Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5126 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 5126  Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 27/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso 34842/2018 proposto da:
NOME  COGNOME,  rappresentato  e  difeso dall’AVV_NOTAIO ,  con domicilio legale come da pec Registri di Giustizia;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, INDIRIZZO;
-controricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentata e difesa dall’Avv ocatura generale dello Stato e domiciliata presso quest’ultima in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO;
-controricorrente-
avverso  la  SENTENZA  della  Corte  d’appello  di  RAGIONE_SOCIALE,  n.  4 96/2018, pubblicata il 24 luglio 2018.
Udita  la  relazione  svolta  nella  camera  di  consiglio  del  24/01/2024  dal
Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE l’RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione contro il decreto ingiuntivo notificato da NOME COGNOME, il quale aveva chiesto la condanna al pagamento in suo favore dell’importo di € 85.046,09, a titolo di indennità ex art. 31 d.P.R. n. 761 del 1979 (c.d. Indennità COGNOME), avvalendosi della sentenza n. 3770/2007, con la quale lo stesso giudice aveva riconosciuto il suo diritto, quale dipendente universitario con qualifica di funzionario tecnico ( ex VIII livello universitario) in servizio presso il RAGIONE_SOCIALE, ad essere equiparato al personale ospedaliero del X livello.
Contro lo stesso decreto ha proposto opposizione pure l’RAGIONE_SOCIALE.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, riuniti i giudizi, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 4750/2013, ha condannato in solido le due amministrazioni a corrispondere € 79.237,28.
LRAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE e l ‘RAGIONE_SOCIALE hanno proposto separati appelli.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, riunite le impugnazioni, nel contraddittorio delle  parti,  con  sentenza  n.  496/2018,  ha  accolto  in  parte  gli  appelli,
riducendo l’importo domandato dal dipendente in quanto ha ritenuto che l’indennità di posizione non dovesse essere inclusa in quella c.d. COGNOME.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
L’RAGIONE_SOCIALE e l’RAGIONE_SOCIALE hanno resistito con controricorso.
Il ricorrente ha depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con  il  primo  motivo  il  ricorrente  lamenta  la  violazione  e  falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 112, 115, 116, 345, 416 e 437 c.p.c. e 24 e 111 Cost.  in  quanto  la  corte  territoriale  avrebbe  errato  nell’escludere  dalle somme da riconoscergli ai fini della determi nazione dell’indennità c.d. COGNOME la retribuzione di posizione minima, parte fissa e variabile.
Infatti, l’appello proposto sul punto dall’RAGIONE_SOCIALE sarebbe stato inammissibile perché fondato su una circostanza nuova,  ossia  la  presunta  assenza  di  incarichi  dirigenziali,  atteso  che,  in primo  grado,  la  stessa  RAGIONE_SOCIALE  avrebbe  semplicemente  contestato  in maniera generica il decisum inter partes .
La doglianza è infondata.
L ‘eccezione in senso stretto, la cui proposizione per la prima volta in appello è vietata dalla norma, consiste nella deduzione di un fatto impeditivo o estintivo del diritto vantato dalla controparte, laddove è mera difesa, come tale consentita, la contest azione dei fatti posti dall’altra parte a fondamento del suo diritto (Cass., Sez. 2, n. 14515 del 28 maggio 2019). In particolare, deve essere considerata non nuova la deduzione dell’appellante di infondatezza per mancanza di prova dell’avversa ragione di credito (Cass., Sez. 6-1, n. 23796 del 1° ottobre 2018).
Nella  specie,  la  P.A.  appellante  si  è  limitata  a  prospettare  l’assenza  di prova  di  uno  RAGIONE_SOCIALE  elementi  costitutivi  del  credito  del  ricorrente,  ossia l’attribuzione  di  un  incarico  dirigenziale,  circostanza  che  impediva  di considerare la retribuzione di posizione ai fini della quantificazione dell’indennità c.d. COGNOME.
Infatti, non può non tenersi conto che il ricorrente, nel chiedere la somma reclamata, aveva l’onere di allegare e dimostrare specificamente, nel corso del giudizio di primo grado, che i relativi presupposti si erano verificati. Ne consegue  che,  dovendosi  formare  davanti  al  Tribunale  di  RAGIONE_SOCIALE  detta prova, la controparte ben poteva presentare le sue contestazioni sul punto in appello.
Con  la  seconda  censura  il  ricorrente  contesta  la  violazione  e  falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 115, 116, 194, 345 e 437 c.p.c. nonché 24 e 111 Cost. in quanto sarebbe stato inammissibile il motivo di appello dell’RAGIONE_SOCIALE con il quale essa aveva contestato il riconoscimento, in favore di esso ricorrente, della retribuzione di posizione minima, parte fissa e variabile.
La doglianza è respinta per gli stessi motivi per i quali è stato rigettato il primo motivo.
In aggiunta, si osserva che la decisione di appello ha affermato che le ragioni addotte dall’RAGIONE_SOCIALE a fondamento del suo gravame erano state già esposte nei rilievi critici alla relazione di consulenza e reiterate nei verbali di udienza successivi, senza che il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE si fosse pronunciato al riguardo.
Priva  di  rilievo  è  la  considerazione  del  ricorrente  che  tali  ragioni  non sarebbero state enunciate, non avendo egli neppure riprodotto nel suo atto di  impugnazione,  a  sostengo  della  sua  affermazione,  il  contenuto  delle osservazioni di controparte e dei verbali di udienza in esame.
Con  il  terzo  motivo  il  ricorrente  contesta  la  violazione  e  falsa applicazione  dell’art.  2909  c.c.  in  quanto  le  modalità  di  equiparazione sarebbero state già decise dalla sentenza della Corte di cassazione, Sez. L, n. 15063 del 17 luglio 2015, la quale avrebbe indicato le modalità e le voci retributive per determinare l’indennità di perequazione riconosciuta.
La doglianza è inammissibile.
Innanzitutto, si rileva che il ricorrente contesta, nella sostanza, l’interpretazione data dalla corte territoriale alla sentenza della IV sezione civile della Corte di cassazione n. 15063 del 17 luglio 2015 e al giudicato ad essa correlato, che aveva riguardato il riconoscimento della c.d. indennità COGNOME in favore di NOME COGNOME.
Al riguardo, si osserva che l’interpretazione del giudicato esterno può essere effettuata anche direttamente dalla Corte di cassazione con cognizione piena, nei limiti, però, in cui il giudicato sia riprodotto nel ricorso per cassazione, in forza del principio di autosufficienza di questo mezzo di impugnazione, con la conseguenza che, qualora l’interpretazione che abbia dato il giudice di merito sia ritenuta scorretta, il ricorso deve riportare il testo del giudicato che si assume erroneamente interpretato, con richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo, atteso che il solo dispositivo non può essere sufficiente alla comprensione del comando giudiziale (Cass., Sez. L, n. 5508 dell’8 marzo 2018.
Nella specie, il ricorrente ha trascritto solo tre righe della motivazione di detta sentenza, nessuna delle quali concernenti nel dettaglio la retribuzione di posizione, così impedendo a questa RAGIONE_SOCIALE ogni valutazione (per l’esattezza, recitano
Nel  dettaglio,  tali  righe  riproducono,  poi,  la  parte  finale  del  comma  1 dell’art.  31  del  d.P.R.  n.  761  del  1979,  il  che  palesa  come  non  abbiano contenuto  decisorio,  ma  siano  un  semplice  passaggio  motivazionale inidoneo ad influenzare il presente giudizio.
Inoltre, deve considerarsi che il giudice di secondo grado ha affermato, alla pagina 6 della motivazione, che la ‘pronunzia n. 3770/2007, posta a base della richiesta di ingiunzione, passata in giudicato, ha espressamente riconosciuto il diritto del De COGNOME, unitamente ad altri venti ricorrenti, alla indennità di cui all’art. 31 DPR 761/1979 nella misura occorrente per equiparare il trattamento economico complessivo a quello del personale delle USL di livello X’. Tale pronunzia (che è passata in giudicato pr oprio dopo la sentenza n. 15063 del 2015 della S.C.) non contiene, quindi, riferimenti all’indennità di posizione e, soprattutto, è stata qualificata dalla Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con statuizione non impugnata, come semplice ‘condanna generica’, senza ulteriori precisazioni in ordine alla presenza nella stessa di un ac certamento circa l’effettivo avveramento del danno, il che rende non prospettabile che possa contenere statuizioni definitive in ordine al quantum del risarcimento.
Con  il  quarto  motivo  il  ricorrente  deduce  la  violazione  e  falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e RAGIONE_SOCIALE artt. 99, 112, 325, 327, 346 e 347 c.p.c. sui punti oggetto di appello dell’RAGIONE_SOCIALE in quanto la corte territoriale non avrebbe considerato che le due amministrazioni convenute erano coobbligate solidali, con la conseguenza che venivano in rilievo cause scindibili.
Per  l’esattezza,  l’appello  dell’RAGIONE_SOCIALE non conteneva  alcuna  contestazione  del  capo  della  sentenza  di  prime  cure relativo  al  riconoscimento  dell’indennità  di  retribuzione,  parte  fissa  e variabile.
Pertanto,  la  decisione  del  Tribunale  di  RAGIONE_SOCIALE,  nella  parte  in  cui condannava l’RAGIONE_SOCIALE, non avrebbe dovuto essere riformata in appello.
La doglianza è infondata poiché, dalla lettura delle conclusioni dell’RAGIONE_SOCIALE (e dell’RAGIONE_SOCIALE
NOME COGNOME), come riportate alle pagine 4 e 5 della sentenza di appello, si evince che questa aveva contestato specificamente il riconoscimento al ricorrente  della  retribuzione  di  posizione  minima,  parte  fissa  e  variabile, chiedendo la riforma della decisione del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE.
Ne deriva che la contestazione della pretesa del lavoratore era presente. Non ignora questo Collegio l’esistenza del precedente rappresentato da Cass., Sez. L, n. 6794 del 19 marzo 2018 (al quale si affianca Cass., Sez. L, n. 5387 del 7 marzo 2018, entrambe non massimate), ma se ne ravvisa la  non  pertinenza  nella  specie,  essendovi  stato  un  appello  specifico dell’RAGIONE_SOCIALE sulla parte della sentenza del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE oggetto del contendere.
5) Con il quinto motivo il ricorrente contesta la violazione e falsa applicazione RAGIONE_SOCIALE artt. 31 del d.P.R. n. 761 del 2019, 39 del CCNL del 5 dicembre 1996, quadriennio 1994-1997, 35, comma 1, lett. a), 39 e 40 CCNL dirigenza RAGIONE_SOCIALE III 1998-2001, 33, comma 1, lett. a), CCNL dirigenza RAGIONE_SOCIALE III 2002-2005 in quanto la corte territoriale avrebbe errato nell’escludere la debenza, in suo favore, della retribuzione di posizione minima, non avendo egli dato prova dello svolgimento dell’incarico di dirigente. In particolare, la sentenza delle Sezioni unite n. 9279 del 9 maggio 2016, che aveva escluso la retribuzione di posizione dal computo per la determinazione dell’indennità COGNOME, aveva avuto ad oggetto l’art. 39 del CCNL 5 dicembre 1996, mentre, nella specie, avrebbe assunto rilievo l’art. 35 del CCN L 1998/2001, che non prevedeva più, come in passato, un’unica retribuzione di posizione,
La doglianza è infondata.
Preliminarmente, occorre ricostruire, alla stregua dei precedenti giurisprudenziali di questa S.C., chiamata più volte ad affrontare analoghe questioni di diritto (in particolare, Sezioni Unite n. 9279 del 9 maggio 2016 e Sezioni Unite n. 8521 del 29 maggi o 2012), l’assetto normativo vigente in materia.
La legge n. 213 del 1971 ha stabilito all’art. 4 che al personale docente in servizio presso cliniche ed istituti universitari convenzionati con il RAGIONE_SOCIALE,  gestiti  dalle  università,  fosse  attribuita  un’indennità economica  tale  da  equiparare  il  trattamento  economico  a  quello  in godimento del personale ospedaliero di pari funzioni, mansioni ed anzianità (c.d. indennità COGNOME).
L’art. 1 della legge n. 200 del 1974 ha esteso tale indennità al personale non medico (c.d. indennità piccola COGNOME).
L’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 (avente ad oggetto lo stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali) ha stabilito che ‘al personale universitario che presta servizio presso i policlinici, le cliniche e gli istituti universitari di ricovero e cura convenzionati con le regioni e con le unità sanitarie locali, anche se gestiti direttamente dalle università, è corrisposta un’indennità, non utile ai fini previdenziali e assistenziali, nella misura occorrente per equiparare il relativo trattamento economico complessivo a quello del personale delle unità sanitarie locali di pari funzioni, mansioni e anzianità’ (comma 1); ha previsto, altresì, che il personale universitario assumesse diritti e doveri pari a quelli del personale di pari o corrispondente qualifica del ruolo regionale, secondo modalità stabilite negli schemi tipo di convenzione di cui all’art. 39 della legge n. 833 del 1978, e che, “tenuto conto RAGIONE_SOCIALE obblighi derivanti dal suo particolare stato giuridico, nei predetti schemi sarà stab ilita in apposite tabelle l’equiparazione del personale universitario a quello delle unità sanitarie locali ai fini della corresponsione della indennità di cui al comma 1″ (comma 4).
Il  d.i.  9  novembre  1982,  recante  l’approvazione  RAGIONE_SOCIALE  schemi  tipo  di convenzione tra regione e università e tra università e unità sanitaria locale, ha  stabilito,  poi,  che,  per  il  personale  universitario  non  medico,  la corrispondenza  con  quello  in  servizio  presso  le  unità  sanitarie  locali avvenisse secondo le indicazioni contenute nell’allegata tabella D (art. 7).
Le disposizioni dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 hanno conservato la loro  vigenza  anche  successivamente  alla  privatizzazione  del  rapporto  di
lavoro pubblico ed all’entrata in vigore del d.lgs. n. 165 del 2001, recante norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
Difatti, l’art. 53 del CCNL 1994 -1997 per il personale dell’RAGIONE_SOCIALE ha confermato l’applicabilità dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979 ‘fino alla ridefinizione dell’ordinamento come previsto dall’art. 50…’.
A detto art. 53 è stato successivamente aggiunto, in data 25 marzo 1997, un comma 3 in virtù del quale le parti si sono impegnate alla ridefinizione delle corrispondenze economiche tra il trattamento del personale di cui al comma 1 e quello del personale d el SSN, al fine di assicurare l’omogeneità dei trattamenti sul territorio RAGIONE_SOCIALE e l’inserimento delle nuove figure professionali; nelle more, le parti si sono date atto che venivano conservate le indennità di cui all’art. 31 del d.lgs. n. 761 del 1979.
Solo  con  il  CCNL  2002-2005  (sottoscritto  il  27  gennaio  2005)  è  stata elaborata una tabella unica nella quale il personale universitario in servizio presso le RAGIONE_SOCIALE è stato inquadrato per fasce, sulla base delle categorie professionali ed economiche in atto nel SSN (art. 28 tab. A).
Dalla data della sottoscrizione di questo contratto l’indennità di cui all’art. 31 è corrisposta sulla base delle nuove corrispondenze indicate dalla tabella.
Sulla base di queste disposizioni contrattuali, si è ritenuto che l’art. 53 cit. avesse congelato provvisoriamente i criteri di equiparazione in atto e che tale  assetto fosse stato ribadito dall’art. 51 del CCNL 1998 -2001, con la conseguenza che l’art. 31 del d.P.R. n.761 del 1979 continuava ad applicarsi transitoriamente.
Ad avviso  della  giurisprudenza  di  questa  Corte  è  dunque  direttamente all’art.  31  che  deve  farsi  riferimento  per  determinare  i  parametri  di attribuzione  dell’indennità  perequativa  nei  periodi  precedenti  il  CCNL  del 2005 ed è alla tabella all. D al decreto interministeriale 9 novembre 82, recante gli schemi tipo di convenzione, che deve farsi ulteriore riferimento per quel che riguarda il criterio di equiparazione.
Come affermato dalle sentenze delle Sezioni Unite n. 8521 del 29 maggio 2012 e n. 9279 del 9 maggio 2016, tale equiparazione fra le qualifiche non ha  carattere  rigido,  bensì  dinamico  e  deve  essere  riferita  anche  ai mutamenti  apportati  all’inquadramento  del  personale,  universitario  e RAGIONE_SOCIALE, dai contratti collettivi.
In sintesi, anche dopo la privatizzazione del pubblico impiego, l’art. 31 del d.P.R.  n.  761  del  1979  ha  conservato  la  sua  efficacia  per  effetto  della contrattazione collettiva sino all’entrata in vigore dell’art. 28 del CCNL 27 gennaio 2005 per il personale del comparto università (quadriennio 20022005).
La fonte dell’equiparazione deve essere individuata nella tabella allegata al d.i. 9 novembre 1982, norma che pone in automatica correlazione – ai soli fini economici – le qualifiche RAGIONE_SOCIALE e quelle RAGIONE_SOCIALE, prescindendo dal concreto esercizio delle mansioni corrispondenti e dal possesso del titolo di studio necessario per il loro effettivo svolgimento. Il meccanismo di equiparazione delle retribuzioni tra il personale universitario e quello RAGIONE_SOCIALE ha carattere dinamico, tale per cui il mutamento di una delle originarie qualifiche che comporti effetti sulla retribuzione ripercuote automaticamente i suoi effetti anche sull’altra.
L’art. 28 del menzionato CCNL 27 gennaio 2005 dispone, al comma 6, che ‘Sono fatte salve, con il conseguente inserimento nella colonna A della precedente tabella, le posizioni giuridiche ed economiche, comunque conseguite, del personale già in servizio nelle A.O.U. alla data di entrata in vigore del presente C.C.N.L.’ e, al comma 7, che ‘I benefici economici derivanti dall’applicazione dell’art. 51, comma 4, ultimo capoverso del C.C.N.L. 9 agosto 2000 e art. 5, comma 3, del C.C.N.L. 13 maggio 2003, sono conservati «ad personam», salvo eventuale successivo riassorbimento’.
Ciò posto, si rileva che non è più contestato il diritto del ricorrente ad ottenere la c.d. indennità COGNOME nella misura occorrente per equiparare
il  suo  trattamento  economico  complessivo  a  quello  del  personale  USL  di livello X.
In  ordine  al  trattamento  a  lui  spettante,  occorre  chiarire,  però,  che  le Sezioni Unite, con la sentenza n. 9279 del 9 maggio 2016, hanno avuto modo  di  precisare  che,  nell’ambito  della  indennità  di  perequazione  non possono essere inclusi automaticamente gli emolumenti che presuppongono o sono collegati all’effettivo conferimento di un incarico direttivo.
Le Sezioni Unite, riferendosi specificamente alla questione della inclusione nell’indennità di perequazione spettante al personale universitario non docente in servizio presso strutture sanitarie (‘indennità COGNOME‘) dell’indennità di posizione dei dirig enti del comparto sanità (oggetto della presente lite), nell’affermare che tale trattamento può essere riconosciuto soltanto se collegato all’effettivo conferimento di un incarico direttivo, hanno tra l’altro -osservato che l’art. 31, in precedenza cita to, che vincola la corresponsione della c.d. indennità COGNOME all’equiparazione del personale universitario a quello del SSN, a parità di mansioni, funzioni e anzianità, contempla un presupposto che induce ad escludere l’applicazione di un’equiparazione automatica delle retribuzioni estesa anche ad indennità spettanti unicamente in relazione al conferimento di incarichi specifici. In altre parole, l’intento perequativo del trattamento economico del personale universitario rispetto a quello del personale RAGIONE_SOCIALE, che costituisce la ratio legis dell’art. 31 e che viene realizzato con la previsione di una indennità (appunto perequativa) che fa riferimento al trattamento complessivo spettante ai dipendenti del SSN e che si applica in modo sostanzialmente automatico trova un limite logico, oltre che giuridico, in quelle componenti del trattamento economico complessivo del personale RAGIONE_SOCIALE che non dipendono direttamente ed esclusivamente dall’inquadramento contrattuale, ma sono erogate in correlazione al conferimento di incarichi come quello dirigenziale.
Questo approccio è stato coerentemente ribadito anche in seguito dalla RAGIONE_SOCIALE.C., la quale ha ancora affermato che l’ indennità c.d. COGNOME deve essere
determinata, in caso di equiparazione tra l’originario VIII livello di cui alla legge n. 312 del 1980 (relativo ai dipendenti dell’RAGIONE_SOCIALE) e il IX livello, poi divenuto 1° livello dirigenziale (relativo ai dipendenti ospedalieri), senza includere  automaticamente  nel  criterio  di  computo  la  retribuzione  di posizione dei dirigenti del comparto sanità, la quale può essere riconosciuta solo se collegata all’effettivo conferimento di un incarico direttivo (Cass., Sez. L, n. 7737 del 28 marzo 2018).
Pertanto, deve ritenersi che sia ormai consolidato l’indirizzo giurisprudenziale  per  il  quale  l’indennità  di  posizione  dei  dirigenti  del comparto sanità può essere riconosciuta soltanto se vi è stato un effettivo conferimento di un incarico direttivo (Cass., SU, n. 9279 del 9 maggio 2016; Cass., Sez. L, n. 7737 del 28 marzo 2018).
In particolare, è stato evidenziato dalla giurisprudenza di legittimità che l’indennità c.d. COGNOME opera ai soli fini retributivi e senza che debbano confluire  in  modo automatico nell’indennità di perequazione tutte le voci che, secondo la previsione delle parti collettive, compongono la «struttura della retribuzione della qualifica unica di dirigente».
Infatti, a fronte dell’evoluzione RAGIONE_SOCIALE inquadramenti e RAGIONE_SOCIALE istituti contrattuali qui denunciati dal ricorrente, occorre tenere conto della ratio dell’art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1971 che, in quanto finalizzata a perequare i dipendenti «a parità di mansioni, funzioni e anzianità», porta necessariamente a distinguere il trattamento tabellare dagli ulteriori emolumenti che, come l’indennità di posi zione, parte fissa e variabile, risultano strettamente collegati al conferimento di un incarico direttivo», secondo le regole proprie del rapporto dirigenziale (graduazione delle funzioni, assegnazione obiettivi, valutazione dei risultati, etc.: in questo senso, Cass., Sez. L, n. 4982 del 2 marzo 2018, non massimata, sulla scia di Cass., SU, n. 9279 del 9 maggio 2016 e, poi, seguita da Cass., Sez. L, n. 7737 del 28 marzo 2018).
La  menzionata  evoluzione  della  disciplina  contrattuale  dell’indennità  di posizione e l’innegabile distinzione fra trattamento fondamentale e
trattamento accessorio riservato ai dirigenti non valgono a confutare i principi affermati dalla citata giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite, fondati principalmente sulla necessità di tenere conto, nell’applicazione delle tabelle di compara zione, non solo del carattere dinamico e non statico delle stesse, ma anche delle finalità perseguite dalla norma perequativa, che, quanto alla individuazione delle singole voci, porta a distinguere quelle finalizzate a compensare, a prescindere dall’incar ico in concreto ricoperto, la professionalità propria del dipendente (rispetto alla quale la successiva evoluzione contrattuale non fa venir meno l’originario giudizio di equiparazione espresso nella tabella), da quelle strettamente connesse allo svolgimento della funzione dirigenziale, fra le quali si iscrive la retribuzione di posizione, pure nella parte fissa e non solo in quella varabile (Cass., Sez. L, n. 4982 del 2 marzo 2018, non massimata, e Cass., Sez. L, n. 28295 del 28 settembre 2022, in motivazione).
Non meritano di essere condivise, quindi, le ragioni addotte dal ricorrente per chiedere di ritenere  superato da questo  Collegio il  precedente rappresentato  da  Cass.,  SU,  n.  9279  del  9  maggio  2016  o  di  investire nuovamente della problematica de qua le Sezioni Unite.
In  particolare,  non  ha  pregio  il  contenuto  delle  note  depositate  dal ricorrente  il  29  maggio  2023  a  sostegno  della  sua  tesi,  per  la  quale  la retribuzione di posizione minima unificata domandata nel l’attuale giudizio sarebbe una voce del trattamento fondamentale, per tale motivo da erogare pur in assenza de ll’attribuzione di qualsivoglia incarico dirigenziale.
Il  ricorrente  menziona,  in  dette  note,  la  clausola  interpretativa  ARAN/ OO.SS. del 12 gennaio 2021, resa ex art. 64 del d.lgs. n. 165 del 2001 in un procedimento analogo al presente, la quale precisa che la retribuzione di posizione minima, regolata dall’art. 33 del CCNL del 2005, quale parte del  trattamento  fondamentale,  spetterebbe  al  dirigente  a  prescindere dall’incarico.
In particolare, sarebbe stato chiarito, con riferimento alla posizione di un dirigente equiparato ex art. 31 del d.P.R. n. 761 del 1979, che ‘ l’art. 33
comma 1, lett. a, n. 4, del CCNL dell’RAGIONE_SOCIALE III del 3.11.2005, parte normativa quadriennio 2002-2005 -parte economica biennio 2002-2003, con riferimento agli ex moduli funzionali DPR 384/1990, sanitari, va interpretata nel senso che la retribuzione di posizione minima unificata, che rientra nel trattamento fondamentale, è riconosciuta ed erogata anche al dirigente RAGIONE_SOCIALE ex modulo funzionale DPR 384/1990 che non sia titolare di alcun incarico, a condizione che i relativi oneri siano sostenuti a carico del pertinente fondo previsto dal contratto collettivo RAGIONE_SOCIALE ‘ .
Si tratta di una previsione che, però, non incide sulla presente decisione, atteso che essa si riferisce ai dirigenti sanitari del SSN la cui retribuzione di posizione minima sia a carico del pertinente fondo previsto dal contratto collettivo RAGIONE_SOCIALE.
Nella specie, invece, viene in questione la posizione di un dipendente dell’RAGIONE_SOCIALE solo ‘strutturato’ nel RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, il quale non ricopre la qualifica di dirigente del detto RAGIONE_SOCIALE; inoltre, ai sensi dell’art. 31 , comma 2, del d.P.R. n. 761 del 1979, le somme necessarie per la corresponsione dell ‘ indennità di cui al comma 1 dell’appena citato art. 31 presente articolo sono a carico dei fondi assegnati alle regioni ai sensi dell’art. 51 della legge n. 833 del 1 978 e sono versate, con le modalità previste dalle convenzioni, dalle Regioni alle RAGIONE_SOCIALE.
6) Il ricorso è rigettato.
Le spese sono compensate in quanto la giurisprudenza in materia non si era ancora consolidata al momento della proposizione del ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della  sussistenza  dei  presupposti  per  il  versamento,  ad  opera  di  parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello  stesso  art.  13,  se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
rigetta il ricorso;
compensa le spese;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza, a carico del ricorrente, dei presupposti per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il