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Indebito oggettivo: onere della prova e sanità

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 34152/2024, chiarisce la ripartizione dell’onere della prova nelle controversie sanitarie per pagamenti ritenuti eccessivi. La Corte ha stabilito che l’azione per la restituzione di somme versate in più del dovuto a una struttura sanitaria si qualifica come indebito oggettivo (art. 2033 c.c.). Di conseguenza, spetta all’ente che ha pagato (il ‘solvens’) dimostrare la mancanza di una ‘causa debendi’ per la parte di somma richiesta in restituzione, non potendo riversare l’onere probatorio sulla struttura sanitaria che ha ricevuto il pagamento.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indebito Oggettivo nella Sanità: Chi Paga in Eccesso Deve Provarlo

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un tema cruciale nei rapporti tra enti sanitari pubblici e strutture private: la restituzione di pagamenti considerati eccessivi. La pronuncia stabilisce un principio cardine sull’indebito oggettivo e sul conseguente onere della prova, con implicazioni pratiche significative per la gestione dei contenziosi nel settore sanitario. Quando un ente pubblico ritiene di aver pagato più del dovuto per prestazioni sanitarie, su chi ricade il compito di dimostrarlo? La risposta della Suprema Corte è netta e chiara.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dalla richiesta di un’Azienda Sanitaria Locale (ASL) di ottenere la restituzione di una cospicua somma di denaro da una clinica privata. L’ASL sosteneva di aver corrisposto importi non dovuti a causa di due principali problematiche: l’errata attribuzione di codici tariffari alle prestazioni (la cosiddetta ‘ipercodifica’), che avrebbe gonfiato il rimborso, e la scelta di eseguire interventi in regime di ricovero, più costoso, anziché in regime ambulatoriale, meno dispendioso, senza una reale necessità terapeutica.

Sia in primo grado che in appello, le corti di merito avevano respinto gran parte delle richieste dell’ASL, ritenendo che l’ente non avesse fornito prove sufficienti a sostegno delle proprie pretese, come le cartelle cliniche necessarie per verificare la correttezza delle codifiche e delle scelte terapeutiche. L’ASL ha quindi presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i giudici avessero errato nel qualificare la sua azione e, di conseguenza, nell’attribuirle l’onere della prova.

L’analisi della Corte sul concetto di indebito oggettivo

Il nodo centrale della controversia era la qualificazione giuridica della domanda: si trattava di un’azione per inadempimento contrattuale (art. 1218 c.c.) o di un’azione per la ripetizione di indebito oggettivo (art. 2033 c.c.)?

La distinzione non è puramente accademica, ma ha un impatto decisivo sull’onere della prova:

1. Inadempimento Contrattuale: Il creditore (l’ASL) deve solo provare l’esistenza del contratto e allegare l’inadempimento del debitore (la clinica). Spetta poi al debitore dimostrare di aver adempiuto correttamente.
2. Indebito Oggettivo: Chi ha pagato (il solvens, cioè l’ASL) deve provare non solo di aver effettuato il pagamento, ma anche l’inesistenza, totale o parziale, della ‘causa debendi’, ovvero del titolo giuridico che giustificava quel pagamento.

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione dei giudici di merito, qualificando la domanda come azione di ripetizione di indebito oggettivo. Secondo gli Ermellini, questa disciplina si applica non solo quando manca del tutto un titolo, ma anche quando il pagamento effettuato eccede la misura dovuta in base a un titolo esistente.

Le motivazioni

La Suprema Corte ha chiarito che, avendo l’ASL agito per ottenere la restituzione della differenza tra quanto versato e quanto riteneva dovuto, stava di fatto contestando l’esistenza di una causa giustificativa per una parte del pagamento. In un simile scenario, l’onere di dimostrare tale inesistenza gravava interamente su di essa.

L’ASL non aveva depositato le cartelle cliniche né le schede di dimissione, documenti essenziali per accertare la presunta ipercodifica o la non appropriatezza del regime di ricovero. Aveva inoltre omesso di richiedere formalmente l’esibizione di tali documenti alla controparte (ex art. 210 c.p.c.). La richiesta di una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) per sopperire a questa mancanza è stata correttamente giudicata inammissibile, in quanto avrebbe avuto un carattere meramente ‘esplorativo’, finalizzato a cercare prove che la parte stessa avrebbe dovuto fornire.

In sostanza, la Corte ha ribadito che chi agisce per la ripetizione dell’indebito deve provare i fatti costitutivi della sua pretesa. L’attore deve dimostrare che una parte del suo pagamento è priva di giustificazione, fornendo elementi concreti e non potendo demandare al giudice o a un consulente il compito di ricercare le prove al suo posto.

Conclusioni

La decisione della Cassazione consolida un principio fondamentale in materia di contenziosi per pagamenti sanitari. Qualificare una richiesta di restituzione per somme pagate in eccesso come indebito oggettivo significa porre l’onere della prova a carico dell’ente pagatore. Questa impostazione tutela la certezza dei rapporti giuridici, impedendo che le strutture sanitarie debbano costantemente giustificare la correttezza del proprio operato a fronte di contestazioni non adeguatamente provate.

Per gli enti pubblici, la lezione è chiara: prima di avviare un’azione legale per la restituzione di somme, è indispensabile raccogliere un solido impianto probatorio che dimostri in modo inequivocabile l’assenza di una causa giustificativa per i pagamenti contestati. Affidarsi a contestazioni generiche o sperare in una CTU ‘esplorativa’ si rivela una strategia processuale perdente.

Chi deve provare un pagamento non dovuto in un rapporto sanitario?
Secondo la Corte di Cassazione, chi agisce per la restituzione di un pagamento ritenuto eccessivo (in questo caso, l’Azienda Sanitaria Locale) ha l’onere di provare l’inesistenza della causa che giustifica la parte di pagamento richiesta indietro. L’azione è infatti qualificata come ripetizione di indebito oggettivo.

Perché la Corte ha qualificato la domanda come indebito oggettivo e non come inadempimento contrattuale?
La Corte ha specificato che l’azione di indebito oggettivo si applica non solo quando manca del tutto un contratto, ma anche quando, all’interno di un rapporto contrattuale esistente, viene effettuato un pagamento che eccede la misura dovuta. Poiché l’ente sanitario chiedeva la restituzione di una parte del pagamento, stava affermando che per quella porzione mancava una giustificazione giuridica, il che rientra nella fattispecie dell’indebito.

È possibile chiedere al giudice di ordinare la produzione di documenti se non li si possiede?
Sì, il codice di procedura civile prevede strumenti come l’ordine di esibizione (art. 210 c.p.c.). Tuttavia, nel caso di specie, la parte che aveva l’onere della prova (l’ASL) non aveva utilizzato questo strumento. Non è possibile sopperire a tale mancanza chiedendo una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) che vada a ricercare prove che la parte avrebbe dovuto fornire o richiedere, poiché una CTU con finalità ‘esplorative’ è inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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