Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 33325 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 33325 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11992/2021 R.G. proposto da
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME con domicilio digitale EMAIL e EMAILpec.ordineavvocatitorinoEMAIL
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d ‘ Appello di Firenze n. 1112 del 12/11/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/11/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
–NOME COGNOME conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Torino, NOME COGNOME chiedendo dichiararsi la nullità dell’erogazione pecuniaria eseguita il 27/4/2014, con bonifico proveniente dal conto corrente presso
Cariparma RAGIONE_SOCIALE di cui l’attore era contitolare con NOME COGNOME in favore del convenuto, con la causale ‘giroconto per regalia’, da qualificarsi come donazione priva della forma solenne prescritta dall’art. 782 c.c., nonché la conseguente condanna del COGNOME alla restituzione di quanto percepito; in via subordinata, per l’ipotesi in cui il giudicante non avesse ritenuto di ravvisare un atto di liberalità, l’attore domandava la condanna del convenuto alla restituzione dell’importo versato q uale indebito oggettivo (art. 2033 c.c.), essendo la dazione sfornita di supporto causale; -il Tribunale di Torino, con la sentenza n. 3798 del 19/7/2017, rigettava le domande attoree, sia perché l’attore non aveva assolto l’onere di provare un contratto di donazione nullo per difetto di forma (era stata allegata e provata soltanto la dazione pecuniaria, non già la liberalità quale sua causa), sia perché, rispetto alla domanda subordinata di ripetizione dell’indebito oggettivo, non risultava dimostrata l’inesistenza della causa debendi , fatto costitutivo della pretesa restitutoria, e l’unico titol o giuridico invocato (quello liberale) era rimasto sfornito di prova;
-con la sentenza n. 1112 del 12/11/2020, la Corte d’appello di Torino accoglieva parzialmente l’impugnazione del COGNOME e, in riforma della decisione di primo grado, condannava COGNOME al pagamento dell’importo di Euro 104.500,00, oltre a interessi e spese di lite;
-per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale -dopo aver respinto l’impugnazione relativa alla pretesa nullità della donazione accoglieva l’appello limitatamente alla domanda di ripetizione di indebito oggettivo: «… osserva questa Corte come muovendo dai principi generali in tema di indebito oggettivo, vada ricordato come l’azione ex art. 2033 c.c. si possa esperire anche quando manchi tra le parti ogni rapporto giuridico quale causa giustificatrice di un pagamento eseguito. L’inesistenza della ‘ causa debendi ‘ è, dunque, un elemento costitutivo (unitamente all’avvenuto pagamento e al collegamento causale) della domanda di indebito oggettivo, la cui prova incombe all’attore; questi è tenuto a provare i fatti costitutivi della sua pretesa, perciò, sia l’avvenuto pagamento sia la mancanza di una causa che lo giustifichi (ovvero il venir meno di questa), prova che può
essere fornita dimostrando l’esistenza di un fatto negativo contrario, o anche mediante fatti positivi contrari da cui desumersi, in via presuntiva, il fatto negativo. … Parte appellante deduce la insussistenza di alcun rapporto giuridico in forza del quale il COGNOME avrebbe diritto per ricevere e trattenere la somma in questione. … la domanda di ripetizione è fondata sul presupposto della consapevole inesistenza di una causa che giustifichi lo spostamento patrimoniale a favore dell’appellato … Il fatto c ostitutivo tipico della domanda di indebito è, pertanto, l’inesistenza di una causa del pagamento (fatto negativo), da dimostrare con la allegazione e la prova di un corrispondente fatto contrario. In realtà, stando alla descrizione dell’accaduto fornita p roprio dal COGNOME nel corso del giudizio di primo grado, il COGNOME avrebbe assunto, nella vicenda, un ruolo di mero percettore del danaro avendo di fatto ricevuto sul proprio conto corrente la somma bonificata. Su tale circostanza il COGNOME nulla allega circa la causa della dazione, limitandosi nel presente giudizio a contestare in diritto la sussistenza dei presupposti giuridici per l’accoglimento della domanda, rilevando in particolare; a) che il conto corrente dal quale proveniva il bonifico a suo favore era cointestato (con NOME COGNOME) con la conseguenza che l’appel lante non sarebbe legittimato a richiedere la restituzione della somma non avendo dimostrata che la stessa fosse di ‘sua esclusiva titolarità’, prova che sarebbe ormai impossibile f ornire stante il divieto dei nova che presiede il giudizio di appello; b) la domanda avanzata in sede di gravame di restituzione dell’importo oggetto di bonifico sarebbe inammissibile in quanto conseguente alla sollevata inesistenza della donazione, censura avanzata per la prima volta in sede di appello e come tale inammissibile ex art. 345, primo comma, c.c. Entrambe le contestazioni appaiono irrilevanti ai fini del decidere atteso che la circostanza che il COGNOME fosse cointestatario del conto nulla rileva fra le parti in causa, potendo la sola NOME COGNOME eventualmente dolersi del fatto che l’appellante avesse disposto anche di somme di sua pertinenza. Inoltre il fatto che possa trattarsi di donazione non perfezionata in luogo di donazione nulla non comporta una novità della domanda di ripetizione dell’indebito
oggettivo che il COGNOME aveva proposto in primo grado, anche nell’ipotesi in cui l’erogazione non fosse giustificata dalla donazione, con ciò contemplando sia la nullità della donazione sia la sua inesistenza. La difesa improntata dal COGNOME – il quale nulla dice circa la causa dell’erogazione -conferma l’inesistenza di alcun diritto in capo all’appellato a trattenere la somma di cui viene chiesta la restituzione e della conseguente inesistenza di una causa debendi sottesa alla dazione del danaro, in tale modo l’appellante risulta aver assolto l’onere di allegazione e di prova gravante sull’attore in ripetizione»;
-avverso la predetta sentenza NOME COGNOME proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi; resisteva con controricorso NOME COGNOME
-le parti depositavano memorie ex art. 380bis .1 c.p.c.;
-all ‘ esito della camera di consiglio del 12/11/2024, il Collegio si riservava il deposito dell ‘ ordinanza nei successivi sessanta giorni, a norma dell ‘ art. 380bis .1, comma 2, c.p.c.;
CONSIDERATO CHE
-col primo motivo si deduce che «La sentenza d’appello è viziata ex art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., per aver omesso la Corte territoriale di rilevare ex officio la parziale carenza di legitimatio ad causam dell’appellante COGNOME per sua stessa ammissione mero cointestatario del conto Cariparma da cui è stato effettuato il bonifico di € 104.500,00 in favore del Niceforo e, dunque, legittimato ad agire nei confronti di quest’ultimo, ex art. 2033 c.c., per la sola ripetizione della metà del suddetto importo, risultando presuntivamente di proprietà del contitolare l’altra me tà del credito, di cui l’appellante ha chiesto ed ottenuto la restituzione. Parziale carenza delle condizioni di ammissibilità dell’azione in capo all’appellante. Violazione dell’art. 81 C.p.c.» ;
-la censura è infondata;
-il ricorrente sostiene il (parziale) difetto di legittimazione attiva del COGNOME perché il conto dal quale proveniva il bonifico a suo favore era cointestato al controricorrente e a NOME COGNOME; tuttavia, le
argomentazioni addotte a sostegno di tale assunto sono inconsistenti, perché la presunzione dell’art. 1854 c.c. opera solo rispetto all’istituto di credito e quella dell’art. 1298 c.c. riguarda i rapporti interni tra concreditori e condebitori, mentre non può configurarsi (come invece fa il COGNOME) alcuna presunzione secondo cui l’importo trasferito fosse, per il 50%, di soggetto diverso dall’originario attore;
-col secondo motivo il ricorrente afferma che « La sentenza d’appello è viziata ex art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c. per nullità della sentenza o del procedimento, avendo la Corte di Appello di Torino, con motivazione apparente, ritenuto assolto dall’appellante Latorre l’onere di allegare e provare l’inesistenza di una causa debendi sottesa alla dazione di denaro in favore del sig. COGNOME senza tuttavia esplicitare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indicandoli senza un’approfondita disamina logica e giuridica, con ciò impedendo ogni controllo sull’esattezza del ragionamento seguito. Violazione dell’art. 111, 6° co., Cost., e dell’art. 132, 2° co., n. 4, c.p.c.»;
-la censura è, in parte, infondata e, in parte, inammissibile;
-la Corte d’appello ha fornito alla propria decisione una motivazione adeguata, peraltro conforme all’orientamento giurisprudenziale secondo cui «Qualora il titolo giustificativo del pagamento sia prospettato come ignoto dal solvens (o dal suo erede) che agisce in ripetizione, egli può limitarsi ad invocare ed a provare l’inidoneità del titolo ipotizzato, fermo il suo onere di dimostrare l’inidoneità della diversa causa dell’attribuzione eventualmente indicata dal convenuto» (tra le altre, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 14788 del 27/05/2024, Rv. 671189-01, la quale, in una fattispecie con parziali analogie con quella qui esaminata, ha confermato la sentenza della Corte territoriale che aveva accolto le domande spiegate dall’attore in ripetizione, erede del solvens , il quale, a fronte di trasferimenti di denaro compiuti dal proprio dante causa in favore dei convenuti, aveva allegato l’esistenza di una donazione nulla per difetto di forma solenne e non ascrivibile, data la rilevanza dell’importo, a quella di ‘modico valore’, esentata dalla necessità dell’osservanza di tale requisito formale; nello stesso senso, Cass., Sez. 6 –
3, Ordinanza n. 14428 del 26/05/2021, Rv. 661566-01: «Proposta domanda di ripetizione di indebito, l’attore ha l’onere di provare l’inesistenza di una giusta causa delle attribuzioni patrimoniali compiute in favore del convenuto, ma solo con riferimento ai rapporti specifici tra essi intercorsi e dedotti in giudizio, costituendo una prova diabolica esigere dall’attore la dimostrazione dell’inesistenza di ogni e qualsivoglia causa di dazione tra ‘ solvens ‘ e ‘ accipiens ‘»); la formulazione della censura tradis ce, poi, un’inammissibile denuncia di insufficienza della motivazione, laddove si ammette che il giudice d’appello avrebbe indicato gli elementi considerati per la decisione «senza un’approfondita disamina logica e giuridica»;
-col terzo motivo si denuncia che « La sentenza d’appello è viziata ex art. 360, 1° co., n. 5, c.p.c., per aver omesso l’esame di un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione fra le parti. Nell’ipotesi in cui il Supremo Collegio ritenesse di interpretare la motivazione della Corte territoriale nel s enso che quest’ultima abbia inteso raggiunta la prova da parte del Latorre di assenza di causa debendi desumendola in via presuntiva, ex art. 2729 C.c., dalla circostanza che il NOME non abbia allegato alcuna causa giu stificativa dell’erogazione, la motivazione della sentenza appare illogica per aver omesso la Corte territoriale l’esame di altri elementi indizianti, che deponevano in senso contrario rispetto a quanto deciso.»;
-la censura è inammissibile, perché, riguardo all’omessa considerazione di elementi indiziari introdotti dal COGNOME, costituisce consolidato insegnamento giurisprudenziale che «Il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze di prova che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso, né gli è richiesto di dar conto, nella motivazione, dell’esame di tutte le allegazioni e prospettazioni delle parti e di tutte le prove acquisite al processo, essendo sufficiente che egli esponga – in maniera concisa ma logicamente adeguata – gli elementi in fatto ed in diritto posti a fondamento della sua decisione e le prove ritenute idonee a confortarla, dovendo reputarsi implicitamente disattesi tutti gli argomenti, le tesi e i rilievi che, seppure non
espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata e con l’iter argomentativo svolto.» ( ex multis , Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 29730 del 29/12/2020, Rv. 660157-01);
-l’ultimo motivo con cui il ricorrente richiede, in conseguenza delle censure svolte, la «Revisione del capo che ha disposto la condanna del Sig. NOME COGNOME alle spese di lite di primo e secondo grado» -si risolve in un non-motivo, poiché non si denuncia la violazione delle disposizioni sulla regolazione delle spese, ma si richiede una loro applicazione nell’ipotesi, qui non ricorrente, di cassazione della decisione impugnata;
-in definitiva, il ricorso va respinto; ne consegue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, le quali sono liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo;
-va dato atto, poi, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente ed al competente ufficio di merito, ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater , d.P.R. n. 115 del 2002, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13;
p. q. m.
la Corte
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rifondere al controricorrente, le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 8.800,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge; , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1quater ed al competente ufficio di merito, dell ‘ 1bis dello stesso articolo 13, qualora dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile,