Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1056 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1056 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 10/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 35905/2018 R.G. proposto da
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3742/2018, depositata il 10.7.2018 della Corte d’Appello di Napoli;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il ricorrente, medico di medicina generale convenzionato con il Servizio Sanitario pubblico, convenne l’Azienda Sanitaria Locale di Benevento davanti al Tribunale di quella città, in funzione di giudice del lavoro, per fare accertare il proprio diritto a trattenere l’intera indennità di collaboratore studio, che l’Azienda aveva in effetti spontaneamente pagato, salvo poi chiederne la parziale restituzione perché il medesimo collaboratore era stato assunto anche da altri due medici con lui associati per la prestazione del servizio agli assistiti in regime di c.d. «medicina di gruppo».
Instauratosi il contraddittorio, il Tribunale accolse la domanda e, successivamente, la Corte d’Appello di Napoli confermò la sentenza di primo grado, respingendo l’impugnazione d el l’Azienda .
Contro la sentenza della C orte d’ Appello, l’Azienda Sanitaria Locale di Benevento ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi. Il medico di medicina generale si è difeso con controricorso, provvedendo anche a depositare memoria nel termine di legge anteriore alla data fissata per la camera di consiglio ai sensi de ll’ art. 380 -bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso l’Azienda denuncia, «vizio della sentenza ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. in relazione all’art. 45 d.P.R. n. 484/1996, lettera L, d.P.R. n. 370 del 2000 all’art. 45, Accordo Integrativo Regionale Campania BURC n. 32 del
21.7.2003, art. 45, punto 2, CCNL del 2008/2009 e successivo CCNL 2008/2009».
Con il secondo motivo si censura «vizio della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c. e vizio della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. in relazione all’art. 45 B4 d.P.R. n. 270 del 2000, all’art. 45, lett. B4, Accordo Integrativo Regionale Campania BURC n. 32 del 21.7.2003, agli artt. 54 e 59 A.C.N. Anno 2004/2005 del 2005 e agli artt. 54 e 59 A.C.N. Medicina Generale 2008-2009 del 2009» .
Il terzo motivo è così rubricato: «violazione della sentenza ex art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c., per violazione de ll’ art. 2697 c.c. e art. 414, n. 4, c.p.c.».
I tre motivi vengono esaminati congiuntamente, perché è la stessa ricorrente che, dopo averli distinti in rubrica, svolge tuttavia una trattazione unitaria e indifferenziata delle critiche mosse alla sentenza impugnata.
Ciò posto, il ricorso è inammissibile.
4.1. Innanzitutto, poiché il primo e il terzo motivo denunciano, in modo promiscuo, anche il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., occorre ricordare che, in caso di doppia decisione conforme nei due gradi del giudizio di merito, «il ricorso per cassazione … può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’art. 360» (art. 348 -ter , commi 4 e 5, c.p.c., la cui disciplina è stata ora trasfusa nell’art. 360, comma 4, c.p.c. dall’art. 3, comma 27, lett. a , n. 1, del d.lgs. n. 149 del 2022).
4.2. Per il resto, si deve ribadire un principio più volte affermato da questa Corte: « quando nel ricorso per cassazione
è -come nel caso -denunziata violazione e falsa applicazione di norme di diritto, il vizio della sentenza previsto dall ‘ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deve essere dedotto non solo mediante la puntuale indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l ‘ interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina. Diversamente il motivo è inammissibile, in quanto non consente alla Corte di Cassazione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunciata violazione » (Cass. n. 828/2007, che richiama numerosi precedenti conformi; v. conformi anche, successivamente: Cass. nn. 15768/2007, 635/2015, 17570/2020).
Il ricorrente non si è attenuto a questa essenziale regola sulla forma-contenuto della impugnazione di legittimità.
4.2.1. Nelle rubriche dei primi due motivi sono stati citati due articoli del codice civile sull’interpretazione dei contratti (artt. 1362 e 1363 c.c.), senza che poi si spieghi in alcun modo dove e come essi sarebbero stati violati dalla Corte d’Appello .
Lo stesso discorso vale anche per l’indicazione come norme di diritto violate, nella rubrica del terzo motivo, dell’art. 2697 c.c. (dovendosi comunque notare che nella sentenza impugnata la causa non è stata decisa facendo applicazione delle regole di ripartizione degli oneri proba tori) e dell’art. 414, n. 4, c.p.c.
4.2.2. Il primo e secondo motivo denunciano direttamente anche la violazione delle norme contenute nella contrattazione collettiva, il che è in astratto consentito, sia pure limitatamente ai «contratti e accordi collettivi nazionali» (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), con esclusione di quelli integrativi regionali (v., ex multis , Cass. nn. 1826/2009, 29288/2019, 17716/2016, 7671/2016).
Sennonché, anche sotto questo profilo il ricorso è carente, perché non argomenta « in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina ».
La Corte d’Appello ha affrontato l ‘unico tema sottoposto al suo esame, ovverosia se, in caso di assunzione di un collaboratore da parte di medici di medicina generale riuniti in gruppo , l’indennità prevista dalla contrattazione collettiva spetti per intero a ciascun medico oppure soltanto pro quota . E il tema è stato risolto riportando nella motivazione il testo delle pertinenti disposizioni dei contratti collettivi e concludendo che, « di fronte alla chiarezza ed alla continuità delle clausole contrattuali l’indennità per il collaboratore di studio debba essere attribuita per intero a ciascun medico anche se operante in forma associata ».
A fronte di tale lapidaria, ma motivata, constatazione, il ricorrente non svolge alcuna precisa critica e, soprattutto, non indica disposizioni della contrattazione collettiva in cui si faccia riferimento a una ripartizione pro quota (sicché non è dato nemmeno di sapere cosa si intenda per ripartizione pro quota :
ovverosia, se si debba avere riguardo, per esempio, al numero dei mutuati di ciascun medico associato o alla somma spesa da ciascuno per il pagamento del collaboratore).
A pag. 13 del ricorso è riportata una disposizione dell’Accordo Integrativo Regionale del 1997 secondo cui «in caso di lavoro associato l’indennità spettante a ciascun medico non potrà mai superare l’importo da questi effettivamente versato». Il che è sicuramente ragionevole (a prescindere dall’applicabilità di quell’accordo al caso di specie, ratione temporis , e purché per «importo versato» si intenda l’intera spesa sostenuta quale costo della collaborazione e non soltanto «l’importo dei contributi previdenziali», come immotiva tamente sostenuto dal ricorrente); ma non ha nulla a che vedere con la questione della spettanza dell’indennità per intero o soltanto ripartita pro quota tra i medici raggruppati.
Dichiarato inammissibile il ricorso, le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Si dà atto che , in base all’esito del giudizio, sussiste il presupposto per il raddoppio del contributo unificato ai sensi dell’ art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, a carico della ricorrente.
P.Q.M.
La Corte: dichiara inammissibile il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese legali per il presente giudizio di legittimità , liquidate in € 4.000 per compensi, oltre a € 200 per esborsi, spese generali al 15% dei compensi e accessori di legge;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 19.12.2023.