Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23642 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 23642 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 21/08/2025
Oggetto:
Impiego
pubblico
–
Graduatoria
–
Potenziale
conflitto
giudicati
–
buona fede
accipiens
di
Dott. NOME COGNOME
Presidente –
Dott. NOME COGNOME Consigliere –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere rel. –
Dott. NOME COGNOME
Consigliere –
Dott. NOME
Consigliere –
SENTENZA
sul ricorso 5254-2023 proposto da:
MINISTERO DELL’INTERNO , in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura generale dello Stato e domiciliato presso di lei in Roma, INDIRIZZO
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, NOME, elettivamente domiciliate in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che le rappresenta e difende, con diritto di ricevere le comunicazioni all’indirizzo pec dei Registri di Giustizia;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 405/2022 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 09/12/2022 R.G.N. 203/2022; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. NOME COGNOME e NOME COGNOME, già dipendenti del Ministero dell’Interno (cessate dal servizio rispettivamente in data 01.01.2019 e 01.04.2018), adivano il Tribunale di Ancona al fine di ottenere l’ annullamento del Decreto Ministeriale n. 1691 del 25.11.2020 del Ministero dell’Interno nella parte in cui prevedeva la rideterminazione delle differenze retributive a seguito della espunzione delle ricorrenti dalla graduatoria approvata dal decreto ministeriale 23.12.2010, dovuta all’esecuzione della sentenza del Tribunale di Matera n. 1063/2013 e per sentir dichiarare che esse nulla dovevano all’Ente convenuto a titolo di differenze retributive indebitamente percepite in relazione alla progressione economica orizzontale dalla fascia F1 alla fascia F2, nell’ambito dell’Area III, conseguita all’esito della selezione indetta nell’anno 2010, della quale era stato accertato l’illegittimo svolgimento con l’indicata sentenza n. 1063/2013 del Tribunale di Matera; in subordine, chiedevano il risarcimento del danno per perdita di chance , ovvero il ristoro da arricchimento ingiustificato.
Era accaduto che il decreto ministeriale 23 settembre 2010 di indizione delle procedure di selezione era stato impugnato avanti al Tribunale di Matera da un dipendente collocato in posizione deteriore e non utile in graduatoria.
Con sentenza n. 1063/2013, il Tribunale di Matera, Sezione Lavoro, aveva dichiarato la nullità dell’art. 2, comma 2, di detto D.M. di indizione delle procedure nella parte in cui disponeva che il possesso del requisito della permanenza non inferiore a due anni nella fascia retributiva di appartenenza dovesse essere valutato alla data di scadenza di presentazione della domanda di partecipazione (27 ottobre 2010) anziché al 31 dicembre 2009 (data del possesso degli altri requisiti di partecipazione) e conseguentemente la nullità della graduatoria approvata con D.M. 21 marzo 2011 nella parte in cui erano inclusi i dipendenti non in possesso del requisito della permanenza non inferiore ai due anni nella fascia retributiva F1 al 31 dicembre 2009, ordinando all’amministrazione di espungere tali dipendenti dalla graduatoria.
Tale sentenza era stata confermata dalla Corte d’appello di Potenza e il ricorso per cassazione proposto dal Ministero era stato dichiarato inammissibile con sentenza n. 2131/2020 con conseguente passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale di Matera (c.d. giudicato Giacoia).
Il Ministero aveva quindi disposto la modifica della graduatoria espungendo dalla stessa le odierne controricorrenti e quindi preannunciato il recupero delle somme percepite dalle dipendenti per effetto della progressione economica illegittimamente disposta.
In sede di ricorso le dipendenti avevano dedotto l’esistenza di una situazione giuridica di legittimo affidamento, l’imputabilità della condotta a colpa della P.A., l’esito di altre impugnazioni del medesimo bando di segno opposto alla decisione del Tribunale di Matera.
Si costituiva il Ministero chiedendo il rigetto del ricorso.
Il Tribunale di Ancona rigettava le domande.
Proponevano appello le dipendenti censurando la sentenza di primo grado per aver deciso senza ammettere le prove testimoniali ed evidenziando la percezione in buona fede delle somme di cui alla
domanda di restituzione nonché il passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’appello di Ancona n. 232/2019 (in causa COGNOME) in cui, contrariamente alla pronuncia del Tribunale di Matera, era stato escluso il dedotto vizio di illegittimità del bando di selezione e ritenuta valida l’ammissione e la partecipazione dei 92 soggetti ed ancora insistendo sulla dedotta perdita di chance.
La Corte d’appello, nel contraddittorio con il Ministero, accoglieva l’appello riformando la sentenza impugnata nel senso della non ripetibilità delle somme indebitamente percepite al titolo dedotto in causa e ritenendo tale aspetto di valenza assorbente rispetto ad ogni altra questione sollevata dalle sigg.re COGNOME e COGNOME.
In particolare, la Corte territoriale riteneva che le appellanti non fossero tenute a restituire le somme ritenute indebite e ciò: – per il comportamento colposo in capo all’amministrazione che per ben dieci anni non si era mai adoperata per verificare che i dipendenti, beneficiari della progressione economica in contestazione, fossero effettivamente informati circa i seri profili di problematicità sollevati in sede giudiziale e inerenti alla validità della selezione cui avevano partecipato (comportamento nell’ambito del quale si iscriveva anche la circostanza che il giudicato invocato dl Ministero si era formato senza che la Suprema Corte avesse potuto esaminare il merito della questione ad esso sottesa); per il tempo trascorso tra l’erogazione delle somme ritenute indebite e la richiesta di restituzione delle stesse; – per il legittimo affidamento nella situazione determinata dall’altrui contegno colposo, ossia per esservi una condizione soggettiva travalicante i limiti della mera buona fede dell’ accipiens contemplata dall’art. 2033 cod. civ.
Avverso tale sentenza il Ministero ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno resistito con controricorso.
Il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Le controricorrenti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo il Ministero denuncia, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2909 cod. civ.
La Corte di merito avrebbe erroneamente dichiarato non dovute dalle dipendenti le somme incassate quale maggiore retribuzione, in conseguenza del transito nella fascia retributiva F2 dell’area III^, in forza di un procedimento di selezione per progressione interna, progressione poi venuta meno con ritorno nella Fascia F1, a seguito dell’esecuzione, da parte del Ministero, di un giudicato nel frattempo intervenuto, che aveva dichiarato illegittime le graduatorie di progressione di cui le medesime dipendenti avevano beneficiato.
La Corte d’appello, pur riconoscendo la sussistenza di un principio giurisprudenziale secondo il quale in materia di impiego pubblico privatizzato, nel caso di domanda di ripetizione dell’indebito proposta da una amministrazione nei confronti di un proprio dipendente in relazione alle somme corrisposte a titolo di retribuzione, qualora risulti accertato che l’erogazione era avvenuta sine titulo , la ripetibilità delle somme non potrebbe essere esclusa per la buona fede dell’ accipiens , ha tuttavia ritenuto sussistente un caso di affidamento incolpevole che sarebbe fondato, in primo luogo, sulla negligente gestione del contenzioso dal parte dell’amministrazione, come sarebbe evidente dal tenore della pronuncia della Corte di Cassazione di inammissibilità del ricorso proposto dalla PA, che aveva fatto riferimento alla grossolanità degli errori inerenti alla denuncia di violazione delle norme del CCNL e del bando di selezione.
A giudizio della Corte di merito sulla controversia in esame, che aveva portato al passaggio in giudicato dell’annullamento della
selezione, si sarebbe formato un giudicato ‘per ragioni estranee agli aspetti sostanziali della vicenda controversa’, come sarebbe dimostrato anche dall’esito di analoghi giudizi instaurati fra parti diverse, con giudicati di contenuto contrastante rispetto alla pronuncia del Tribunale di Matera n. 1063/2013.
L’affidamento incolpevole, frutto di tale comportamento ritenuto superficiale, dunque colposo, della controparte, andrebbe, secondo la sentenza di appello, tutelato, quantomeno in termini di non ripetibilità delle somme richieste in restituzione.
Ad avviso del ricorrente la sentenza è erronea in termini di operazione interpretativa sulla valenza più o meno estesa o attenuata dei caratteri tipici dell’indebito oggettivo di cui all’art. 2033 cod. civ. che, di fatto, ha determinato una non applicazione di tale norma.
Assume il Ministero che sussiste un obbligo di ripetere le somme indebitamente corrisposte essendo l’interesse pubblico in re ipsa .
Il motivo è fondato.
Il Tribunale di Matera ha accolto il ricorso di NOME COGNOME e, con sentenza n. 1063/2013, ha annullato la graduatoria nella parte ove aveva incluso dipendenti non in possesso del requisito della permanenza biennale nella fascia retributiva F1 alla data del 31 dicembre 2009. Il ricorso del COGNOME era stato notificato pure a NOME COGNOME e NOME COGNOME che erano rimaste contumaci.
La sentenza del Tribunale di Matera era stata confermata in appello con decisione n. 36/2015 e l’impugnazione in cassazione era stata ritenuta inammissibile con ordinanza n. 21313 del 5 dicembre 2020.
Il Ministero dell’Interno, con d.m. 25 novembre 2020, ha dato esecuzione alla sentenza del Tribunale di Matera, escludendo dalla graduatoria 92 vincitori, tra i quali le controricorrenti, e inserendovi altrettanti concorrenti in precedenza non risultati vincitori.
In particolare, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono state retrocesse in F1 con d.m. 4 dicembre 2020.
4. Le controricorrenti hanno , ab initio , sostenuto di aver percepito le differenze stipendiali corrisposte dal Ministero, ed adeguate alla fascia retributiva superiore, nella più totale buona fede ed hanno sottolineato che la situazione venutasi a creare era imputabile unicamente a colpa della Pubblica Amministrazione, che, almeno stando alla pronuncia del Tribunale di Matera, aveva in maniera illegittima indicato i requisiti necessari per l’accesso alla selezione per l’attribuzione della fascia retributiva superiore.
Hanno, inoltre, fanno riferimento ad altri giudicati, intervenuti successivamente, che hanno avuto esito diverso da quello che ha dato origine al presente giudizio.
Hanno, altresì, evidenziato che, comunque, erano state svolte una serie di mansioni e di compiti inseriti in un disegno complessivo di sviluppo delle professionalità già esistenti e che vi era stato un apporto professionale maggiore proprio perché le allora dipendenti in quanto beneficiarie della progressione economica erano state ‘utilizzate’ in maniera diversa soprattutto valorizzando il patrimonio di esperienze acquisito nel tempo.
In sede di memoria, le controricorrenti hanno richiamato il giudicato costituto dalla sentenza n. 232/2019 emessa dalla Corte d’appello di Ancona (c.d. giudicato COGNOME) ed invocato il principio del giudicato successivo (tanto, invero, era stato anche dedotto in sede di appello come si evince dalla pag. 2 della sentenza qui impugnata).
Detta sentenza, di segno opposto a quella del Tribunale di Matera, è stata difatti impugnata avanti la Corte di Cassazione ed il relativo procedimento è stato rubricato al RG n. 5057/2020.
La Corte di Cassazione ha, in data 19.10.2021, emesso decreto con il quale ha dichiarato estinto il procedimento RG n. 5057/2020, a seguito della rinuncia da parte del ricorrente alla impugnazione.
La stessa Corte territoriale ha in qualche modo affrontato il tema del contrasto di giudicati là dove ha così affermato (pag. 5):
‘Oltretutto, che la questione di merito, inerente alla legittimità o meno del bando di selezione in argomento, non fosse senz’altro da risolversi in senso sfavorevole alle odierne appellanti, si ricava dalla circostanza del formarsi, rispetto ad analoghi giudizi instaurati fra parti diverse, di giudicati di contenuto contrastante rispetto alla pronuncia del Tribunale di Matera n. 1063/2013. Ciò induce ad escludere che il convincimento delle appellanti, circa la piena spettanza delle differenze retributive loro erogate a titolo di progressione economica dalla Fascia 1 alla Fascia 2, sia stato frutto di superficialità o di mera ignoranza dei contenuti della Contrattazione Collettiva ovvero del bando di selezione, essendo, viceversa, tali contenuti di tutt’altro che univoco significato anche per l’Autorità Giurisdizionale’.
5. Le questioni che vengono in rilievo sono, dunque, quella relativa alla sussistenza o meno di un obbligo conformativo in relazione alla sentenza del Tribunale di Matera (posto dal Ministero a base della legittimità della ripetizione) e quella concernente il criterio di prevalenza dei giudicati (posto dalle controricorrenti, in subordine rispetto alla prospettata esistenza di una colpa dell’Amministrazione, a fondamento dell’insussistenza di un indebito).
Al riguardo si osserva che la pronuncia resa al termine della controversia c.d. COGNOME conteneva l’accoglimento di una domanda di annullamento, in parte qua , della graduatoria menzionata e che, quindi, aveva, per la parte che rileva, natura costitutiva (la sentenza c.d. COGNOME, invece, era di rigetto).
Ai fini della decisione del ricorso rileva proprio la tipologia di sentenza emessa all’esito del caso c.d. Giacoia. Infatti, il giudice può pronunciare, in sede di cognizione, tre tipologie di sentenze: a) quelle di accertamento; b) quelle di condanna; c) quelle costitutive. Le decisioni sub c), che hanno il fondamento normativo nell’art. 2908 cod. civ. e sono tipizzate dalla legge, sono rese in seguito all’esercizio di azioni (di cognizione) dette, appunto, costitutive, che si differenziano
da quelle di accertamento e di condanna perché, con esse, si compie un accertamento collegato a una situazione giuridica sostanziale per stabilire se vi siano le condizioni previste dalla legge per produrre un mutamento giuridico. L’azione costitutiva tende, allora, a ottenere dal giudice una sentenza che, sulla base di un accertamento, costituisce, modifica o estingue un rapporto giuridico sostanziale.
6. Tanto precisato, si osserva che al formarsi della cosa giudicata formale nella vicenda COGNOME è seguito un effetto di cosa giudicata sostanziale che ha comportato l’annullamento della graduatoria in esame e la sua definitiva riformulazione. Nella vicenda c.d. COGNOME si ha sempre la formazione di un giudicato formale, ma la conseguenza in termini di cosa giudicata sostanziale, ossia di accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato formale che fa stato nei confronti delle parti, dei loro eredi o aventi causa, è ben diversa, in quanto, prescinde dall’ormai intervenuta modifica definitiva della graduatoria stabilita dal giudicato Giacoia e definisce la lite facendo salva detta graduatoria che, però, era ormai stata definitivamente superata. In presenza di sentenze costitutive, invero, la modifica delle situazioni giuridiche venuta in essere, ove definitiva, come nella specie, non può più essere rimossa da pronunce successive, anche se fondate su ricostruzioni diverse e, in apparenza, incompatibili, le quali sono, in pratica, inutiliter datae , in assenza, ormai, di ogni interesse alla decisione, non esistendo più la precedente graduatoria che pertanto, non può essere ripristinata dall’autorità giudiziaria. Il giudizio COGNOME, in pratica, una volta definitivamente annullata detta graduatoria, non poteva più avere ad oggetto la validità della stessa.
Bisogna ritenere, allora, che la fattispecie non integri un conflitto fra giudicati che presuppone l’identità di tutte le persone, del petitum e della causa petendi delle cause, restando irrilevante, a tal fine, l’eventuale identità delle questioni giuridiche o di fatto da esaminare per pervenire alla decisione (Cass., Sez. 1, n. 18232 del 3 luglio 2024)
-, risolvibile applicando il menzionato criterio della prevalenza di quello successivo, atteso che il giudicato c.d. COGNOME, pur essendo posteriore, aveva interessato, diversamente da quello c.d. COGNOME, un bene della vita non più esistente. E in tal senso depone anche il decreto di estinzione pronunciato da questa Corte che ha definito tale giudizio (decreto Cass. n. 28767 del 2021), in quanto lo stesso è intervenuto a seguito della rinuncia al ricorso proposta da NOME COGNOME una volta che era già intervenuta la pronuncia COGNOME favorevole.
Inoltre, nella causa definita dal Tribunale di Matera, vi era stata una domanda di annullamento promossa dal COGNOME contro la P.A. L’esito del giudizio era stato l’annullamento della graduatoria e la sua riformulazione, ma detto esito aveva riguardato il rapporto fra il COGNOME medesimo e la P.A. L’integrazione del contraddittorio disposta nei confronti degli altri partecipanti alla procedura non aveva comportato la proposizione, da parte loro, di una domanda analoga a quella del COGNOME. Al contrario, essi erano rimasti inerti e la notifica del ricorso era servita solo a rendere opponibile la sentenza che aveva regolato il rapporto fra lo stesso COGNOME e il datore di lavoro. Lo stesso era avvenuto nella vicenda COGNOME. La sentenza definitiva aveva accertato la legittimità della graduatoria con riferimento alla domanda del COGNOME, ma analogo specifico accertamento non vi era stato per quel che concerne gli altri intimati. In entrambe le situazioni, non è possibile riconoscere a coloro che sono stati messi in condizione di partecipare al giudizio, ma non siano intervenuti e non abbiano proposto domande, di fondare, sul giudicato finale, un diritto soggettivo proprio, autonomo e distinto da quello altrui, nonostante nel procedimento ove siffatto giudicato si è formato non ne abbiano chiesto la tutela. Pertanto, i due processi, COGNOME e COGNOME, si differenziavano in quanto il primo aveva ad oggetto la domanda di annullamento del COGNOME, mentre il secondo quella del COGNOME. Nelle due controversie la presenza delle altre parti
non aveva comportato un’estensione a loro di tali domande, ma semplicemente reso efficace le specifiche statuizioni definitive del giudice verso il COGNOME e il COGNOME. Vi erano, quindi, due liti, con domande diverse, ma inerenti alla medesima questione giuridica. La specificità degli effetti dei due giudicati è coerente con la natura delle sentenze, le quali pongono una regola che disciplina il caso concreto e riguarda solo le parti che hanno proposto domande e quelle che si sono opposte.
Solo in un secondo momento vi era stata un’ulteriore attività della P.A. che, nell’esercizio dei suoi poteri datoriali, aveva esteso a tutti i dipendenti le conseguenze dell’annullamento, definitivo, della graduatoria de qua , contenuto nella sentenza COGNOME. Più precisamente, l’atto con il quale il Ministero ha reso generali, con riferimento a ogni interessato, gli effetti della pronuncia c.d. COGNOME è un atto gestorio di diritto privato del rapporto di lavoro posto in essere dal datore nell’esercizio dei suoi poteri, che deve essere adottato nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede (Cass., Sez. L, n. 24122 del 3 agosto 2022). Per l’esattezza, la P.A., nell’estendere il giudicato c.d. COGNOME, era obbligata a tenere una condotta omogenea verso tutti gli interessati e a rispettare il giudicato favorevole a chi avesse contestato la citata graduatoria.
Vanno menzionate anche le considerazioni espresse dalla giurisprudenza amministrativa in alcune fattispecie concernenti atti amministrativi contemporaneamente efficaci verso una pluralità di persone, pur nella consapevolezza della specificità della disciplina degli effetti del giudicato del giudice amministrativo. L’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con le sentenze n. 4 e n. 5 del 27 febbraio 2019, in giudizi concernenti l’impugnazione del d.m. n. 400 del 12 giugno 2017 (recante le procedure per l’aggiornamento e l’integrazione della graduatorie ad esaurimento -GAE per il personale docente ed educativo relative al triennio 2014-2017, poi prorogato al 2019) ha
affermato che « il giudicato amministrativo ha di regola effetti limitati alle parti del giudizio e non produce effetti a favore dei cointeressati che non abbiamo tempestivamente impugnato. Infatti, il giudicato amministrativo – in assenza di norme ad hoc nel codice del processo amministrativo – è sottoposto alle disposizioni processualcivilistiche, per cui il giudicato opera solo inter partes, secondo quanto prevede per il giudicato civile l’art. 2909 cod. civ. (‘ L’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa’ )». In particolare, gli effetti del giudicato amministrativo di accertamento della pretesa, ordinatori, e conformativi operano sempre inter partes , essendo solo le parti legittimate a fare valere la violazione dell’obbligo conformativo o dell’accertamento della pretesa contenuto nel giudicato (Cons. Stato, n. 5634 del 1° dicembre 2017; Cons. Stato, n. 6964 del 5 dicembre 2005; Cons. Stato, n. 4977 del 5 settembre 2003; Cons. Stato, n. 4253 del 2 agosto 2000; Cons. Stato, n. 1142 del 6 marzo 2000; Cons. Stato, n. 276 del 9 aprile 1994; Cons. Stato, n. 561 del 18 luglio 1990). Quanto esposto rafforza le conclusioni di questo Collegio nella presente vicenda, ove la pretesa dell’originaria ricorrente è fondata su una non consentita estensione degli effetti conformativi/additivi di precedenti decisioni, rese a definizione di giudizi promossi da altri destinatari dell’atto impugnato, come peraltro previsto anche dall’art. 2909 cod. civ.
Altro profilo che rende palese come un conflitto di giudicati non sia immaginabile è la condotta della P.A. Come all’esito del processo COGNOME era quest’ultimo a potere vantare una pretesa ormai definitiva verso l’Amministrazione, dopo la controversia COGNOME era la P.A. l’unica a potere opporre, al medesimo COGNOME, il rigetto della sua domanda. Il Ministero, però, ha deciso di estendere gli effetti del giudicato COGNOME a tutti gli interessati, così palesando il suo disinteresse nei confronti del procedimento COGNOME che, non a caso, si è estinto per volontà del lavoratore, ormai beneficiario del recepimento della sentenza COGNOME
da parte della P.A. Un eventuale conflitto di giudicati è, dunque, escluso anche dal modo di agire della P.A., la quale era il solo soggetto che, in realtà, avrebbe potuto utilizzare, ove fosse stato possibile (il che, in realtà, come detto, va escluso), la sentenza COGNOME per paralizzare quella COGNOME.
Ciò conferma, anzi, che i due primi giudizi non erano fra loro realmente sovrapponibili, poiché il secondo era stato definito dopo l’esercizio del potere datoriale di adeguamento al giudicato c.d. COGNOME e, quindi, di modifica, ormai definitiva, della graduatoria, il cui contenuto era stato già cambiato all’epoca del giudicato c.d. COGNOME.
Per ripristinare l’identità dei giudizi sarebbe stata necessaria una previa revoca della decisione della P.A. di adeguamento al primo giudicato o una decisione giudiziaria che tale decisione avesse rimosso il che, però, non risulta sia mai stato oggetto di discussione.
A deporre in senso contrario all’esistenza di un conflitto di giudicati è anche la circostanza che il giudicato formale c.d. COGNOME riguardava unicamente il ricorrente, che non aveva convenuto tutti gli interessati, ma solo un numero ristretto di persone, mentre quello c.d. COGNOME seguiva a un ricorso destinato a definire l’intera vicenda concorsuale verso tutti i controinteressati.
La causa introdotta da NOME COGNOME e NOME COGNOME aveva ad oggetto principalmente l’accertamento ‘dell’illegittimità’ dell’atto di retrocessione e della conseguente richiesta di recupero avanzata dalla P.A., senza coinvolgere altri lavoratori. I procedimenti introdotti da COGNOME e NOME non avrebbero, invece, mai potuto interessare l’atto di retrocessione e la conseguente richiesta di recupero della P.A. Ne deriva una diversità di contenuto e soggettiva fra i giudicati delle controversie COGNOME e NOME (che, come evidenziato, si distinguono pure fra di loro) e il giudizio instaurato dalla COGNOME e dalla COGNOME. L’oggetto del contendere è, quindi, nel
presente giudizio, simile, ma differente da quello delle liti precedenti, a loro volta non sovrapponibili.
Peraltro, se anche si accogliesse la prospettazione delle controricorrenti, per cui vi sarebbe, nella specie, un conflitto fra giudicati (tesi qui respinta), l’esito del giudizio sarebbe sempre favorevole alla P.A. Infatti, risulta che, pendente il giudizio COGNOME, si era concluso quello COGNOME. Secondo le dipendenti, i processi presentavano identità di petitum , causa petendi e personae ed erano stati pendenti davanti a diversi tribunali e corti d’appello.
Era applicabile, allora, l’art. 39 cod. proc. civ., in base al quale, per quel che rileva, ‘Se una stessa causa è proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito, in qualunque stato e grado del processo, anche d’ufficio, dichiara con ordinanza la litispendenza e dispone con ordinanza la cancellazione della causa dal ruolo.
Nel caso di continenza di cause, se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il giudice di questa dichiara con ordinanza la continenza e fissa un termine perentorio entro il quale le parti debbono riassumere la causa davanti al primo giudice. (…)’.
La regola appena enunciata è chiara e univoca: in presenza di più cause pendenti davanti a giudici diversi, che siano identiche o in rapporto di continenza, quella introdotta successivamente deve essere cancellata dal ruolo o, nella seconda eventualità, riassunta davanti al primo giudice, ove sia competente a deciderla (competenza che, nella specie, sicuramente sussisteva). Ne deriva che, se vi sono due procedimenti riconducibili allo schema dell’art. 39 cod. proc. civ., uno dei due, tendenzialmente il secondo, deve essere deciso in rito. Si tratta di una regola generale che attiene alla validità del processo e non semplicemente alla sua organizzazione e che non può subire deroghe di alcun tipo, se non espressamente introdotte dalla legge. Ne consegue, ulteriormente, che, nelle ipotesi indicate dall’art. 39 cod. proc. civ., non
può esservi un vero contrasto fra giudicati e che, qualora il secondo giudizio venga (erroneamente) definito nel merito, il relativo giudicato è solo apparente e cedevole rispetto al primo. Pertanto, ove, in un terzo procedimento, si debba accertare quale prevalga, fra due giudicati di merito resi in precedenza in casi che avrebbero dovuto essere definiti ai sensi dell’art. 39 cod. proc. civ., il giudice di tale procedimento deve tenere conto dell’avvenuta violazione del citato art. 39 cod. proc. civ. e della natura apparente e, dunque, non vincolante, del secondo giudicato, che avrebbe dovuto essere deciso in rito. Il nostro sistema processuale non consente, una volta instaurato davanti a una corte un giudizio, che, presso una corte differente, ne sia introdotto e deciso, non in rito, con efficacia di giudicato sia formale sia sostanziale, un secondo identico, magari al fine precipuo di eludere una precedente sentenza non gradita. In presenza, quindi, di sentenze (non in rito) passate in giudicato in fattispecie identiche o, comunque, riconducibili al concetto di continenza e rese in occasione di procedimenti contemporaneamente pendenti davanti a uffici giudiziari diversi, il secondo giudicato è apparente e prevale il primo.
Ma questa evenienza qui non si verifica, essendo le fattispecie esaminate rispettivamente nei due giudicati non identiche né comunque, riconducibili al concetto di continenza.
Va quindi escluso che ci fosse un contrasto tra giudicati.
Del tutto legittimamente il Ministero, non vincolato da alcun giudicato successivo, ha deciso di estendere gli effetti del giudicato COGNOME a tutti gli interessati ed ha proceduto per il recupero delle somme indebitamente corrisposte, esclusa ogni rilevanza a profili di colpa dell’agire amministrativo (che certo non può essere collegata all’esito del procedimento intentato innanzi al Tribunale di Matera da NOME COGNOME) ovvero anche (vertendosi in ambito di atti paritetici di gestione dei rapporti di lavoro, adottati con i poteri e le capacità del datore di lavoro privato) la necessità di applicare le norme
sul procedimento amministrativo (cfr. ex multis Cass., Sez. L, n. 23827 del 2 settembre 2021).
12. Tanto chiarito, è costante l’indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo cui in tema di indebito oggettivo la P.A., anche nel rispetto dei principi sanciti dall’art. 97 Cost., è tenuta al ripristino della legalità violata mediante la ripetizione delle somme corrisposte senza titolo e la restituzione delle stesse è del tutto estranea alla buona fede del percipiente.
Una volta qualificata la situazione giuridica come indebito oggettivo, non potrebbe che discenderne, avuto riguardo alla specificità della materia del pubblico impiego, l’applicazione integrale della disciplina dettata dall’art. 2033 cod. civ., in tema di irrilevanza di un’eventuale buona fede dell’ accipiens .
Come condivisibilmente affermato dal P.G., in materia di impiego pubblico privatizzato, nel caso di domanda di ripetizione dell’indebito proposta da un’amministrazione nei confronti di un proprio dipendente, in relazione alle somme corrisposte a titolo di retribuzione, qualora risulti accertato che l’erogazione è avvenuta ‘ sine titulo’ , la ripetibilità delle somme non può essere esclusa ex art. 2033 cod. civ. per la buona fede dell’ ‘ accipiens ‘, in quanto questa norma riguarda, sotto il profilo soggettivo, soltanto la restituzione dei frutti e degli interessi’ (v. Cass., Sez. L, n. 4323 del 20 febbraio 2017).
Infatti, in conformità all’interpretazione già resa da questa Corte, nel caso di corresponsione di somme sine titulo , la pubblica amministrazione ha il diritto di ripetere gli importi già erogati ai lavoratori, aventi carattere di indebito, dovendosi escludere l’illegittimità costituzionale dell’art. 2033 cod. civ., riletto alla luce della giurisprudenza della CEDU, con riferimento all’omessa previsione dell’irripetibilità dell’indebito retributivo e previdenziale non pensionistico là dove le somme siano state percepite in buona fede e la condotta dell’ente erogatore abbia ingenerato nel percettore un
legittimo affidamento circa la loro spettanza posto che l’ordinamento nazionale delinea un quadro di tutele dell’affidamento legittimo sulla spettanza di una prestazione indebita, il cui fondamento va rinvenuto nella clausola generale di cui all’art. 1175 cod. civ., che, vincolando il creditore a esercitare la sua pretesa tenendo in debita considerazione la sfera di interessi del debitore, può determinare, in relazione alle caratteristiche del caso concreto, la temporanea inesigibilità del credito, totale o parziale, con conseguente dovere del creditore di accordare una rateizzazione del pagamento in restituzione (Cass., Sez. L, n. 24807 del 18 agosto 2023; Cass., Sez. L, n. 14142 del 21 maggio 2024).
Conseguentemente vanno distinti il piano della tutela dell’affidamento e quello della prestazione pecuniaria restitutoria (e del quomodo della stessa), nel senso dell’utilizzazione di modalità che il giudice reputi conformi a buona fede oggettiva.
Siffatti principi vanno ribaditi anche nel caso di specie, restando peraltro inapplicabile alla fattispecie il principio evocato dalla pronuncia di merito di cui a sez. I della Corte EDU, 11 febbraio 2021, n. 4893 del 2013, trattandosi nel caso oggi in discussione di emolumenti corrisposti da una pubblica amministrazione, ma in ordine ad una progressione sottoposta a valutazioni giurisdizionali di cui i lavoratori erano a conoscenza e, dunque, inidonea a fondare anche in astratto il preteso legittimo affidamento sulla spettanza definitiva delle somme.
Da tanto consegue che il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Ancona che, in diversa composizione, procederà ad un nuovo esame tenendo conto dei principi sopra affermati e provvederà alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il ricorso;
-cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito anche in ordine alle spese di lite di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione