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Indennità agente unico: diritto anche se soppressa

La Cassazione conferma il diritto di un dipendente del settore trasporti a percepire l’indennità agente unico, anche dopo la sua formale soppressione, poiché le mansioni accessorie di vendita biglietti continuavano ad essere svolte. La Corte ha rigettato il ricorso dell’azienda, stabilendo che la continuità della prestazione giustifica la conservazione del trattamento economico equivalente, in applicazione del principio di irriducibilità della retribuzione.

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Indennità Agente Unico: Diritto alla Retribuzione Anche se Soppressa

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale del diritto del lavoro: la sostanza prevale sulla forma. In particolare, la Corte ha stabilito che l’indennità agente unico spetta al lavoratore anche se formalmente soppressa, qualora le mansioni specifiche per cui era prevista continuino ad essere svolte. Questa decisione protegge il principio costituzionale di irriducibilità della retribuzione a parità di prestazione lavorativa.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di un dipendente di un’azienda di trasporti, il quale rivendicava il diritto a percepire un importo equivalente alla cosiddetta ‘indennità di agente unico’. Questa indennità era stata corrisposta in passato per remunerare le mansioni accessorie di emissione di biglietti a bordo e di controllo dei titoli di viaggio, svolte in aggiunta alla guida.

Nonostante una legge regionale avesse formalmente soppresso tale voce retributiva, il lavoratore aveva continuato a svolgere sistematicamente tali compiti per un lungo periodo, dal 2012 al 2017. Il Tribunale di primo grado e la Corte d’Appello avevano entrambi dato ragione al dipendente, riconoscendogli il diritto a un compenso equivalente all’indennità soppressa. La Corte d’Appello aveva inoltre accolto il ricorso incidentale del lavoratore, ricalcolando i termini di prescrizione e aumentando la somma dovuta dall’azienda.

Il Ricorso dell’Azienda e i Motivi di Doglianza

L’azienda di trasporti ha presentato ricorso in Cassazione, basando le proprie difese su otto motivi. Tra i principali, l’azienda lamentava:

* Vizi procedurali: Si sosteneva che la sentenza d’appello fosse nulla perché la sua motivazione si limitava a riproporre le argomentazioni del giudice di primo grado, senza rispondere specificamente ai motivi di gravame.
* Violazione del giudicato: L’azienda riteneva che la ‘soppressione’ dell’indennità fosse un fatto accertato e non più discutibile.
* Errata interpretazione degli accordi collettivi: Secondo la ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe ignorato gli accordi regionali che avevano sancito la soppressione dell’indennità, violando la gerarchia delle fonti contrattuali.
* Violazione dell’art. 36 della Costituzione: L’azienda affermava che la retribuzione complessiva del lavoratore, anche senza l’indennità, fosse comunque adeguata e proporzionata.
* Errata applicazione della prescrizione: Si contestava la decisione di far decorrere la prescrizione dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.

La Continuità delle Mansioni come Elemento Chiave

Il fulcro della questione, sia per i giudici di merito che per la Cassazione, è stata la constatazione che le mansioni di vendita e controllo biglietti non erano attività meramente occasionali (‘all’occorrenza’), come previsto dalla declaratoria generica dell’operatore di esercizio, ma venivano svolte in modo continuativo e abituale. Questa continuità è stata ritenuta decisiva per giustificare una specifica voce retributiva.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso dell’azienda, fornendo chiarimenti su tutti i punti sollevati.

In primo luogo, ha respinto le censure procedurali, affermando che un giudice d’appello può legittimamente aderire alla motivazione della sentenza di primo grado, purché le ragioni della decisione risultino chiare e attribuibili all’organo giudicante.

Sulla questione del presunto giudicato, la Corte ha precisato che l’affermazione sulla ‘soppressione’ dell’emolumento era parte di un percorso argomentativo e non una statuizione finale. Il punto centrale non era la soppressione formale, ma la successiva ‘rivisitazione’ degli accordi che, a fronte della continuità delle mansioni, imponeva la conservazione di un trattamento economico equivalente, in ossequio all’art. 36 della Costituzione e alla natura sinallagmatica del rapporto di lavoro.

Per quanto riguarda l’interpretazione degli accordi collettivi, la Cassazione ha ribadito che la contrattazione nazionale aveva avocato a sé la determinazione dei livelli retributivi, lasciando a quella aziendale solo la gestione di incrementi legati alla produttività. Pertanto, la persistenza dell’obbligo datoriale di compensare le mansioni specifiche, non ricomprese in via ordinaria nel profilo professionale, era correttamente fondata sulla permanenza dei compiti che originariamente giustificavano l’indennità agente unico.

Infine, sul tema della prescrizione, la Corte ha confermato il proprio orientamento consolidato (rif. Cass. n. 26246/2022): nei rapporti di lavoro non assistiti da un regime di stabilità reale, come quello degli autoferrotranvieri a seguito delle riforme del 2012 e 2015, il termine di prescrizione dei crediti retributivi decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza il principio di effettività nel diritto del lavoro. La Cassazione chiarisce che la qualificazione formale di una voce retributiva o la sua soppressione normativa non possono prevalere sulla realtà fattuale delle mansioni svolte. Se un lavoratore continua a eseguire compiti specifici e continuativi, ha diritto a una retribuzione corrispondente, basata sul principio di irriducibilità del compenso sancito dalla Costituzione. Questa decisione rappresenta un importante precedente per tutti i lavoratori che si trovano a svolgere mansioni aggiuntive non pienamente riconosciute dal datore di lavoro, sottolineando che il diritto alla giusta retribuzione è ancorato alla prestazione effettivamente resa.

Un’indennità prevista da un accordo collettivo può essere formalmente soppressa?
Sì, un’indennità può essere formalmente soppressa o rivisitata da accordi collettivi successivi o, come nel caso di specie, da una legge regionale, ma ciò non elimina il diritto a un compenso equivalente se le mansioni specifiche per cui era prevista continuano ad essere svolte.

Se un’indennità viene eliminata ma il lavoratore continua a svolgere le stesse mansioni, ha ancora diritto a un compenso?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che la continuità della prestazione lavorativa per la quale era stata prevista una specifica voce retributiva giustifica la conservazione di un trattamento economico equivalente, in applicazione del principio di irriducibilità della retribuzione (art. 36 della Costituzione).

Da quando inizia a decorrere la prescrizione per i crediti di lavoro se il rapporto non è protetto da stabilità reale?
La Corte ha confermato che, per i rapporti di lavoro non assistiti da un regime di stabilità reale e certa (come quello degli autoferrotranvieri dopo le riforme del 2012), il termine di prescrizione per i crediti retributivi decorre dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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