Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 34152 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 34152 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 23/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21126/2020 R.G. proposto da:
AZIENDA ULSS 3 COGNOME (già USL 12 VENEZIANA), in persona del Direttore generale p.t., NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore generale e legale rappresentante p.t., NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
– controricorrente- e sul ricorso incidentale proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Direttore generale e legale rappresentante p.t., NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente incidentale-
e nei confronti di
AZIENDA ULSS 3 RAGIONE_SOCIALE;
-intimata- avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n. 779/2020, depositata il 02/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 06/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 2476/2015 il Tribunale di Venezia condannava il RAGIONE_SOCIALE San Marco RAGIONE_SOCIALE al pagamento di euro 109.790,12 in favore dell’Azienda USL 3 Serenissima, accogliendo parzialmente la domanda di quest’ultima avente ad oggetto la ripetizione delle somme che riteneva di avere corrisposto indebitamente al RAGIONE_SOCIALE San Marco RAGIONE_SOCIALE a titolo di remunerazione, relativamente agli anni 2006 e 2007, delle prestazioni sanitarie per causa di errori di attribuzione dei codici corrispondenti alla tariffa che avevano comportato una remunerazione maggiore di quella dovuta e/o per la scelta di eseguire determinate prestazioni
secondo modalità più dispendiose, in assenza di effettive necessità terapeutiche. In particolare, il tribunale condannava il policlinico convenuto a restituire solamente gli importi relativi alle prestazioni per le quali aveva riconosciuto l’errore di codifica, rigettava, per difetto di prova e per mancata produzione delle cartelle cliniche, la domanda relativamente alle altre somme richieste.
La Corte d’Appello di Venezia, con sentenza n. 779/2020, depositata il 02/03/2020, ha confermato la sentenza del giudice di primo grado.
Segnatamente ha ritenuto che:
la domanda dovesse essere intesa come volta a far accertare la sussistenza di un indebito oggettivo, ex art. 2033 cod.civ., in <> (p. 6), con conseguente onere della prova a carico del creditore istante dell’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte asseritamente non dovuta;
b) con riferimento al primo semestre 2006 mancava la prova della difformità fra i codici attribuiti e quelli che avrebbero dovuto essere attribuiti sulla base della normativa regionale, non avendo l’istante depositato le cartelle cliniche e le schede di dimissione ospedaliera né chiesto, ex art. 210 cod.proc.civ., un ordine di esibizione e non potendosi sopperire alla suddetta lacuna probatoria con una C.T.U. che sarebbe stata meramente esplorativa;
quanto alla pretesa restitutoria delle somme pagate in eccesso per non aver scelto il Policlinico San Marco S.p.A. il trattamento ambulatoriale, meno dispendioso, ha rilevato, come aveva già aveva fatto il tribunale, che soltanto con le delibere di giunta regionale n. 2468/2006 e 3247/2006 erano state introdotte regole più stringenti, mentre nella delibera di giunta regionale n. 2883/2003 faceva difetto alcuna indicazione obbligatoria circa l’esecuzione ambulatoriale del trattamento del tunnel carpale e di
quelli su anca e femore; pertanto, spettava all’Azienda ULSS 3 Serenissima dimostrare caso per caso l’assenza di una causa giustificativa del pagamento effettuato, in ragione della trattabilità ambulatoriale dell’intervento eseguito;
non essendone stata dimostrata la mala fede, il RAGIONE_SOCIALE San Marco RAGIONE_SOCIALE non era tenuto a corrispondere gli interessi legali a far data dal pagamento, ma solo dalla domanda;
ha rigettato la domanda di compensazione proposta dal Policlinico San Marco RAGIONE_SOCIALE non essendovi prova della liquidità, inclusiva della certezza e dell’esigibilità, del suo controcredito verso la Azienda ULSS 3 Serenissima.
L’Azienda ULSS 3 Serenissima ricorre per la cassazione di detta sentenza, formulando quattro motivi, illustrati con memoria.
Il RAGIONE_SOCIALE San Marco RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso e propone ricorso incidentale basato su tre motivi, precisati con memoria.
La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunziata la violazione degli artt. 112 e 116 cod.proc.civ., dell’art. 132 cod.proc.civ., dell’art. 161, 1° comma, cod.proc.civ. e deli artt. 91 e 97 Cost., in riferimento all’art. 360, 1° comma, n.4 cod.proc.civ.
La tesi della ricorrente è che il giudice a quo abbia omesso di pronunciarsi sui motivi di appello, limitandosi a sintetizzare, trascrivendole (spesso senza neppure modificarne termini), le argomentazioni del tribunale, svincolandole dalle doglianze sollevate con l’atto di impugnazione che riproduce nel ricorso al fine di dimostrare la fondatezza dei propri assunti.
Il motivo è infondato.
Anche senza considerare che è intrinsecamente contraddittoria la denuncia, con un unico motivo, dei vizi di omessa pronuncia e di omessa motivazione – il primo dei quali implica la totale mancanza
del provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto e si traduce nella violazione dell’articolo 112 cod.proc.civ., mentre il secondo presuppone che la questione sia stata esaminata dal giudice di merito, che l’abbia tuttavia risolta senza alcuna motivazione o con motivazione apparente, perplessa, illogica o gravemente contraddittoria, e va fatta valere ai sensi dell’articolo 132, comma 2, cod.proc.civ.(Cass. 1°/09/2022, n. 25855) – deve escludersi la sussistenza di entrambi i vizi, perché la corte d’appello si è pronunciata su tutti i motivi di appello e lo ha fatto con una motivazione confermativa di quella del tribunale che non presta il fianco alle critiche denunciate, dovendosi tener conto che nel processo civile è valida anche la sentenza la cui motivazione sia redatta “per relationem” ad un provvedimento giudiziario reso in un altro processo, ove essa resti “autosufficiente”, riproducendo i contenuti mutuati e rendendoli oggetto di autonoma valutazione critica nel contesto della diversa causa, in modo da consentire la verifica della sua compatibilità logico-giuridica, mentre deve ritenersi nulla, ai sensi dell’art. 360, 1 comma, n. 4, cod.proc.civ., la sentenza che si limiti alla mera indicazione dell’esistenza del provvedimento richiamato, senza esporne il contenuto e senza compiere alcun apprezzamento delle argomentazioni assunte nell’altro giudizio e della loro pertinenza e decisività rispetto ai temi dibattuti dalle parti, così rendendo impossibile l’individuazione delle ragioni poste a fondamento del dispositivo (Cass. 10/01/2022, n. 459): ipotesi nella specie non configurabile.
2) Con il secondo motivo si prospetta la violazione degli artt. 1218, 1176, 1375, 2033, 2697, 2700 cod.civ. e degli artt. 115 e 116 cod.proc.civ., in relazione all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
La corte d’appello avrebbe erroneamente negato la ricorrenza di un inadempimento consistente nella mancata erogazione delle prestazioni sanitarie di cui era stato chiesto il pagamento e nella
erronea attribuzione dei codici ovvero nella ipercodifica, accertata dalle indagini eseguite dalla Guardia di Finanza e non contestata dal Policlinico. A supporto di tale tesi la ricorrente adduce che il rapporto tra le parti era regolato da un contratto ex art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, presidiato dai principi di correttezza e di buona fede anche nella fase esecutiva, sicché l’inesatto adempimento degli obblighi assunti per difformità quantitative e qualitative non avrebbe dovuto essere ricondotto all’indebito oggettivo, il quale ricorre esclusivamente nell’ipotesi in cui il vincolo obbligatorio non sia mai sorto o sia venuto meno successivamente; di conseguenza, in applicazione del corretto onere probatorio, spettava al Policlinico San Marco S.p.A. dimostrare di avere eseguito correttamente la prestazione, mentre su di essa, creditrice, gravava solo l’onere di dare la prova della fonte del proprio diritto e se previsto del termine di scadenza e di allegare l’inadempimento. La ricorrente aggiunge che: i) anche riconducendo la domanda promossa all’indebito oggettivo, il solvens per ottenere la restituzione della cosa consegnata all’ accipiens è tenuto a provare l’atto di disposizione, spettando all’ accipiens dimostrare la validità del rapporto sottostante; ii) comunque, diversamente da quanto ritenuto dalla corte d’Appello, era da escludersi che non avesse soddisfatto l’onere della prova, atteso che la casa di cura non aveva negato di aver dato corso a ipercodifiche, affermando di non essere tenuto ad applicare un codice in luogo di un altro ovvero di dover effettuare ambulatorialmente determinati interventi; iii) era incontestata, con l’entrata in vigore delle delibere n. 2468/06 e 3247/06, l’obbligatorietà dei nuovi codici e pertanto la corte d’appello avrebbe dovuto, con riferimento ai mesi di agosto e di ottobre 2006, riconoscere la debenza delle somme richieste, previa C.T.U.
Il motivo è infondato.
Va in primo luogo precisato che quella qui dedotta è una quaestio iuris , perché quando viene lamentato che il giudice di merito, dopo avere ricostruito la quaestio facti secondo le allegazioni e le prove offerte dalle parti, abbia individuato erroneamente i termini della c.d. fattispecie concreta e, quindi, abbia ricondotto quest’ultima ad una fattispecie giuridica astratta piuttosto che ad un’altra cui sarebbe in realtà riconducibile oppure si sia rifiutato di ricondurla ad una certa fattispecie giuridica astratta cui sarebbe stata riconducibile o qualunque fattispecie giuridica astratta, mentre ve ne sarebbe stata una cui avrebbe potuto essere ricondotta, a questa Corte si chiede di valutare non l’attività di ricostruzione e, dunque, l’apprezzamento dei fatti storici, bensì di esprimere un giudizio normativo, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3, cod.proc.civ. (Cass. 12/01/2021, n. 261 e già in termini analoghi Cass. 31/05/2018, n. 13747; Cass. 29/08/2019, n. 21772).
Le quaestiones iuris controverse sono due: a) se l’istituto dell’indebito oggettivo possa essere applicato ad una ipotesi, quale quella per cui è causa, in cui si assuma che la prestazione contrattualmente prevista era inferiore rispetto a quella eseguita; b) come la disciplina dell’indebito interferisca con l’azione restitutoria derivante dalla domanda di accertamento dell’altrui inadempimento contrattuale. L’Azienda ULSS 3 Serenissima aveva fondato la sua domanda, infatti, non solo sulla non debenza di parte della prestazione eseguita perché il contratto tra le parti, quello di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 502/1992, prevedeva a fronte delle prestazioni sanitarie eseguite dal Policlinico San Marco S.p.A. un pagamento inferiore rispetto a quello effettuato, ma anche sul fatto che la casa di cura si fosse resa inadempiente rispetto all’obbligo di eseguire un certo tipo di obbligazioni e non altre (in regime ambulatoriale piuttosto che in regime di ricovero) e per avere fatto riferimento a codici che comportavano una remunerazione maggiore rispetto a quella prevista (come era
emerso dall’accertamento eseguito dai Nuclei Tecnici del Dipartimento di Prevenzione sulle prestazioni relative al primo semestre 2006 che aveva dato luogo ad un procedimento penale per truffa e falso a carico del rappresentante legale del policlinico e di alcuni medici, conclusosi con il non luogo a procedere per mancanza di dolo, stante l’incertezza circa i codici da attribuire, e dal successivo controllo fatto eseguire dalla Azienda ULSS 3 Serenissima da parte del Nucleo aziendale di controllo per le prestazioni erogate nel secondo semestre 2006 e nell’intero 2007).
Ora, gli elementi costitutivi della disciplina dell’indebito oggettivo sono due: a) l’avvenuto pagamento, da intendersi in senso lato come qualunque spostamento patrimoniale; b) la non debenza dello stesso.
Il primo di detti elementi non presenta soverchi problemi: sin da Cass. 2/04/1982, n. 2029, questa Corte, con un indirizzo univoco, ritiene che il termine pagamento non sia riferibile solo ad una somma di denaro, ma sia comprensivo della effettuazione di ogni prestazione derivante da un vincolo obbligatorio che risulti a posteriori non dovuta, abbia essa ad origine un dare o un fac ē re , in ragione della disciplina dell’istituto applicabile anche a cose diverse dal denaro e dalla sua ratio : l’apprestamento di una tutela per tutte le situazioni giuridiche in cui uno spostamento patrimoniale non sia sorretto da una giustificata ragione giuridica. È indubbio, ex adverso , che sulla nozione di pagamento non dovuto si registrino contrasti in dottrina (per una puntuale loro ricostruzione si rinvia a Cass. 04/04/2014, n. 7897). Nondimeno, in giurisprudenza la questione qui posta, ossia quella della pretesa del solvens alla restituzione di una somma di denaro per aver pagato la prestazione contrattuale più del dovuto, è stata regolata in plurime occasioni proprio ricorrendo alla disciplina dell’indebito oggettivo; senza pretesa di completezza cfr.: Cass. 23/02/2006, n. 3994, in tema di restituzione dell’imposta di consumo compresa nel prezzo di
vendita del prodotto; Cass. 11/09/2024, n. 24373, in tema di restituzione delle accise sul gas metano al consumatore; Cass. 23/07/2024, n. 20427, in tema di recupero di somme versate in eccedenza al lavoratore; Cass. 14/07/2023, n. 20361, in tema di mancata fruizione del servizio di depurazione delle acque; Cass. 07/06/2023, n. 16067, in tema di canone di locazione eccedente rispetto al dovuto; Cass., Sez. Un., 02/12/2010, n. 24418, in tema di ripetizione degli interessi anatocistici pagati dal cliente d’una banca in esecuzione d’una clausola di capitalizzazione nulla; Cass. 19/06/2008, n. 16612, in tema di ripetizione del pagamento in eccesso effettuato dal somministrato al somministrante; Cass. 10/03/1997, n. 2111, in tema di ripetizione dei contributi previdenziali versati dal lavoratore transitato dall’uno ad altro ente mutualistico; Cass. 18/02/1985, n. 1401, in tema di ripetizione, da parte dell’ente previdenziale, degli assegni familiari versati all’assicurato privo dei requisiti previsti dalla legge per tale beneficio; Cass. 26/05/1971, n. 1558, in tema di ripetizione del corrispettivo pagato a titolo di revisione prezzi dal committente all’appaltatore in corso d’opera, ed eccedente quello effettivamente dovuto; Cass. 05/04/1966, n. 889, in tema di ripetizione di corrispettivo pagato in eccesso in tema di trasporti ferroviari.
Detta rassegna dimostra che questa Corte interpreta estensivamente l’art. 2033 cod.civ. e ritiene sussistente il requisito del “pagamento non dovuto” tanto nel caso di mancanza originaria del titolo quanto nel caso di mancanza sopravvenuta del titolo, ma altresì nel caso di pagamento eccedente la misura imposta dal titolo; il che consente di superare l’unica critica in iure della ricorrente -critica indispensabile, posto che come si è detto, è stato dedotto un error in iudicando e che pertanto la ricorrente aveva l’onere di indicare specificamente le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente ha ritenuto in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con
l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: Cass. 26/07/2024, n. 208709) che fa leva proprio sull’esistenza di un titolo contrattuale per denunciare l’errore di qualificazione imputato alla corte d’appello (v. pp. 19-20 del ricorso) e le conseguenze derivatene in tema di distribuzione dell’onere della prova (a p. 20, in particolare, la ricorrente sostiene che la pretesa era correlata al rapporto negoziale la cui vigenza non era posta in discussione, con conseguente onere in capo all’ accipiens , ossia al policlinico, di provare la validità della causa di attribuzione della somma di denaro).
Resta l’altra questione che si misura con l’utilizzabilità della disciplina dell’indebito anche per disciplinare gli effetti restitutori derivanti dall’accertamento dell’inadempimento e chiama in causa la natura generale o meno dell’indebito, atteso che gli effetti dei rimedi estintivi del contratto non governano la restituzione delle prestazioni eventualmente eseguite e che l’art. 1463 cod.civ. contiene un richiamo testuale che, travalicando il perimetro della sua collocazione sistematica, parrebbe porre le basi per una comune teoria delle restituzioni da contratto. La dimensione della questione sotto questo profilo va, tuttavia, ridimensionata, perché, in verità, la prospettiva in cui si pone la censura della ricorrente è essenzialmente circoscritta al profilo del differente onere probatorio gravante su chi pretenda tutela restitutoria a fronte dell’altrui inadempimento rispetto a quello posto a carico di chi invoca la restituzione di una prestazione indebita. Ora, è vero che l’odierna ricorrente ha agito perché il RAGIONE_SOCIALE fosse condannato alla restituzione della differenza tra quanto versato e quanto avrebbe dovuto versare se la casa di cura non avesse gonfiato i codici delle prestazioni e se avesse eseguito le prestazioni sanitarie ambulatorialmente piuttosto che in regime di ricovero, facendo valere la responsabilità del policlinico, in via
principale a, titolo di inadempimento contrattuale e, in via subordinata, a titolo di responsabilità aquiliana, ma non hanno errato i giudici di merito a qualificare diversamente la sua domanda: in primo luogo, in considerazione del fatto che la disciplina dell’indebito oggettivo può regolare anche le ipotesi di pagamento eccedente la misura imposta dal titolo; non può esservi dubbio che il pagamento non dovuto sia quello non sorretto da alcuna obbligazione; quello sorretto da un’obbligazione sorta e poi estinta; quello sorretto da una obbligazione qualitativamente o quantitativamente diversa dalla prestazione seguita e dunque tale requisito dovrà ritenersi sussistente non solo quando sia del tutto mancante o sia venuto meno, ma anche quando sia solo parzialmente mancante, come appunto nel caso di pagamento di una somma di denaro in eccesso rispetto alla misura prevista dal contratto; in secondo luogo, perché spetta al giudice di merito qualificare la domanda della parte, tenendo in conto il contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in giudizio, purché ciò avvenga nel rispetto del limite imposto dalla immutazione dei fatti costitutivi della pretesa allegati dalla parte. Il materiale per così dire grezzo che viene portato alla conoscenza del giudice è la precondizione indispensabile all’attività identificativa delle norme applicabili e qualificatoria della domanda svolta; la domanda nel suo nucleo immodificabile viene quindi ad identificarsi, non in relazione al diritto sostanziale eventualmente indicato dalla parte e considerato alla stregua dei fatti costitutivi della fattispecie normativa, ma esclusivamente in base al bene della vita (sia esso la “res” o l’utilità ritraibile come effetto della pronuncia) ed ai fatti storici-materiali che delineano la genesi e lo svolgimento della fattispecie concreta, così come descritta dalle parti e portata a conoscenza del giudice; di conseguenza è compito del giudice individuare, quali tra i fatti allegati assumano rilevanza giuridica, in relazione alla individuazione della fattispecie normativa
astratta in cui tali fatti debbono essere sussunti, indipendentemente dal tipo di diritto indicato dalla parti (Cass. 36272 del 28/12/2023). Ora, nel caso di specie è evidente che i giudici di merito, senza modificare la causa petendi (v. Cass. 23/11/2022, n. 34427 che, in una fattispecie sovrapponibile a quella per cui è causa in cui l’attore aveva dedotto l’inadempimento della controparte, ma il giudice d’appello aveva riqualificato la domanda come azione di ripetizione dell’indebito, ha ritenuto ammessa detta diversa qualificazione), abbiano valorizzato non già gli elementi volti a dimostrare il comportamento asseritamente colposo della società RAGIONE_SOCIALE, cioè il ruolo da essa assunto per ottenere un corrispettivo maggiore rispetto a quello che contrattualmente gli sarebbe spettato, ma il dato oggettivo della differenza quantitativa tra la prestazione di pagamento eseguita e quella che avrebbe dovuto essere eseguita in base agli impegni assunti.
Operata detta riqualificazione, hanno fatto conseguentemente corretta applicazione dei criteri di ripartizione dell’onere della prova di cui all’art. 2697 cod. civ.
Infatti, occorre prendere le mosse dal principio secondo il quale chi allega di avere effettuato un pagamento dovuto solo in parte ha l’onere di provare l’inesistenza di una causa giustificativa del pagamento per la parte che si assume non dovuta (Cass. 14/05/2012, n. 7501; Cass. 13/02/1998, n. 1557; Cass. 12/06/2020, n. 11294; Cass. 23/11/2022, n. 34427). Si è, sul punto, chiarito che, poiché l’inesistenza della causa debendi -parziale, se l’obbligo è esistente in minor misura – è un elemento costitutivo (unitamente all’avvenuto pagamento e al collegamento causale) della domanda di indebito oggettivo, la relativa prova mediante fatti positivi contrari, o anche presuntivi -incombe sull’attore (Cass. 13/02/1998, n. 1557).
3) Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione dell’art. 360, 1° comma, n.5 cod.proc.civ., per non avere il giudice a quo tenuto conto che le cartelle cliniche e le schede di dimissione dei pazienti erano state acquisite dalla Guardia di finanza e che per tale ragione non aveva la loro disponibilità, a differenza del Policlinico San Marco S.p.A. che però aveva omesso di produrle e che per non averne ordinato l’esibizione, nonostante le avesse ritenute fondamentali per la decisione.
Il motivo è inammissibile.
Innanzitutto, la censura è stata dedotta senza alcun confronto con la impugnata sentenza, in particolare con il § 5.5 e il § 5.9, ove è spiegato perché il giudice a quo abbia disatteso la doglianza dell’odierna ricorrente in ordine al mancato esercizio dei poteri istruttori. Soprattutto dal § 5.5, si evince che la corte d’appello ha stigmatizzato il fatto che l’odierna ricorrente non abbia chiesto ex art. 210 cod.proc.civ. che altri producessero le cartelle cliniche e le schede di dimissione dei pazienti.
4) Con il quarto motivo la ricorrente denunzia la violazione dell’art. 4 della LR n. 34/2007, degli artt. 9 e 6 del Reg. UE n. 679/2016 nonché del principio di tutela dei dati personali e della privacy, nonché dell’art. 2 sexies e 2 decies d.lgs. n. 196/2003 come modificato dal d.lgs. n. 101/2018, in riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ. e la violazione dell’art. 116 cod.proc.civ.
La corte d’appello avrebbe preteso la produzione in giudizio delle cartelle cliniche che, contenendo dati sensibili, non avrebbero potuto essere divulgate, pena la violazione del segreto professionale e delle disposizioni in tema di tutela della privacy .
Il motivo è inammissibile.
La scelta difensiva della ricorrente di non articolare in appello detta censura avverso la statuizione con cui era stata condannata a pagare la compensazione, le preclude di formulare in sede di
legittimità una doglianza modificativa della sua precedente impostazione difensiva, perché nel giudizio di cassazione, a parte le questioni rilevabili d’ufficio (sulle quali non si è formato il giudicato) non è consentita la proposizione di doglianza che ponga a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nel pregresso giudizio di merito e che nello stesso avrebbero potuto essere formulate. I motivi del ricorso per cassazione, infatti, devono investire – a pena di inammissibilità – questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità, questioni nuove o nuovi temi di contestazione non dedotti nella fase del merito, né rilevabili d’ufficio (cfr. ex multis Cass., Sez. Un., 13/10/2009, n.21658, in motivazione).
5) Con il primo motivo il RAGIONE_SOCIALE San Marco RAGIONE_SOCIALE denunzia la violazione dell’art. 75 cod.proc.pen., l’omessa pronuncia di accertamento della rinunzia parziale agli atti del giudizio limitatamente alla domanda relativa ai ricoveri del primo semestre 2006, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4, cod.proc.civ.
Il giudice a quo , non pronunciandosi sul primo motivo di appello incidentale, avrebbe implicitamente confermato l’accertamento del tribunale quanto all’infondatezza dell’eccezione di rinunzia parziale agli atti del giudizio limitatamente alla domanda relativa ai ricoveri del primo semestre 2006 in ragione della non coincidenza tra i soggetti coinvolti nel giudizio penale e nel giudizio civile. L’errore sarebbe quello di aver ritenuto che la costituzione di parte civile della Azienda ULSS 3 Serenissima abbia determinato il sorgere sul piano processuale di un rapporto tra essa e il direttore generale del policlinico, quale persona fisica e non quale rappresentante legale della casa di cura all’epoca dei fatti. Avendo l’Azienda ULSS 3 Serenissima trasferito in sede penale l’azione civile relativamente alla domanda relativa alla ripetizione delle somme versate per i ricoveri del primo semestre 2006, il giudice civile che ne sia venuto
a conoscenza deve dichiarare d’ufficio l’estinzione del giudizio civile, la quale si verifica automaticamente per effetto dell’esercizio della facoltà di translatio iudicii e senza che siano necessarie né una formale rinuncia né l’accettazione o l’eccezione di controparte, bastando che la translatio iudicii emerga ex actis e che si accerti l’identità delle due azioni (Cass. n. 7633/2012).
Con il secondo motivo il ricorrente si lamenta della errata valutazione della documentazione acquisita in relazione alla richiesta di devolvere le contestazioni sull’appropriatezza delle prestazioni sanitarie di ricovero dell’anno 2006 in via esclusiva al Nucleo Provinciale di Controllo e al Nucleo Regionale di Controllo, istituiti dalla DGR Veneto n. 4090/2003, ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 4 cod.proc.civ.
Il RAGIONE_SOCIALE San Marco RAGIONE_SOCIALE ripropone il motivo di appello incidentale, non esaminato dalla corte d’appello, con cui aveva impugnato la sentenza di primo grado per non aver accolto l’eccezione di carenza di giurisdizione dell’autorità giudiziaria in relazione alle domande formulate con riferimento ai ricoveri dell’anno 2006, ritenendo la procedura descritta dalla DGR n. 4090/2003 posta a tutela del privato per il mancato pagamento da parte dell’ente pubblico, mentre nel caso di specie si controverteva di una domanda restitutoria.
Il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale, essendo stati prospettati come condizionati all’accoglimento di anche uno solo dei motivi del ricorso principale, sono assorbiti.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1243, 1° e 2° comma, cod.civ. ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Attinta da censura è la statuizione con cui è stata rigettata l’eccezione di compensazione, perché sarebbe stata adottata senza considerare che l’importo del controcredito vantato nei confronti dell’Azienda ULSS 3 Serenissima, dopo l’emissione della nota di
credito, era stato indicato in euro 12.213,008,80 e detto importo non era stato contestato dalla Azienda ULSS 3 Serenissima.
Il motivo è inammissibile.
Dal confronto dell’illustrazione del motivo qui scrutinato e il § 10 dell’impugnata sentenza si evince che sono state riprodotte le stesse argomentazioni difensive disattese dal giudice a quo . Con i motivi di ricorso per cassazione la parte non può, però, limitarsi a riproporre le tesi difensive svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, senza considerare le ragioni offerte da quest’ultimo, poiché in tal modo si determina una mera contrapposizione della propria valutazione al giudizio espresso dalla sentenza impugnata che si risolve, in sostanza, nella proposizione di un “non motivo”, come tale inammissibile ex art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (Cass. 24/09/2018, n. 22478; Cass. 25/08/2000, n. 11098; Cass. 17/11/2003, n. 17402; Cass. 23/09/2003, n. 12632). La corte d’appello ha ritenuto che il documento n. 24 non evidenziava crediti compensabili, ma <> ed ha pertanto confermato la sentenza di primo grado, ricordando che la compensazione può essere pronunciata solo se il credito opposto in compensazione sia liquido, certo ed esigibile.
Per le ragioni espresse il ricorso principale va rigettato e quello incidentale va dichiarato inammissibile.
Data la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra ricorrente principale e ricorrente incidentale.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa tra i ricorrenti, principale e incidentale, le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte sia della ricorrente principale che del ricorrente incidentale, all’ufficio del merito competente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 6 dicembre 2024 dalla