercato.

Infine, la Corte ha evidenziato che la valutazione deve essere condotta ‘ex post’, basandosi sui dati concreti del rapporto, e non su una stima astratta. Pertanto, ciò che è stato effettivamente percepito a titolo di minimo contrattualmente stabilito deve essere considerato ai fini della determinazione del tetto massimo dell’indennità, fermo restando il limite di un’annualità media di retribuzioni e la valutazione equitativa complessiva.

Conclusioni

L’ordinanza in commento rappresenta un punto fermo a favore degli agenti di commercio. Stabilendo che il fisso provvigionale rientra nelle ‘retribuzioni riscosse’ utili al calcolo dell’indennità di cessazione rapporto, la Cassazione garantisce una tutela più completa e aderente alla realtà economica del contratto di agenzia. La decisione impone ai giudici di merito una valutazione più ampia e basata sull’effettività delle somme percepite, assicurando che l’indennità finale sia realmente equa e compensativa della perdita subita dall’agente. Le aziende preponenti dovranno quindi tenere conto di questo principio nel calcolare le indennità dovute, considerando l’intera struttura retributiva concordata contrattualmente.

Il ‘fisso provvigionale’ garantito all’agente deve essere incluso nel calcolo dell’indennità di cessazione del rapporto?
Sì, la Corte di Cassazione ha stabilito che il fisso provvigionale, in quanto parte delle ‘retribuzioni riscosse’, deve essere ricompreso nella base di calcolo per determinare il tetto massimo dell’indennità previsto dall’art. 1751 c.c.

Qual è il criterio principale che il giudice deve seguire per determinare l’importo dell’indennità?
Il criterio principale è quello dell’equità. Il giudice deve determinare un importo che sia equo tenendo conto di tutte le circostanze del caso, in particolare delle provvigioni che l’agente perde e dei vantaggi che il preponente continua a ricevere, senza superare il limite massimo calcolato sulla media delle retribuzioni.

Cosa si intende per ‘retribuzioni riscosse’ ai sensi dell’art. 1751 c.c.?
Per ‘retribuzioni riscosse’ si intende un concetto ampio che non si limita alle sole provvigioni maturate sul fatturato, ma include tutte le somme effettivamente percepite dall’agente in esecuzione del contratto, come fissi provvigionali, compensi per patti di non concorrenza e altre somme erogate in via sinallagmatica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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