Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 34885 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 34885 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 30/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25755/2019 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
Contro
INPS, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 811/2019 depositata il 25/02/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.La Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva respinto la domanda proposta da NOME COGNOME per l’accertamento della insussistenza dell’indebito comunicato dall’INPS, pari ad € 10.721,22.
La Corte territoriale premetteva che il BOVE censurava fondatamente l’erroneo inquadramento della fattispecie di causa operato dal Tribunale, in quanto era in questione la indennità di disoccupazione ordinaria e non la disoccupazione agricola ed inoltre perché la causa verteva sulla compatibilità tra la indennità di disoccupazione e la pensione di vecchiaia sicché non era applicabile la disciplina dell’art. 7 l. n. 223/1991.
3.Osservava, tuttavia, che l’indebito era pacifico, per la incompatibilità tra le due prestazioni, come risultava anche dal ricorso di primo grado, in cui la parte sosteneva la irripetibilità dell’indebito perché imputabile ad un errore dell’INPS e per assenza di dolo.
Nel merito, a prescindere dal rilievo che non vi era alcun errore dell’INPS (in quanto la domanda di pensione era stata presentata nell’aprile 2012), le norme invocate dal BOVE riguardavano la irripetibilità dell’indebito pensionistico e non la indennità di disoccupazione, che andava restituita secondo la disciplina dell’articolo 2033 cod.civ., anche in caso di buona fede.
5.Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza NOME COGNOME articolato in due ragioni di censura ed illustrato con memoria . L’INPS ha resistito con controricorso.
CONSIDERATO CHE
1.Con il primo motivo –proposto ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. -la parte ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’ art. 6, comma 7, d.l. 20 maggio 1993 n. 148, conv. con modif. in l. 19 luglio 1993, n. 236.
2.Ha esposto di avere presentato domanda di pensione di vecchiaia in data 11 aprile 2012, in vista della scadenza del trattamento di disoccupazione e che l’Istituto aveva liquidato il trattamento pensionistico dal 1° marzo 2011 per un suo errore.
Su tale premessa, ha dedotto che la incompatibilità tra la indennità di disoccupazione e la pensione di vecchiaia sussiste in caso di effettiva
fruizione del trattamento di pensione (che nella fattispecie era dipesa dall’ errore di retrodatazione della pensione, imputabile all’INPS).
4.La decadenza dal trattamento di disoccupazione in ragione della mera maturazione dei requisiti pensionistici, indipendentemente dalla effettiva fruizione della pensione, era stata prevista soltanto dalla l. n. 92/2012, a decorrere dal gennaio 2013, con riferimento alle prestazioni ASpI e miniASpI.
5.Il motivo è inammissibile.
6.Esso non indica le affermazioni della sentenza impugnata in cui si ravviserebbe la violazione di legge denunciata.
7.Invero, la Corte territoriale non ha affatto affermato che il trattamento di disoccupazione non è dovuto dalla data di mera maturazione dei requisiti pensionistici, indipendentemente dalla liquidazione della pensione, ma, piuttosto, che l’indebito era incontestato e che l’unica difesa riguardava la irripetibilità dell’indennità di disoccupazione, per errore dell’INPS e assenza di dolo (pag. 3 della sentenza impugnata, primo periodo).
8.La censura, dunque, non è pertinente al dedotto vizio di violazione di legge, non venendo in alcun modo in rilievo la interpretazione all’art.6, comma 7, d.l. n. 148/1993.
9.Con la seconda critica il ricorrente ha lamentato -ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod.proc.civ. -la violazione e falsa applicazione dell’ art. 52, comma 1, l. 9 marzo 1989 n. 88 e dell’ art. 13 l. 30 dicembre 1991 n. 412.
10.Si deduce che l’indebito non aveva ad oggetto la indennità di disoccupazione ma il trattamento pensionistico e che l’INPS aveva errato nella liquidazione della pensione, retrodatando la sua decorrenza.
11.La censura è inammissibile.
12.Come risulta dalle stesse allegazioni del ricorso, l’INPS ha chiesto in restituzione la indennità di disoccupazione e la sentenza si è pronunciata sul diritto dell’assicurato a trattenere la indennità di disoccupazione,
osservando che erroneamente la parte invocava le norme sulla irripetibilità dell’indebito pensionistico.
13. Il ricorrente introduce una questione non conferente ai contenuti della sentenza impugnata mentre la ratio decidendi , secondo la quale alla indebita percezione della indennità di disoccupazione non si applicano le norme su ll’indebito pensionistico, non è in alcun modo attinta dal ricorso.
Trattasi di una questione nuova, involgente accertamenti di fatto (cioè, che nella fattispecie si trattasse della ripetizione di un indebito pensionistico e non della ripetizione della indennità di disoccupazione).
La inammissibilità del motivo discende allora dal principio secondo cui quando una determinata questione giuridica -che implichi un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (per tutte: Cass.civ., 16 gennaio 2024, n.1616).
Il ricorso deve, pertanto, essere dichiarato nel complesso inammissibile.
Il ricorrente è esonerato dal pagamento delle spese, avendo reso la dichiarazione ex art. 152 disp.att. cod.proc.civ.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte dichiara la inammissibilità del ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari
a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale del 14 novembre 2024