Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22345 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22345 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 32903 – 2019 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (Gruppo Ferrovie dello Stato) -c.f. 01585570581 / p.i.v.a. 01008081000 -in persona del l’institore, avvocato NOME COGNOME giusta procura per notar NOME COGNOME del 16.3.2012, rappresentata e difesa in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso dall’avvocato professor NOME COGNOME ed elettivamente domiciliata in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio de ll’avvocato NOME COGNOME.
RICORRENTE
contro
COGNOME NOME -c.f. CODICE_FISCALE –NOME COGNOME -c.f. CODICE_FISCALE -elettivamente domiciliati in Terme Vigliatore (ME) , alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che ha indicato il proprio indirizzo p.e.c. e che li rappresenta e difende in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al controricorso.
CONTRORICORRENTI
CONSORZIO RAGIONE_SOCIALE società consortile a r.l. (già ‘RAGIONE_SOCIALE) -p.i.v.a. P_IVA -in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso in virtù di procura speciale su foglio allegato in calce al controricorso dall’avvocato NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME.
CONTRORICORRENTE
e
CURATORE del fallimento della RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE in persona della dottoressa NOME COGNOME.
INTIMATO
avverso la sentenza n. 636/2019 della Corte d’Appello di Messina, udita la relazione nella camera di consiglio del 27 marzo 2025 del consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con atto in data 24.1.2002 NOME COGNOME e NOME COGNOME, proprietari di un fabbricato composto da un piano interrato e da tre piani fuori terra nel Comune di Terme Vigliatore, citavano l e ‘Ferrovie dello Stato’ e l’A.T.I. ‘Raggruppamento COGNOME‘ a comparire dinanzi al Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto.
Esponevano che nel corso dei lavori di raddoppio del binario della ferrovia Palermo – Messina le convenute avevano occupato e realizzato opere su porzione del terreno di loro proprietà, adiacente al loro manufatto.
Chiedevano condannarsi le controparti alla ‘ demolizione delle opere illegittimamente realizzate ‘ , in subordine, al risarcimento dei danni pur per il ‘ diminuito valore commerciale ‘ del fabbricato, oltre rivalutazione ed interessi (cfr. ricorso, pag. 4) .
Le ‘Ferrovie dello Stato’ e l’A.T.I. ‘Raggruppamento COGNOME‘ non s i costituivano.
In terveniva l’ ‘Ing. NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE subentrata al ‘Raggruppamento NOMECOGNOME quale concessionaria delle opere.
Instava, peraltro, per il rigetto dell’avversa domanda.
Espletata la c.t.u. all’uopo disposta, interveniva il ‘ Consorzio RAGIONE_SOCIALE, quale nuovo concessionario subentrato al l’ ‘Ing. NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Nel prosieguo del giudizio gli attori, con dichiarazione depositata il 4.7.2013, ‘ rinunciavano espressamente alle domande relative alla pretesa occupazione illegittima di porzione del fondo’ (così ricorso, pag. 5) .
Con sentenza n. 610/2017 il Tribunale dichiarava la cessazione della materia del contendere con riferimento alle domande concernenti l’occupazione illegittima del terreno, rigettava ogni ulteriore domanda, compensava le spese di lite e poneva a carico degli attori le spese di c.t.u. (cfr. ricorso, pag. 5) .
NOME COGNOME e NOME COGNOME proponevano appello.
Adducevano, peraltro, che il loro immobile ‘non oggetto dell’attività espropriativa’ ma ‘danneggiato dalla esecuzione dell’opera pubblica’ -era stato, ‘almeno nelle parti interessate dai danni lamentati, (…) legittimamente realizzato in forza di concessione edilizia e comunque completato quanto meno riguardo al piano cantinato e piano terra’ (c osì sentenza d’appello , pag. 8) .
Resisteva ‘RAGIONE_SOCIALE
Resisteva il ‘RAGIONE_SOCIALE soc ietà consortile a RAGIONE_SOCIALE (già ‘RAGIONE_SOCIALE‘) .
Non si costituiva e veniva dichiarata contumace l’ ‘Ing. NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE
Con sentenza n. 636/2019 la Corte d ‘Appello di Messina così statuiva:
accoglieva la domanda attorea nei confronti di ‘RAGIONE_SOCIALE e condannava ‘RAGIONE_SOCIALE a risarcire i danni cagionati agli appellanti, danni liquidati nella misura di euro 107.490,05, oltre interessi legali dalla sentenza al soddisfo;
-rigettava la domanda proposta dagli appellanti nei confronti del ‘RAGIONE_SOCIALE e della ‘Ing. NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE;
-condannava ‘RAGIONE_SOCIALE – a cui carico poneva le spese di c.t.u. – a rimborsare agli appellanti le spese del doppio grado;
compensava integralmente tra le altre parti le spese di lite.
Reputava, tra l’ altro, la Corte di Messina che aveva errato il Tribunale a ritene re illegittimo l’immobile degli attori, ‘per non averlo essi completato nei termini prescritti dalle norme urbanistiche’ (così sentenza d’appello, pag. 8) .
R eputava quindi sussistente il presupposto ai fini del riconoscimento dell’indennità ex art. 46 della legge n. 2359/1865.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso ‘ RAGIONE_SOCIALE ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni susseguente statuizione.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il ricorso con vittoria di spese.
Il ‘RAGIONE_SOCIALE soc ietà consortile a r.RAGIONE_SOCIALE. del pari ha depositato controricorso; ha chiesto accogliersi i primi tre motivi del ricorso di ‘R.F.I.’; in
subordine, in ipotesi di rigetto dei primi tre motivi di ricorso, ha chiesto dichiararsi inammissibile o rigettarsi il quarto motivo del ricorso di ‘RRAGIONE_SOCIALE
Il curatore del fallimento della ‘Ing. NOME Ferrari RAGIONE_SOCIALE non ha svolto difese.
RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria.
Del pari ha depositato memoria il ‘RAGIONE_SOCIALE‘.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione de ll’art. 2909 cod. civ. e degli artt. 324 e 342 cod. proc. civ.
Premette che il Tribunale aveva ritenuto che gli attori non avessero né atteso alla qualificazione della domanda proposta né assolto l’onere di specifica allegazione e di prova dei danni asseritamente sofferti (cfr. ricorso, pag. 8) .
Indi deduce che il primo dictum non era stato, in parte qua , oggetto di uno specifico motivo d’appello , sicché era passato in giudicato (cfr. ricorso, pag. 8) .
Deduce dunque che ha errato la Corte di Messina, allorché ha ritenuto -contrariamente a quanto assunto dal Tribunale -peraltro, che ‘la mancata qualificazione della domanda da parte degli attori doveva ritenersi del tutto irrilevante’ (così ricorso, pag. 10) .
Il primo motivo di ricorso va respinto.
La Corte d ‘appello ha, in parte qua , puntualizzato quanto segue.
P er un verso, quanto all’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 342 cod. proc. civ., ha precisato che dall’atto di gravame si desumevano agevolmente ‘i capi della sentenza oggetto di impugnazione, le ragioni della stessa e le modifiche richieste’ (c osì sentenza d’appello , pag. 6) .
Per altro verso, ha precisato, correttamente (cfr. Cass. sez. un. 21.2.2000, n. 27) , che ‘la qualificazione della domanda spetta al giudice che può ricondurla anche a norma diversa da quella invocata dall’attore’ (così sentenza d’appello, pag. 8) .
Per altro verso ancora, ha precisato che nell’iniziale citazione gli attori , poi appellanti, avevano compiutamente descritto ‘ tanto le immutazioni dello stato dei luoghi derivanti dalla esecuzione dei lavori per la realizzazione dell’opera pubblica quanto le limitazioni della fruibilità dell ‘ immobile secondo la destinazione d ‘ uso prevista ‘ (così sentenza d’appello, pag. 10) .
In ogni caso, il motivo in disamina, in spregio alle prefigurazioni di cui al n. 4 e a l n. 6 del 1° co. dell’art. 366 cod. proc. civ. , difetta innegabilmente di specificità e di ‘ autosufficienza ‘.
Invero, la ricorrente non ha provveduto a riprodurre nel ‘corpo’ del primo motivo di ricorso e, comunque, nel ricorso, in particolare nella premessa ‘ in fatto ‘ , né il testuale tenore dei motivi d’appello (onde consentire il riscontro della addotta mancata impugnazione del primo dictum in ordine all’assunta dal Tribunale – deficitaria specifica allegazione dei danni) né il testuale tenore dell’inziale atto di citazione (onde consentire il riscontro dell’asserita deficitaria specifica allegazione dei danni lamentati) .
Ovviamente, l’e sercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto a questo Giudice qualora sia denunciato – è il caso de quo – un ‘ error in procedendo ‘ , presuppone comunque l’ammissibilità del motivo di censura, onde il ricorrente non è dispensato dagli oneri correlati alle regole della specificità e dell’ ‘autosufficienza’ (cfr. Cass. (ord.) 29.9.2017, n. 22880; Cass. 20.9.2006, n. 20405; Cass. sez. un. 25.7.2019, n. 20181, ove si è esplicitato
che l’ ‘error in procedendo’ non è rilevabile ex officio e che questa Corte non può ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento dell’ ‘ error ‘ , essendo necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il ‘fatto processuale’ di cui richiede il riesame) .
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
Deduce, dapprima, che la Corte di Messina ha indebitamente fatto luogo ad una nuova valutazione delle prove acquisite in primo grado, così ampliando l’oggetto dell’impugnazione , benché gli appellanti ‘avessero limitato l’impugnazione alla parte della sentenza che statuiva sulla legittimità urbanistica dell’immobile’ (così ricorso, pag. 11) .
Deduce, poi, che la Corte di Messina ha apoditticamente condiviso le argomentazioni del c.t.u. (cfr. ricorso, pag. 11) .
Il secondo motivo di ricorso del pari va respinto.
In ordine al primo profilo di censura va debitamente premessa l’elaborazione di questa Corte.
I fatti addotti dalle parti a fondamento della domanda o della eccezione e le inerenti deduzioni probatorie, già sottoposti al giudice di primo grado, tornano, seppur nei limiti delle questioni oggetto degli specifici motivi di gravame ed altresì delle questioni che i motivi di gravame implicitamente involgono, a costituire oggetto di esame, valutazione ed accertamento da parte del giudice di appello, in quanto questi, a causa della impugnazione, torna a doversi pronunciare sulla domanda accolta o sulla eccezione respinta e quindi a dover esami-
nare fatti, allegazioni probatorie e ragioni giuridiche già dedotte in primo grado e rilevanti ai fini del giudizio sulla domanda o sull’eccezione (cfr. Cass. 19.6.1993, n. 6843) .
A i sensi dell’art. 342 cod. proc. civ., il giudizio di appello, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurat i, sicché non viola il principio del ‘ tantum devolutum quantum appellatum ‘ il giudice di secondo grado che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate, le quali, però, appaiano in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel ‘ thema decidendum ‘ del giudizio (cfr. Cass. sez. lav. 3.4.2017, n. 8604) .
18. In siffatta duplice prospettiva – in ordine al primo profilo di censura – è sufficiente il seguente rilievo.
In esito al riscontro e della tempestiva ultimazione -a giudizio della Corte d’appello -della parte più rilevante dell’immobile e della legittimità urbanistica -a giudizio della C orte d’appello – del medesimo manufatto, la stessa Corte di merito di certo non poteva esimersi dal vaglio delle risultanze istruttorie.
Cosicché ingiustificatamente la ricorrente adduce che la Corte distrettuale ha indebitamente fatto luogo ad una nuova valutazione, ‘nello specifico, della consulenza tecnica d’ufficio espletata’ (così ricorso, pag. 11) .
19. In ordine al secondo profilo di censura sono sufficienti i seguenti rilievi. La doglianza concernente l’apodittica condivisione degli esiti della c.t.u. è
senz’altro generica.
Q uando il giudice di merito accoglie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, senza la necessità di confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni della parte, che devono considerarsi implicitamente disattese (cfr. Cass. sez. lav. 9.3.2001, n. 3519. Cfr. altresì Cass. (ord.) 6.5.2021, n. 11917; Cass. (ord.) 16.11.2022, n. 33742).
20. Con il terzo motivo i l ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 46 legge n. 2359/1865, dell’art. 345 cod. proc. civ. e dell’art. 4 legge n. 10/1977.
Deduce che ha errato la Corte di Messina a reputare sussistenti i presupposti per il riconoscimento dell’indennità ex art. 46 della legge n. 2359/1865.
Deduce invero che gli originari attori non hanno dato prova né della legittimità urbanistica dell’immobile né dell’ultimazione dei lavori in data anteriore a quella di approvazione del progetto esecutivo dell’opera pubblica, viepiù che il Tribunale, a riscontro dell’inidoneità dell’originaria concessione edilizia a dar ragione della legittimità urbanistica del manufatto, aveva evidenziato che, a fronte del termine triennale per l’ultimazione dei lavori, alla data 2006 dell’accertamento dell’officiato c onsulente l’intero cespite ancora versava allo stato rustico , sicché ‘la concessione del 1990 fosse da ritenere decaduta per il mero decorso del tempo’ (così ricorso, pag. 14) .
Deduce al contempo che il carattere abusivo dell’immobile non poteva essere superato dalla certificazione di agibilità rilasciata in data 28.5.2015 e relativa al solo piano terra (cfr. ricorso, pag. 17) ; e ciò tanto più che alla data di inizio dei lavori di costruzione dell’immobile era già decorso il termine ex art. 4 della legge n. 10/1977 di durata della concessione (cfr. ricorso, pag. 18) .
Deduce d’ altro canto che ha errato la Corte di Messina ad ammettere in violazione del divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ. la produzione in appello del certificato -formato nel corso del giudizio di primo grado – di agibilità (cfr. ricorso, pag. 17) .
Il terzo motivo di ricorso è, nei termini che seguono, fondato e meritevole di accoglimento.
La Corte di Messina ha, in parte qua , assunto quanto segue (cfr. sentenza d’appello, pag. 9) .
Ovvero che il piano interrato e il piano terra dell’immobile degli attori erano già stati completati ‘non solo al momento dell’esecuzione della c.t.u., ma anche al momento dell’inizio dei lavori dell’opera pubblica’ .
Ovvero, in ordine alla mancata tempestiva ultimazione dell’immobile, per nulla oggetto di avversa eccezione, che ben avrebbe potuto la P.A., cui sarebbe spettata la valutazione della ‘sussistenza di una sorta di abusività sopravvenuta’, accordare una proroga .
Ovvero che la piena legittimità urbanistica dell’immobile rinveniva riscontro nella concessione edilizia rilasciata nell’anno 1990 e nel certificato di agibilità dei locali rilasciato in data 28.5.2015 e prodotto con l’atto di appello .
Ovvero che la tardiva produzione del certificato non era stata per nulla oggetto di contestazione.
Questa Corte spiega in ordine all’i ndennità di asservimento, prevista dall ‘ art. 46 (il cui 1° co. così recita: ‘è dovuta una indennità ai proprietari dei fondi, i quali dall’esecuzione dell’opera di pubblica utilità vengano gravati di servitù, o vengano a soffrire un danno permanente derivante dalla perdita o dalla
diminuzione di un diritto’) della legge 25.6.1865, n. 2359 , ed ora dall’art. 44 del d.P.R. n. 327/2001, quanto segue.
In tema di indennità di asservimento -ex art. 46 cit. – va fornita la prova della data di ultimazione dei lavori relativi all ‘ immobile rispetto a quella di approvazione del progetto esecutivo dell ‘ opera pubblica, a partire dalla quale l ‘ interessato ha piena conoscenza della stessa, atteso che tale data non solo rileva ai fini della sanatoria dei fabbricati costruiti senza licenza e in contrasto con vincoli che comportano l ‘ inedificabilità assoluta, ma costituisce elemento determinante anche ai fini del riconoscimento dell ‘ indennizzo per l ‘ asservimento, in forza del principio generale che nessuno può trarre vantaggio dall ‘ attività illecita posta in essere (Cass. 12.9.2014, n. 19305 (Rv. 632491-01)) .
Il danno permanente, indennizzabile ai sensi dell ‘ art. 46 cit., può essere invocato dal proprietario che abbia iniziato l ‘ opera prima dell ‘ approvazione del progetto d ell’ opera pubblica, a condizione, tuttavia, che la costruzione sia considerata, ancorché ‘ a posteriori ‘ , legittima dalla P.A. con il rilascio di permesso a costruire in sanatoria, sicché l ‘ indennizzo non compete per le costruzioni abusive o non ancora sanate – salvo si lamenti un danno generico alla proprietà del fondo inedificato – o per quelle realizzate dopo l ‘ approvazione del progetto d ell’ opera pubblica, dalla cui realizzazione il proprietario abbia ragione di temere la compressione delle proprie facoltà dominicali (Cass. 12.9.2014, n. 19305 (Rv. 632492-01)) .
Ebbene, la Corte messinese non si è appieno conformata alle surriferite indicazioni.
Propriamente, la Corte d ‘appello non ha dato atto che i lavori di edificazione del piano interrato e del piano terra del compendio immobiliare de quo
agitur ( ‘a tre elevazioni fuori terra e piano cantinato’: cfr. sentenza d’appello, pag. 4) fossero stati ultimati entro la data di approvazione del progetto esecutivo dell ‘ opera pubblica.
Al contempo, la Corte di merito non ha specificamente riscontrato che i lavori di edificazione del piano interrato e del piano terra, sulla scorta della concessione edilizia rilasciata nel 1990, fossero stati ultimati entro termine triennale di cui all’art. 4 della legge n. 10/1977 e si è limitata a prefigurare la possibilità di concessione di una proroga (art. 4 legge n. 10/1977: ‘qualora i lavori non siano ultimati nel termine stabilito, il concessionario deve presentare istanza diretta ad ottenere una nuova concessione; in tal caso la nuova concessione concerne la parte non ultimata’) .
In ogni caso, è da escludere che i lavori di edificazione degli ulteriori due livelli fuori terra siano stati ultimati entro la data di approvazione del progetto esecutivo dell ‘ opera pubblica. Del resto, la Corte distrettuale ha riferito che gli appellanti avevano addotto -lo si è anticipato che l’immobile, ‘almeno nelle parti interessate dai danni lamentati, sarebbe stato legittimamente realizzato in forza di concessione edilizia e comunque completato quanto meno riguardo al piano cantinato e piano terra’ (c osì sentenza d’appello, pag. 8) .
26. In verità, nel quadro dell’insegnamento di questa Corte dapprima menzionato, riflesso dalla massima Rv. 632492-01 e dalla Corte territoriale espressamente richiamato (è sufficiente che l’opera privata iniziata prima dell’approvazione del progetto dell’opera pubblica sia considerata, ancorché ‘a posteriori’, legittima dalla P.A. con il rilascio di permesso a costruire in sanatoria) , la Corte siciliana ha riscontrato la legittimità edilizia del piano interrato e del piano terra oltre che sulla scorta della concessione edilizia del 1990 sulla scorta altresì della
-si dirà, tardiva ed inammissibile – produzione in appello del certificato di agibilità in data 28.5.2015.
Ebbene, si ammetta pure che il rilascio del certificato di agibilità valga a far presumere la legittimità edilizia (cfr. Cass. 12.10.2012, n. 17498, secondo cui il rilascio del certificato di abitabilità, già nel regime dell ‘ art. 221 del Testo unico delle leggi sanitarie e dell ‘ art. 4 del d.P.R. n. 425 del 1994, ed ora nel regime degli artt. 24 e 25 del d.P.R. n. 380 del 2001, è condizionato non soltanto alla salubrità degli ambienti, ma anche alla conformità edilizia dell ‘ opera, sicché, attesa la presunzione ‘ iuris tantum ‘ di legittimità degli atti amministrativi, col rilascio del permesso di abitabilità devono intendersi verificate, salvo prova contraria, entrambe le suddette condizioni, senza necessità – per il contraente obbligato a far constare la loro esistenza – di produrre un certificato ulteriore) .
Nondimeno, la presunzione di legittimità edilizia può essere riferita esclusivamente al piano interrato e al piano terra -destinati ad uso commerciale – del manufatto degli attori/appellanti, giacché la stessa Corte distrettuale ha dato atto -si ribadisce – che gli appellanti avevano addotto che l’immobile era stato completato solo e limitatamente ai primi due livelli e non anche con riferimento agli ulteriori due (cfr. sentenza d’appello, pag. 8) .
Si badi che la circostanza non è irrilevante.
Difatti, in aderenza agli esiti della c.t.u., la Corte territoriale ha determinato la consistenza dei danni alla stregua del rilievo per cui lo stato dei luoghi prodottosi a seguito dell’esecuzione dei lavori di realizzazione dell’opera pubblica fosse sia ‘impeditivo della utilizzazione commerciale, già prevista in concessione urbanistica, del piano interrato e del piano terra con conseguente grave perdita di valore di mercato degli stessi’, sia incidente sul ‘primo e secondo piano
subiscono comunque, anche se in misura decisamente minore, una perdita di pregio e quindi di valore’ (così sentenza d’appello, pag. 10) .
In questi termini appieno si configura l’ ‘ error in iudicando ‘, sub specie di falsa applicazione dell’art. 46 della legge n. 2359/1865, in primo luogo denunciato con il mezzo in disamina, quanto meno in rapporto agli ulteriori due livelli fuori terra, in relazione ai quali, si ribadisce, la Corte di merito ha inoltre, espressamente, correlato la quantificazione dei danni.
Sussiste comunque l’ ‘ error in procedendo ‘, sub specie di falsa applicazione dell’art. 345 cod. proc. civ., in secondo luogo denunciato con il mezzo in disamina in relazione all’allegazione in appello del certificato di agibilità .
Questa Corte spiega che la nuova formulazione dell’art. 345, 3° co., cod. proc. civ., quale risulta dalla novella di cui al d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella legge n. 134 del 2012 (applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012: cfr. Cass. (ord.) 28.7.2021, n. 21606) , pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova in appello, senza che assuma rilevanza l’ ‘indispensabilità’ degli stessi, e ferma per la parte la possibilità di dimostrare di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (cfr. Cass. 9.11.2017, n. 26522) .
30. Su tale scorta inevitabile è il seguente duplice rilievo.
In primo luogo, il novello art. 345, 3° co., cod. proc. civ. si applica nella specie, siccome la sentenza di primo grado è stata pronunciata nel 2017 (cfr. sentenza d’appello, pag. 5) .
In secondo luogo, non è bastevole il difetto di contestazione a legittimare la tardiva produzione documentale in appello, siccome imprescindibilmente oc-
corre che la parte dia dimostrazione di non aver potuto produrre il documento nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile (cfr. Cass. (ord.) 12.6.2024, n. 16289; Cass. 9.6.2000, n. 7878, secondo cui il limite dello ‘ ius novorum ‘ in appello (pur nel vigore della disciplina prevista dall ‘ art. 345 cod. proc. civ. nel testo anteriore alla riforma) è destinato a soddisfare esigenze di ordine pubblico, perciò non disponibili, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile in appello l ‘ allegazione di un fatto nuovo, anche se la controparte taccia sul punto, ovvero esplicitamente vi consenta) .
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 5, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 11 legge n. 217/1981 e dell’art. 24 d.l. n. 2150/1929, convertito nella legge n. 1752/1930 e successive modificazioni.
Deduce che ha errato la Corte di Messina a disconoscere la legittimazione passiva esclusiva del ‘RAGIONE_SOCIALE‘ (cfr. ricorso, pag. 19) .
Deduce che, nel quadro della convenzione n. 90/1984 in cui il ‘RAGIONE_SOCIALE è subentrato in veste di concessionario, la natura traslativa della concessione comporta che il concessionario si sostituisce all’amministrazione concedente ‘nello svolgimento dell’attività organizzativa e direttiva necessaria per realizzare l’opera pubblica, pur restando sottoposto ai poteri (…) d el concedente’ (così ricorso, pag. 21) .
Il quarto motivo di ricorso parimenti va respinto.
La Corte messinese ha ritenuto che ‘RAGIONE_SOCIALE, proprietaria dell’opera, fosse da reputare in via esclusiva legittimata sostanziale passiva (cfr. sentenza d’appello, pagg. 11 – 12) .
34. Inevitabile è il rinvio all’ insegnamento di questa Corte secondo cui nel giudizio di opposizione alla stima delle indennità di esproprio ed occupazione inerenti a procedure di espropriazione compiute, per la realizzazione di opere di ammodernamento del materiale rotabile della rete ferroviaria dello Stato, da concessionario dell ‘ Ente Ferrovie dello Stato (già Azienda autonoma delle Ferrovie dello Stato) ai sensi dell ‘ art. 11, ultimo comma, della legge 12.2.1981, n. 17, e dei decreti del Ministro dei Trasporti 30.1.1982 e 13.2.1982, legittimato passivo non è il concessionario, bensì il concedente, al quale compete la qualifica di espropriante, giacché, a norma dell ‘ art. 6, lett. a), d.m. ult. cit., in suo nome e conto agisce il concessionario e, dunque, non è configurabile una delega del potere ablatorio in favore del concessionario stesso; mentre non rileva qualsiasi contrario accordo eventualmente contenuto nella convenzione regolatrice della concessione, la quale non è opponibile all ‘ espropriato, che è tenuto solo a conoscere le norme legislative e regolamentari disciplinanti la materia (cfr. Cass. 21.1.2004, n. 880; Cass. 10.8.2007, n. 17629) .
35. N on esplica valenza nella specie l’ordinanza n. 13722 del 20.5.2021 di questa Corte richiamata in memoria dalla ricorrente.
Invero, la suddetta ordinanza è stata, sì, pronunciata in fattispecie controversa parimenti intercorsa, peraltro, tra il ‘Consorzio RAGIONE_SOCIALE e ‘RAGIONE_SOCIALE‘, in relazione ad un immobile del pari in Comune di Terme Vigliatore.
Tuttavia, in tal ultima vicenda contenziosa non si controverteva, propriamente, in ordine all’indennità ex art. 46 della legge n. 2359/1865 bensì in ordine alla giusta indennità di espropriazione e di occupazione spettante a tale Santa Isgrò, con riferimento all’immobile di sua proprietà, sito appunto nel Comune di Terme Vigliatore, espropriato con decreto prefettizio del 2006, nell’ambito , si-
milmente, della realizzazione del raddoppio della linea ferroviaria Sant’Agata di Militello -San Filippo del Mela.
Correttamente, quindi, il ‘RAGIONE_SOCIALE prospetta in memoria (cfr. pag. 4) che la fattispecie oggetto della presente controversia ‘ esula comunque dalle attività ablatorie di cui all’ (…) art. 28 cui la ricorrente ha inteso riferirsi’.
E del resto nel l’ordinanza n. 13722/2021 questa Corte ha puntualizzato testualmente: ‘nella specie, l’art. 28 della Convenzione n. 90/1984 (…) prevedeva che il concessionario avrebbe dovuto provvedere, in nome e per conto delle Ferrovie, all’acquisizione dell’area interessata mediante espropriazione e asservimento o mediante atti di acquisto svolgendo tutti gli adempimenti necessari «compresi quelli relativi alle vertenze con conseguente legittimazione attiva o passiva nei relativi giudizi», configurandosi pertanto una concessione di tipo traslativo’.
36. Va soggiunto che la Corte messinese ha puntualizzato, ad ulteriore riscontro della legittimazione (sostanziale) esclusiva di ‘R.F.I.’ , che neppure erano stati allegati il dolo ovvero la colpa della concessionaria nell’esecuzione dei lavori (cfr. sentenza d’appello, pag. 12) .
Ebbene, siffatto rilievo, integrante evidentemente in parte qua i termini di un’autonoma ‘ ratio decidendi ‘, non è stato, con il mezzo in disamina, oggetto di specifica, puntuale contestazione (cfr. Cass. (ord.) 10.8.2017, n. 19989; Cass. sez. lav. 4.3.2016, n. 4293; Cass. (ord.) 18.6.2019, n. 16314) .
37. Con il quinto motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360, 1° co., n. 3, cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ.
Deduce che il buon fondamento degli esperiti motivi di ricorso importa la riforma della condanna alle spese di lite pronunciata dalla Corte di Messina.
Evidentemente la disamina del quinto motivo resta assorbita nell’accoglimento del terzo motivo.
In accoglimento del terzo motivo di ricorso la sentenza n. 636/2019 della Corte d’Appello di Messina va cassata con rinvio alla stessa C orte d’appello in diversa composizione anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
All’enunciazione, in ossequio alla previsione dell’art. 384, 1° co., cod. proc. civ., del principio di diritto -al quale ci si dovrà uniformare in sede di rinvio può farsi luogo per relationem , nei medesimi termini espressi dalle massime desunte dalle pronunce di questa Corte in precedenza menzionate in sede di disamina del terzo motivo.
In dipendenza del (parziale) buon esito del ricorso non sussistono i presupposti perché, ai sensi dell’art. 13, 1° co. quater , d.P.R. n. 115/2002, la ricorrente sia tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione a norma del 1° co. bis dell’art. 13 d.P.R. cit.
P.Q.M.
La Corte così provvede:
accoglie il terzo motivo di ricorso, cassa in relazione e nei limiti dell’accoglimento del terzo motivo la sentenza n. 636/2019 della Corte d’Appello di Messina e rinvia alla stessa C orte d’appello in diversa composizione anche ai fini della regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità;
rigetta il primo motivo, il secondo motivo ed il quarto motivo di ricorso; dichiara assorbito nell’accoglimento del terzo motivo di ricorso il quinto motivo di ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sez. civ. della Corte