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Indennità aggiuntiva: quando spetta all’inquilino?

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di alcuni locatori a pagare l’indennità aggiuntiva a una società ex conduttrice. I locatori avevano avviato, nei medesimi locali, un’attività commerciale di abbigliamento considerata simile a quella precedente, nonostante l’assenza del marchio specifico. La Corte ha rigettato i motivi di ricorso, chiarendo che la valutazione sulla somiglianza delle attività è un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità e che il giudice d’appello può, in certi casi, disporre integrazioni probatorie per accertare la verità materiale.

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Indennità Aggiuntiva per Avviamento: la Cassazione Chiarisce i Limiti per il Locatore

Nel complesso mondo delle locazioni commerciali, la tutela dell’avviamento è un pilastro fondamentale per gli imprenditori. La legge prevede un meccanismo di compensazione per il conduttore che, alla fine del contratto, perde la clientela legata a un determinato immobile. Ma cosa succede se il proprietario decide di avviare un’attività simile proprio in quei locali? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso emblematico, offrendo chiarimenti cruciali sulla cosiddetta indennità aggiuntiva e sui criteri per definirne il diritto.

I Fatti del Caso

La vicenda ha origine dalla cessazione di un contratto di locazione commerciale tra alcuni proprietari di un immobile e una nota società operante nel settore dell’abbigliamento. A seguito della riconsegna dei locali, i locatori avviavano un’attività di vendita di capi di abbigliamento, identica o comunque molto simile a quella precedentemente svolta dalla società conduttrice.

Quest’ultima, ritenendo di aver subito un pregiudizio, agiva in giudizio per ottenere non solo l’indennità per la perdita dell’avviamento, ma anche l’indennità aggiuntiva prevista dall’art. 34, comma 2, della Legge n. 392/78. Mentre il tribunale di primo grado rigettava la richiesta, la Corte d’Appello ribaltava la decisione, condannando i locatori al pagamento di oltre 100.000 euro.
I locatori, insoddisfatti, proponevano ricorso in Cassazione, basandolo su quattro motivi principali, tra cui la presunta illegittima ammissione di una testimonianza in appello e, soprattutto, l’errata valutazione sulla somiglianza delle attività commerciali.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dei locatori, confermando la decisione della Corte d’Appello e condannandoli al pagamento delle spese legali. La decisione si fonda su un’analisi approfondita sia degli aspetti procedurali che di quelli sostanziali della controversia.

Le Motivazioni della Sentenza: Analisi Giuridica

Le argomentazioni della Cassazione offrono spunti di riflessione importanti per operatori del settore e imprenditori.

L’ammissibilità delle Prove in Appello e l’indennità aggiuntiva

Uno dei punti contestati dai ricorrenti era l’ammissione in appello di una testimonianza non sentita in primo grado. La Corte ha respinto la censura, ricordando un principio consolidato, specialmente nel rito del lavoro (applicabile a queste controversie): il giudice, anche in appello, ha un potere-dovere di disporre d’ufficio i mezzi di prova necessari a superare l’incertezza sui fatti, quando gli elementi già acquisiti offrano significativi dati d’indagine. Non si tratta di supplire alla negligenza di una parte, ma di approfondire un quadro probatorio già esistente per accertare la verità materiale.

La Continuità dell’Attività Commerciale

I locatori avevano sostenuto che, dopo il fallimento di una società subentrata, l’attività si fosse interrotta per un lungo periodo. La Cassazione ha dichiarato questo motivo inammissibile come ‘non-motivo’. La Corte d’Appello, infatti, aveva già ampiamente motivato la continuità dell’attività sulla base di contratti e testimonianze. I ricorrenti, nel loro motivo di ricorso, non avevano criticato specificamente tale ragionamento, limitandosi a riproporre la propria versione dei fatti, operazione non consentita in sede di legittimità.

L’Identità dell’Attività: il Marchio non è Decisivo per l’indennità aggiuntiva

Il cuore della controversia risiedeva nella questione più rilevante: vendere abbigliamento generico è un’attività ‘affine’ a quella di vendere abbigliamento di un brand specifico? Secondo i locatori, l’assenza del marchio e della ‘griffe’ avrebbe dovuto escludere la somiglianza, eliminando così il presupposto per l’indennità aggiuntiva.

La Cassazione ha respinto con fermezza questa tesi, chiarendo che l’accertamento dell’identità o affinità tra due attività commerciali è un apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità, se correttamente motivato. La valutazione se un capo di abbigliamento ‘griffato’ sia merceologicamente diverso da uno identico ma senza marchio è una valutazione fattuale, non una questione di diritto. La Corte d’Appello aveva correttamente ritenuto che, in entrambi i casi, si trattasse di vendita di abbigliamento, e tale valutazione non poteva essere rimessa in discussione.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza la tutela del conduttore commerciale e invia un messaggio chiaro ai locatori. Le conclusioni pratiche sono le seguenti:

1. Interpretazione Ampia di ‘Attività Affine’: I locatori devono prestare la massima attenzione prima di avviare un’attività nei locali precedentemente affittati. Il concetto di ‘affinità’ è interpretato in modo ampio, guardando alla categoria merceologica e non a dettagli come la presenza di un marchio specifico.
2. Il Marchio non Salva: L’assenza di un brand noto non è sufficiente a differenziare un’attività se il prodotto venduto appartiene allo stesso settore. Il pregiudizio per l’ex conduttore, che perde l’avviamento, può sussistere ugualmente.
3. Dovere di Diligenza Processuale: I ricorsi in Cassazione devono contenere critiche specifiche e puntuali alle motivazioni della sentenza impugnata. Limitarsi a riproporre la propria tesi senza smontare il ragionamento del giudice precedente porta all’inammissibilità del ricorso.

Quando un locatore deve pagare l’indennità aggiuntiva a un ex inquilino commerciale?
Il locatore è tenuto al pagamento quando, entro un anno dalla cessazione del rapporto di locazione, esercita o consente ad altri di esercitare nei medesimi locali un’attività commerciale identica o affine a quella precedentemente svolta dal conduttore.

Vendere abbigliamento senza marchio è un’attività ‘affine’ a vendere abbigliamento di un brand specifico?
Sì. Secondo la decisione in esame, la valutazione sull’affinità è un apprezzamento di fatto del giudice di merito. In questo caso, è stato stabilito che la vendita di abbigliamento, a prescindere dalla presenza di una ‘griffe’, costituisce un’attività sostanzialmente affine, idonea a generare il diritto all’indennità aggiuntiva.

È possibile ammettere una nuova testimonianza in appello in una causa di locazione?
Sì, in determinate circostanze. Il giudice d’appello, nel rito applicabile a queste cause, può esercitare poteri istruttori d’ufficio per approfondire elementi già presenti nel processo e superare incertezze sui fatti costitutivi dei diritti, al fine di accertare la verità materiale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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