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Indebito contributivo: chi rimborsa il lavoratore?

Ex dipendenti pubblici a tempo determinato si sono visti negare la restituzione dell’indennità di fine servizio, che il loro datore di lavoro aveva erroneamente versato all’ente previdenziale. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, chiarendo che in caso di indebito contributivo, l’azione del lavoratore per recuperare le somme trattenute va diretta esclusivamente contro il datore di lavoro, e non verso l’ente che ha ricevuto i versamenti. La Corte ha inoltre confermato che la prescrizione del diritto decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro.

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Pubblicato il 3 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Indebito Contributivo: a Chi Chiedere il Rimborso?

Un recente provvedimento della Corte di Cassazione fa luce su una questione complessa e di grande rilevanza pratica: la gestione dell’indebito contributivo. Quando un datore di lavoro versa erroneamente contributi previdenziali a un ente, a chi deve rivolgersi il lavoratore per ottenere quanto gli spetta? La Corte fornisce una risposta chiara, delineando le corrette azioni legali e le responsabilità dei soggetti coinvolti.

I fatti del caso: contributi versati all’ente sbagliato

Un gruppo di lavoratori, assunti in passato da un ente comunale con contratti a tempo determinato, ha citato in giudizio sia l’ente stesso sia l’istituto nazionale di previdenza sociale. La loro richiesta era duplice: ottenere la liquidazione dell’indennità di premio servizio oppure, in alternativa, il rimborso delle somme che il Comune aveva erroneamente versato all’istituto previdenziale a titolo di contributi per tale indennità.

L’errore era emerso chiaramente, ma le somme non erano mai state restituite ai lavoratori, rimanendo nelle casse dell’ente previdenziale. Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello avevano rigettato le domande dei lavoratori, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La questione giuridica e la decisione della Corte

I lavoratori hanno basato il loro ricorso in Cassazione su due motivi principali:
1. La presunta violazione delle norme sulla restituzione dell’indebito (art. 2033 c.c.), sostenendo di avere il diritto di agire direttamente contro l’ente previdenziale che aveva incassato le somme non dovute.
2. Un’errata applicazione delle norme sulla prescrizione, argomentando che il termine per agire dovesse decorrere non dalla fine del rapporto di lavoro, ma dal momento in cui l’errore era stato formalmente riconosciuto.

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, confermando le sentenze precedenti.

L’indebito contributivo e le azioni di rimborso

Il cuore della decisione si concentra sulla natura dell’azione di ripetizione dell’indebito e sulla corretta individuazione dei soggetti legittimati ad agire e a resistere in giudizio (legittimazione attiva e passiva).

L’azione di ripetizione è personale

La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’azione per la restituzione di un pagamento non dovuto ha carattere personale. Questo significa che chi ha subito una trattenuta ingiusta (il lavoratore) può agire solo nei confronti di chi ha effettuato tale trattenuta (il datore di lavoro). A sua volta, chi ha effettuato un pagamento non dovuto (il datore di lavoro) è l’unico soggetto legittimato a chiederne la restituzione a chi lo ha ricevuto (l’ente previdenziale).

In sintesi, si delineano due rapporti giuridici distinti:
Lavoratore vs Datore di lavoro: Il lavoratore chiede al datore il pagamento delle somme ingiustamente trattenute dalla sua retribuzione.
Datore di lavoro vs Ente previdenziale: Il datore di lavoro chiede all’ente la restituzione dei contributi erroneamente versati.

Il lavoratore non ha, quindi, un’azione diretta verso l’ente previdenziale per l’indebito contributivo.

La decorrenza della prescrizione

Anche sul secondo motivo, la Corte è stata netta. Il diritto all’indennità di fine rapporto sorge al momento della cessazione del rapporto di lavoro. È da quel momento che inizia a decorrere il termine di prescrizione, secondo l’art. 2935 c.c. (“La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”).

Il fatto che l’errore contabile sia stato scoperto o ammesso solo anni dopo è irrilevante ai fini della decorrenza della prescrizione. Inoltre, la corrispondenza intercorsa tra il Comune e l’ente previdenziale non ha avuto alcun effetto interruttivo della prescrizione nei confronti dei lavoratori, poiché tale scambio riguardava un rapporto diverso e il Comune agiva per un interesse proprio, non per conto dei suoi ex dipendenti.

Le motivazioni della Corte

La Corte Suprema ha motivato la sua decisione basandosi sul costante orientamento giurisprudenziale in materia. In ipotesi di indebito contributivo, il datore di lavoro è l’unico legittimato all’azione di ripetizione nei confronti dell’ente previdenziale, anche per la quota a carico del lavoratore. Quest’ultimo, che subisce l’indebita trattenuta, deve rivolgere la propria pretesa esclusivamente contro il datore di lavoro. La Corte ha specificato che passivamente legittimato all’azione di ripetizione è solo il soggetto che ha ricevuto la somma non dovuta (l'”accipiens”), ma nel rapporto tra lavoratore e datore, l'”accipiens” della trattenuta è il datore stesso, che poi la versa a terzi. Pertanto, la Corte d’Appello ha correttamente escluso la legittimazione passiva dell’INPS nell’azione intentata dai lavoratori.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre un importante chiarimento operativo. I lavoratori che si trovano in situazioni analoghe devono essere consapevoli che la loro azione legale per il recupero di somme erroneamente trattenute e versate come contributi deve essere indirizzata contro il proprio datore di lavoro. L’eventuale contenzioso tra il datore di lavoro e l’ente previdenziale è una questione separata che non influisce sul diritto del lavoratore di ottenere quanto gli spetta dal soggetto che ha operato la trattenuta. La decisione sottolinea inoltre l’importanza di agire tempestivamente per far valere i propri diritti, poiché la prescrizione inizia a decorrere dalla cessazione del rapporto, indipendentemente dalla scoperta di errori contabili successivi.

Se il datore di lavoro versa erroneamente i contributi a un ente previdenziale, il lavoratore può chiedere la restituzione direttamente a quell’ente?
No. Secondo la Corte, l’azione di restituzione è personale. Il lavoratore può agire solo contro il datore di lavoro che ha effettuato l’indebita trattenuta sullo stipendio. Sarà poi il datore di lavoro a dover chiedere il rimborso all’ente previdenziale.

Da quando inizia a decorrere la prescrizione per il diritto del lavoratore a ricevere l’indennità di fine rapporto?
Il termine di prescrizione decorre dal momento della cessazione del rapporto di lavoro, momento in cui sorge il diritto. Non rileva il momento successivo in cui viene scoperto l’errore nel versamento dei contributi.

La corrispondenza tra il datore di lavoro e l’ente previdenziale per chiarire l’errore interrompe la prescrizione del diritto del lavoratore?
No. La Corte ha stabilito che tale corrispondenza non interrompe la prescrizione per i lavoratori, perché riguarda un rapporto diverso (quello tra datore di lavoro ed ente) e il datore di lavoro agisce per un interesse proprio e autonomo, non come rappresentante dei lavoratori.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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