Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27821 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27821 Anno 2024
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7852/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) , rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME , rappresentati e difesi dagli avvocati COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
avverso l’ ORDINANZA della CORTE D’APPELLO di CATANIA R.G. n. 2487/2017 depositata il 15.7.2019; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/09/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c., COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno adito la Corte d’Appello di AVV_NOTAIO esponendo che: erano proprietari di un’area sita in INDIRIZZO attraversata dalla galleria ferroviaria sotterranea facente parte della tratta ferroviaria urbana ‘AVV_NOTAIO -Ognina- AVV_NOTAIO C.le; la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera era avvenuta con delibera n. 1 del 4.1.2013; con decreto n. 13 del 4.4.2017 la RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi R.F.I.) aveva disposto l’asservimento delle aree di loro proprietà. I ricorrenti hanno chiesto la determinazione della giusta indennità di asservimento, avendo ritenuto insoddisfacente quella loro offerta a titolo provvisorio.
La Corte d’Appello di AVV_NOTAIO ha determinato l’indennità di asservimento in € 326.355, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Il giudice di secondo grado ha evidenziato che il parziale asservimento del terreno dei ricorrenti ha comportato la perdita assoluta di valore della porzione residua non asservita, atteso che, in conseguenza dell’asservimento, sono scattate le prescrizioni di cui agli artt. 49 e 60 DPR n. 753/80 -dettante ‘nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell’esercizio delle ferrovie e di altri mezzi di trasporto’ -che disciplinano le distanze delle proprietà laterali dalla sede ferroviaria. Proprio perché tali vincoli di distanza, che attengono, secondo la Corte territoriale, alla materia della polizia amministrativa e non a quella dell’urbanistica – con conseguente non pertinenza della questione sollevata dalla resistente in ordine alla natura di vincoli conformativi e non espropriativi ai fini del
valore attribuibile all’area hanno annullato del tutto il valore della residua porzione di terreno non asservita, l’indennità di asservimento è stata determinata in misura sostanzialmente equivalente al valore dell’intera area prima dell’asservimento.
Quanto alla stima dell’area sottoposta ad asservimento, la Corte d’ appello, nel condividere le conclusioni del C.T.U., ha effettuato tale valutazione in funzione della realizzabilità di un parcheggio interrato a due piani, confutando le contestazioni della parte resistente, secondo cui la realizzazione di tale parcheggio avrebbe determinato la demolizione di fabbricati che insistono sulla particella n. 76 sub 4 e 6 non di proprietà dei ricorrenti. In particolare, in ordine a tale profilo, la Corte di merito ha evidenziato che, a pag. 24 del proprio elaborato, il C.T.U. aveva considerato ai fini della realizzabilità del parcheggio soltanto l’intera area di proprietà dei resistenti, e non quindi aree di proprietà di terzi.
Avverso la predetta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione la R.F.I., affidandolo a quattro motivi.
COGNOME NOME e COGNOME NOME hanno resistito in giudizio con controricorso, hanno formulato istanza di trattazione urgente del ricorso ed hanno altresì depositato la memoria ex. art 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va preliminarmente disattesa l’eccezione sollevata dagli odierni controricorrenti di inammissibilità del ricorso per inesistenza e tardività della notifica.
I signori COGNOME hanno dedotto che la prima notifica del ricorso effettuata dalla ricorrente presso il loro domiciliatario, AVV_NOTAIO, era affetta da palese inesistenza, non considerando che quest’ultimo, dopo il giudizio celebrato presso la Corte d’Appello di AVV_NOTAIO, in data 29.7.2019, aveva trasferito il proprio studio professionale presso altro indirizzo nella città di AVV_NOTAIO,
mentre le altre tre notifiche del ricorso, rispettivamente effettuate presso lo studio professionale del domiciliatario sito in Lentini, presso la cancelleria della Corte d’Appello di AVV_NOTAIO ed alle parti personalmente, erano parimenti inesistenti o comunque tardive.
Tale eccezione deve essere respinta, atteso che i controricorrenti, costituendosi in giudizio, hanno sanato ex tunc ogni vizio della notifica del ricorso.
Sul punto, va, in primo luogo, evidenziato che la notifica effettuata presso il precedente indirizzo del domiciliatario dei controricorrenti era affetta da semplice nullità e non inesistenza (sul punto, vedi Cass. 12539/2014), avendo, invece, tale connotazione la notificazione eseguita in luogo non avente alcun collegamento con il destinatario della stessa notificazione (vedi Cass. n. 13970/2013; Cass. n. 12301/2014), oppure, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 14916/2016, la notifica è inesistente, in base ai principi di strumentalità delle forme degli atti processuali e del giusto processo, oltre che in caso di totale mancanza materiale dell’atto, nelle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attività priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformità dal modello legale nella categoria della nullità.
Accertato, quindi, che la notifica effettuata in AVV_NOTAIO presso il precedente indirizzo del procuratore domiciliatario dei controricorrenti era nulla, e non inesistente, la costituzione in giudizio dei medesimi ha determinato la sanatoria del vizio con efficacia ex tunc (Cass. n. 4935/2016) per raggiungimento dello scopo cui l’atto era diretto, a norma dell’art. 156 comma 3° cod. proc. civ. (vedi Cass. n. 1676/2015).
2. Con il primo motivo di ricorso è stata dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 39 comma 1° cod. proc. civ. nonché dell’art. 54 DPR n. 327/2001.
Espone la ricorrente che è pacifico tra le parti che i signori COGNOME avessero già introdotto innanzi alla Corte d’Appello di AVV_NOTAIO un giudizio, iscritto al RG n. 575/2015, volto alla determinazione della giusta indennità di asservimento, conclusosi con ordinanza del 29.6.2017 che aveva dichiarato l’inammissibilità della domanda a causa della mancanza del decreto di asservimento. Deduce la ricorrente che gli odierni controricorrenti, una volta ricevuta la notifica del decreto di asservimento, avevano proposto l’opposizione alla indennità di stima quando erano ancora pendenti i termini per impugnare la predetta ordinanza del 29.6.2017. Ne consegue, a parere della ricorrente, che si era determinata una situazione di litispendenza, a norma dell’art. 39 c.p.c.., e la Corte d’Appello avrebbe dovuto quindi disporre la cancellazione dal ruolo della causa successivamente proposta.
3. Il motivo è infondato.
Va osservato che se è pur vero che l’eccezione di litispendenza può essere sollevata in ogni stato e grado del giudizio, tuttavia è necessario che l’interessato dimostri la persistenza, fino all’udienza di discussione, delle condizioni per l’applicabilità dell’art. 39 c.p.c. (vedi Cass. n. 27920/2017).
Nel caso di specie, può ritenersi pacifico in causa, e comunque nessuna allegazione in senso contrario ha fatto la ricorrente, che, a seguito della declaratoria di inammissibilità del ricorso, pronunciata nel primo giudizio iscritto al RG 575/2015 innanzi alla Corte d’Appello per determinare l’indennità di asservimento, tale giudizio non è più proseguito, non essendo stata proposta impugnazione avverso la predetta declaratoria di inammissibilità.
Ne consegue che, in via assorbente, difetta il presupposto per poter pronunciare la litispendenza, ovvero la persistenza delle condizioni per l’applicabilità dell’art. 39 c.p.c..
In ogni caso, come evidenziato anche dalla Corte d’Appello, il precedente giudizio si era concluso con una pronuncia in rito,
idonea a costituire solo giudicato formale, con la conseguenza che essa aveva prodotto un effetto limitato al solo rapporto processuale nel cui ambito era stata emanata, mentre, non essendo idonea a produrre gli effetti del giudicato in senso sostanziale (Cass. 26377/2014), non precludeva la riproponibilità della domanda, ove fosse sopravvenuta in futuro, come nella specie, la condicio iuris rappresentata dal decreto di asservimento (tra le altre, anche Cass. 15383/2014 e Cass. 7303/2012).
Quindi nella fattispecie ora esaminata, non è affatto ipotizzabile un contrasto di giudicati nel senso invocato in ricorso e i privati hanno optato per la scelta processuale, legittima, di incardinare di nuovo il giudizio di merito, una volta sopravvenuto il decreto di asservimento.
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 9 commi 1 e 2, 32 comma 1, 37 commi 1,3 e 4, 44 DPR n. 327/2001.
La ricorrente contesta l’affermazione con cui la Corte d’ appello ha negato che i vincoli apposti sui terreni dei signori COGNOME avessero natura conformativa e deduce che il vincolo di cui è causa trae origine dal provvedimento n. 20 del 7.7.2003 emesso dal Sindaco della città di AVV_NOTAIO, è indicato nel certificato di destinazione urbanistica delle particelle 76 e 1401 del foglio 16 ed era ben noto alla controparte, la quale, nel 2012, aveva presentato una richiesta di autorizzazione ad eseguire i lavori in sopraelevazione proprio sull’immobile di cui è causa. Pertanto, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’ appello, le prescrizioni di cui agli artt. 49 e 60 DPR 753/1980 non erano scattate in conseguente del decreto di asservimento del 2017 (o alla dichiarazione di pubblica utilità), ma erano preesistenti. Ne consegue che, ad avviso della ricorrente, i vincoli di cui è causa erano conformativi e avevano natura urbanistica e non ablatoria, ciò desumendosi dalla loro menzione
nel certificato di destinazione delle particelle di proprietà dei COGNOME.
Il motivo è inammissibile.
La ricorrente, nell’affermare che i vincoli di cui è causa avessero natura conformativa, e non ablativa, deduce circostanze (come quella che i suddetti vincoli deriverebbero dal provvedimento n. 20/2003 del Sindaco AVV_NOTAIO) di cui non vi è traccia nell ‘ordinanza impugnata e che neppure allega di aver sottoposto all’esame della Corte d’ appello. Non vi è dubbio che la ricorrente svolga censure di merito, in quanto finalizzate a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti rispetto a quella operata dalla Corte di merito, come tale non consentita nel giudizio di legittimità, se non nei circoscritti limiti di cui all’art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c., come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 8053/2014.
Peraltro, la questione dei vincoli conformativi è stata trattata dalla Corte d’ appello (vedi pag. 4 della sentenza impugnata), ma solo con riferimento alla parte residua non asservita, ed è stata ritenuta non rilevante perché si trattava di ‘vincoli di distanza operanti in proiezione’, non rilevanti ai fini del valore dell’area , e rispetto a tale precisa argomentazione la ricorrente non si confronta compiutamente.
Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 81 e 100 cod. proc. civ., 2697 cod. civ..
Espone la ricorrente che i COGNOME non avevano prodotto i titoli di proprietà e non avevano provato che tutta la superficie scoperta della particella n. 76 fosse di loro proprietà. Deduce che lo stesso mappale 76 era costituito da n. 5 subalterni, due dei quali di proprietà di terze persone (sigg. ri COGNOME e COGNOME) e che l’indennità di asservimento era stata dalla stessa determinata in proporzione ai vani catastali di proprietà dei COGNOME. Sostiene quindi che sarebbe stato onere degli odierni controricorrenti
provare, ex art. 2697 cod. civ., quale fosse l’effettiva estensione della particella n. 76 di loro esclusiva proprietà, prova che, a suo dire, non era stata fornita.
7. Il motivo è inammissibile.
Va premesso che è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c. è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata, secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non, invece, laddove, come nella specie, oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. n.13395/2018; conf. Cass. n. 18092/2020).
Va, inoltre, osservato che la Corte d’Appello non ha affatto affermato che tutta la particella n. 76 fosse di proprietà degli odierni controricorrenti, né che la misura dell’indennità di asservimento fosse stata determinata partendo dal presupposto che tutta la particella n. 76 appartenesse ai COGNOME.
La Corte di merito, nel richiamare le deduzioni del C.T.U. in risposta alle osservazioni delle parti, ha soltanto precisato di aver considerato, ai fini della realizzabilità del parcheggio interrato -elemento di cui ha tenuto conto nella stima -, l’intera area di proprietà dei ricorrenti (non affermando che detta area coincidesse con tutta la particella n. 76), e non aree di proprietà di terzi.
Ne consegue che le censure della ricorrente si appalesano inconferenti.
Con il quarto motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., in relazione all’omesso esame di fatto controverso e decisivo per la decisione del giudizio oggetto di discussione tra le parti.
Espone la ricorrente che il C.T.U. ha ritenuto indispensabile, ai fini della realizzazione del parcheggio, la demolizione dei fabbricati
individuati catastalmente dalle particelle 76 sub 1-6, compresi, dunque, i subalterni 4 e 6 di proprietà di terzi estranei al presente giudizio. Tale circostanza di fatto, avente, a parere della ricorrente, carattere dirimente, è stata, tuttavia, ignorata dalla Corte d’Appello. In particolare, rientrando tutti subalterni della particella 76 in un unico corpo di fabbrica, era evidente che ai fini della realizzazione del parcheggio interrato, occorresse demolire non solo i subalterni di proprietà dei De NOME, ma anche quelli di proprietà di terzi.
Il motivo è inammissibile.
Va osservato preliminarmente che, come si è detto, la Corte d’Appello ha evidenziato che il C .T.U. aveva considerato, ai fini della realizzabilità del parcheggio, soltanto l’intera area di proprietà dei COGNOME, e non quindi aree di proprietà di terzi. Pertanto, la Corte d’ appello ha espressamente escluso che, nella realizzazione del parcheggio, potessero essere coinvolte aree estranee a quelle di proprietà dei COGNOME. Ne consegue che non ricorre affatto il vizio denunciato di omesso esame di fatto decisivo ex art. 360 comma 1° n. 5 c.p.c., poiché la Corte di merito non ha ignorato la circostanza dedotta dalla ricorrente, -ovvero che ai fini della realizzabilità del parcheggio si dovessero demolire tutti i subalterni della particella n. 76, compresi quelli (nn. 4 e 6) di proprietà di terzi -ma, come detto, ne ha espressamente escluso la sussistenza. La censura, sotto l’apparente denuncia del vizio suindicato, è in realtà impropriamente diretta a sollecitare il riesame del merito.
10. Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 12.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1° bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 18.9.2024