Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7893 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7893 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n° 20161 del ruolo generale dell’anno 2019 , proposto da
Comune di Sessa Aurunca , (C.F. 00160250619), in persona del Sindaco p.t., dott. NOME COGNOME rapp.to e difeso, giusta mandato a margine del ricorso ed in esecuzione della delibera di G.M. n. 96 del 13.6.2019 dall’avv. NOME COGNOME con cui è elettivamente domiciliato in Roma alla INDIRIZZO (studio avv. COGNOME) con richiesta di ricevere le comunicazioni di rito ex art. 136 c.p.c. all’indirizzo di posta elettronica certificata: EMAIL e al numero di fax NUMERO_TELEFONO.
Ricorrente
contro
Amministrazione Provinciale di Caserta , in persona del Presidente p.t. Avv. COGNOME COGNOME – corrente per la carica in Caserta, alla Lubich n. INDIRIZZO ( ex area Saint Gobain), cod. fisc. NUMERO_DOCUMENTO, rappresentata e difesa, giusta Decreto di nomina n. 218/2019 e procura speciale in calce, dall’Avv. NOME COGNOMEcod. fisc CODICE_FISCALE, con il quale
elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO (presso lo studio dell’Avv. NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE (ai fini delle comunicazioni di Cancelleria e tra i difensori si indicano: p.e.c. EMAIL -fax NUMERO_TELEFONO).
Controricorrente
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli n° 5841 depositata il 19 dicembre 2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12 marzo 2025 dal consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1 .- Il Comune di Sessa Aurunca, locatore, con citazione del luglio 1989 conveniva davanti al tribunale di Santa Maria Capua Vetere la Provincia di Caserta, conduttore, e dopo averne ottenuto la condanna in primo grado (sentenza n° 558/1998), confermata in appello (sentenza n° 2396/2000) ed in cassazione (sentenza n° 15712/2006), a pagare i canoni di locazione di alcuni locali siti in Sessa Aurunca, adibiti dalla convenuta ad aule scolastiche e ad Aula Magna dell’Istituto tecnico commerciale e per geometri, con citazione del 27 dicembre 2004 conveniva nuovamente in giudizio davanti allo stesso tribunale la Provincia e -premesso che quest’ultima, senza pagare alcunché, aveva continuato a detenere i locali siti in INDIRIZZO (aule scolastiche ed aula magna) anche dopo la scadenza della locazione, mentre per le aule site nella scuola media COGNOME non vi era mai stato alcun contratto (ma solo una delibera della giunta municipale del 22 ottobre 1985) -tutto ciò premesso, chiedeva al tribunale di condannare la convenuta al pagamento delle somme spettanti a titolo di indennizzo per indebito arricchimento, ai sensi dell’art. 2041 cod. civ. a far data dal giugno 1989, da determinare nell’importo corrispondente ai canoni non corrisposti.
2 .- Il tribunale respingeva la domanda, osservando che il locatore avrebbe potuto esperire l’azione contrattuale (art. 2042 cod. civ.); che mancava la prova del riconoscimento dell’utilità della prestazione ottenuta da parte della convenuta; che mancava un impegno di spesa della Provincia e il riconoscimento del debito fuori bilancio.
La Corte d’appello di Napoli, adita dal Comune soccombente, confermava la decisione con la sentenza menzionata in intestazione.
3 .- Osservava la Corte che, i fatti posti a fondamento della domanda ed i richiami negli atti di causa ai concetti di ‘ arricchimento ‘ e ‘ depauperamento ‘ imponevano di ritenere corretta la qualificazione operata dal primo giudice come azione generale di arricchimento e che, pertanto, non era consentita la diversa interpretazione di essa come azione di danno da ritardata restituzione degli immobili, ex art. 1591 cod. civ., prospettata per la prima volta in appello.
Era, dunque, giusta la decisione del tribunale di reiezione della pretesa attorea fondata sull’art. 2041 cod. civ., in quanto per i locali posti in INDIRIZZO (compresa l’aula magna) vi era un contratto ed una corrispondente azione contrattuale, mentre per i locali posti nella scuola media INDIRIZZO il Comune avrebbe potuto esperire azione contro i funzionari della Provincia.
La motivazione del tribunale andava tuttavia corretta nella parte in cui aveva rigettato la domanda sul rilievo della mancanza di prova del riconoscimento dell’utilità da parte della Provincia, in quanto dopo Cass. sez. un. 10798/2015 -l’accertamento del vantaggio era rimesso (non più alla PA, ma) al giudice, mentre la PA avrebbe dovuto dimostrare di non aver mai voluto o di aver rifiutato la prestazione resa.
Nella fattispecie decisa, tuttavia, nonostante la Provincia non avesse mai negato di aver rifiutato la disponibilità degli immobili, la domanda non poteva egualmente essere accolta.
Infatti, secondo la Corte, l’esperibilità dell’azione ex art. 1591 cod. civ. per le aule di INDIRIZZO (compresa l’aula magna) rendeva improponibile la domanda d’indebito arricchimento.
Per le aule poste nella scuola media De Sanctis, per le quali era mancato un contratto, l’art. 23, terzo e quarto comma, del d.l. n° 66/1989 (poi riprodotto nell’art. 35 del d.lgs. n° 77/1995 e quindi nell’art. 191 del d.lgs. n° 267/2000) escludeva la riferibilità alla PA delle iniziative adottate al di fuori dello schema normativo, con la conseguenza che il rapporto obbligatorio doveva considerarsi sorto tra fornitore del servizio e pubblico funzionario: donde, ancora una volta, l’esperibilità di un’azione diversa da quella prevista dall’art. 2041 cod. civ.
Non giovavano all’appellante i motivi fondati sul riconoscimento del debito da parte della Provincia in forza della Delibera del Commissario prefettizio del 5 luglio 1991 (peraltro limitata al solo periodo dal 30 giugno 1989 al 31 dicembre 1991), in quanto l’affermazione del tribunale secondo la quale era impossibile ‘ evincere il quantum dell’intervenuto riconoscimento del debito in relazione al fitto dei locali in questione ‘ -non era stata oggetto di specifica censura da parte del Comune, che l’aveva contestata in modo generico ed apodittico.
L’assunto era comunque errato, in quanto il riconoscimento di un debito fuori bilancio ex art. 5 del d.lgs. 15 settembre 1997, n° 342, poi trasfuso nell’art. 194, primo comma, lettera e), del d.lgs. 18 agosto 2000, n° 267, non introduceva una sanatoria per i contratti nulli o inefficaci, né introduceva una deroga all’inammissibilità dell’azione di indebito arricchimento.
Da ultimo, la tesi del Comune -secondo la quale, nonostante la mancanza di un contratto, l’azione contro il funzionario ex art. 23
cit. non era ammessa in presenza di un provvedimento di riconoscimento della spesa, tornando così esperibile l’azione di arricchimento -non era condivisibile, sia perché non vi era prova che l’impegno fosse stato autorizzato, anche se l’appellante ne deduceva la necessarietà imposta dalla legge; sia perché l’autorizzazione alla spesa avrebbe avuto ad oggetto i canoni di locazione e non l’indennizzo da ingiustificato arricchimento.
4 .- Avverso tale sentenza interpone ricorso per cassazione il Comune di Sessa Aurunca, affidando l’impugnazione ad undici motivi.
Resiste la Provincia, che conclude per l’inammissibilità dei singoli motivi e, comunque, per la reiezione dell’impugnazione.
Il ricorso è stato assegnato per la trattazione in Adunanza Camerale ai sensi dell’art. 380 -bis cod. proc. civ.
Nessuno dei litiganti ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5 .- Col primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la ‘ Violazione del principio di leale collaborazione tra pubbliche amministrazioni ‘.
Gli immobili erano adibiti ad aule scolastiche e l’attività di carattere costituzionale di istruzione pubblica, di cui all’art. 34 della Costituzione, non poteva essere interrotta.
Ne deriverebbe che non poteva applicarsi al caso di specie la regola della responsabilità del singolo funzionario; che il Comune non avrebbe potuto individuare le decine di dipendenti pubblici che si erano succedute nella gestione del rapporto; che la Provincia, dimentica del principio di leale collaborazione tra Pubbliche Amministrazioni, aveva omesso di adottare gli atti di proroga del contratto; che la spesa per la scuola era obbligatoria per legge, dovendo dunque trovare necessariamente collocazione nel bilancio una voce per il pagamento dei relativi costi.
6 .- Il mezzo è inammissibile, non indicando alcuna norma di legge violata, né nella rubrica, né nell’illustrazione.
Inoltre, esso -come per vero anche tutti i successivi, di cui si dirà appresso -trascura totalmente di censurare la ratio decidendi della sentenza, la quale ha escluso la proponibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento sul rilievo della natura privatistica del rapporto e dell’esperibilità di un’altra azione da parte del Comune.
7 .- Col secondo motivo i Comune lamenta la ‘ Violazione dell’art. 19 del T.U. degli enti locali nonché dell’art. 2 d.m. 28.5.1993 ‘.
L’art. 19 del TUEL prevederebbe l’obbligo a carico della Provincia di fornire i locali per l’istruzione secondaria ed artistica di secondo grado e per la formazione professionale: donde la necessaria esistenza nel bilancio della Provincia della voce per la copertura dei costi occorrenti a tali funzioni.
8 .- Il mezzo è inammissibile, non confrontandosi con le rationes decidendi della decisione d’appello.
Infatti, oltre a non censurare (al pari del primo motivo) la ratio che ha escluso la proponibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento sul rilievo della natura privatistica del rapporto e dell’esperibilità di un’altra azione da parte del Comune, il mezzo in esame nemmeno censura l’ulteriore snodo logico della sentenza col quale la Corte ha accertato che non vi fosse prova che l’impegno fosse stato autorizzato, nonostante l’appellante ne deducesse l’obbligatorietà imposta dalla legge.
9 .- Col terzo mezzo il Comune si duole dalla ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c. Violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c. Error in iudicando ‘.
Deduce che la Corte territoriale, nel rigettare l’appello alle pagine 5 e 6 della sentenza avrebbe rilevato l’inammissibilità, ex art. 345 cod. proc. civ., della diversa qualificazione della domanda in termini di danno da ritardata restituzione, mentre l’appellante avrebbe
richiamato gli artt. 1590 e 1591 cod. civ. solo per specificare gli elementi costitutivi della pretesa azionata.
Erroneamente, quindi, la Corte avrebbe qualificato come nuova domanda la prospettazione del Comune, che rimaneva, invece, sempre nel paradigma dell’art. 2041 cod. civ.
10 .- Il mezzo, prima ancora che inammissibile (per la ragione che non contrasta la declaratoria di improponibilità della domanda ex art. 2041 cod. civ. in ragione della natura privatistica del rapporto e dell’esperibilità di una diversa azione), è incomprensibile, dato che la Corte d’appello ha motivato la decisione partendo dallo stesso assunto del ricorrente, ossia escludendo che la pretesa attorea consista nell’azione risarcitoria ex art. 1591 cod. civ. e qualificando la domanda come azione di ingiustificato arricchimento.
11 .- Col quarto motivo il Comune deduce ‘ Violazione e falsa applicazione degli artt. 23, terzo comma D.L. 3 marzo 1989 n. 66, art. 191 comma 4 e 194 comma 1 lettera e) D.lgs. 267/2000. Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c. ‘.
La corte avrebbe dichiarato improponibile la domanda di arricchimento sul rilievo della mancanza di sussidiarietà dell’azione, senza considerare che la fattispecie non consisteva nella ricezione di servizi senza impegno di spesa, ma riguardava una detenzione illegittima, autorizzata dagli organi provinciali, con un impegno ‘ certamente tuttora inserito nel bilancio ‘ della Provincia.
12 .- Il motivo è inammissibile, sia perché ripropone le difese già sostenute in appello, senza censurare la ratio decidendi della sentenza, nella quale -come già sopra detto -la Corte ha dichiarato improponibile la domanda di ingiustificato arricchimento ritenendo (oltre alla natura privatistica del rapporto) l’esperibilità di un’azione diversa: contrattuale per le aule di INDIRIZZO e risarcitoria contro il funzionario per le aule della scuola media De Sanctis; sia perché si pone ripropone il tema del necessario
inserimento del debito nel bilancio provinciale (in ragione della previsione normativa ex art. 19 TUEL), la cui prova è stata invece ritenuta insussistente dalla Corte di merito.
13 .- Col quinto mezzo il Comune deduce ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c. n. 3 difetto di istruttoria -contraddittorietà ‘.
La Corte avrebbe omesso di considerare la ‘ copiosa documentazione ‘ prodotta, comprese le ‘ numerose intese ‘ tra Comune e Provincia, tra le quali la ‘ delibera n. 2705/lett. c del 5.7.1991 con cui l’Amministrazione della Provincia di Caserta riconosceva i debiti fuori bilancio a tutto il 12.6.1990, con la previsione della liquidazione di quanto dovuto a ciascun creditore in tre rate ‘.
Pertanto, la ‘ impossibilità di evincere il quantum dell’intervenuto riconoscimento del debito ‘ non escludeva la legittimazione passiva della Provincia e, anzi, produceva ‘ effetti sananti ‘, donde l’inapplicabilità dell’art. 23 del d.l. n° 66/1989 e l’esperibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento.
14 .- Il mezzo è inammissibile per più ragioni.
La Corte ha negato qualsiasi rilievo al preteso ‘ riconoscimento del debito ‘ dedotto dal Comune in base a due ragioni: dapprima, osservando che non era stata censurata la motivazione del primo giudice, secondo la quale non era possibile evincere l’ammontare del debito riconosciuto; secondariamente, rilevando che il riconoscimento sarebbe disciplinato da un procedimento amministrativo discrezionale, che comunque non sanava la nullità o l’inesistenza del contratto.
Il ricorrente contrappone a questi passaggi logici la tesi riassunta al precedente paragrafo, che appare, però, da un lato, del tutto fuori fuoco (giacché nessuno -e tantomeno la Corte -ha fatto questione di legittimazione passiva della Provincia); dall’altro, interamente apodittica (dato che la produzione di ‘ effetti sananti ‘
del dedotto riconoscimento non è stata minimamente argomentata).
Peraltro, è fin troppo noto ( ex multis : Cass., sez. II, 6 maggio 2024, n° 12164, con menzione di altri precedenti) che il riconoscimento di un debito fuori bilancio, ex art. 5 del d.lgs. 15 settembre 1997, n° 342, poi trasfuso nell’art. 194, comma 1, lettera e), del d.lgs. 18 agosto 2000, n° 267, costituisce un procedimento discrezionale che consente all’ente locale di far salvi nel proprio interesse -accertati e dimostrati l’utilità e l’arricchimento che ne derivano, per l’ente stesso, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza – gli impegni di spesa per l’acquisizione di beni e servizi in precedenza assunti tramite specifica obbligazione, ancorché sprovvista di copertura contabile, ma non introduce una sanatoria per i contratti nulli o, comunque, invalidi – come quelli conclusi senza il rispetto della forma scritta ‘ ad substantiam ‘ – né apporta una deroga al regime di inammissibilità dell’azione di indebito arricchimento di cui all’art. 23 del d.l. 2 marzo 1989, n° 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144.
Non da ultimo, giova osservare che il mezzo richiama genericamente documenti prodotti (tra i quali la delibera di riconoscimento) che non sono stati né trascritti, né riassunti ( ex art. 366 n° 6 cod. proc. civ.).
15 .- Col sesto mezzo il ricorrente lamenta ‘ Omessa pronuncia. Violazione e falsa applicazione ex art. 101 c.p.c. Error in Procedendo ‘.
Col settimo motivo -intitolato ‘ Ulteriore violazione e falsa applicazione degli artt. 23, terzo comma D.L. 3 marzo 1989 n. 66, art. 191 comma 4 e 194 comma 1 lettera e) D.lgs. 267 / 2000. Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. ‘ -il Comune deduce che l’utilizzazione dei locali avrebbe apportato all’Ente convenuto una evidente utilità ed un arricchimento, donde la
sufficienza del riconoscimento per l’insorgenza del rapporto obbligatorio.
16 .- I mezzi sono inammissibili, riproponendo nella sostanza la tesi, già sostenuta negli altri motivi, della necessaria esistenza nel bilancio provinciale di una voce destinata a coprire i costi per le aule destinate al servizio pubblico di istruzione, con conseguente esclusione -a dire del ricorrente -dell’applicabilità alla fattispecie dell’art. 23 del d.l. n° 66/1989.
17 .-Con l’ ottavo mezzo -rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c. n. 4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. Omessa pronuncia ‘ -il Comune lamenta che la Corte non si sia pronunciata sulla domanda relativa al periodo 30 giugno 1989 -31 dicembre 1991.
Sarebbe perciò evidente il vizio della sentenza che avrebbe dovuto riconoscere, l’indebito arricchimento per il periodo predetto.
18 .- Mezzo inammissibile, al pari dei precedenti, in quanto non indica dove e quando sarebbe stata avanzata tale domanda (della quale non vi è traccia nella sentenza d’appello) e, comunque, perché la pretesa si fonda sullo stesso erroneo presupposto posto a base dei pregressi motivi: ossia sulla proponibilità dell’azione di ingiustificato arricchimento in ragione della insussistenza di una diversa azione.
19 .- Col nono motivo -intitolato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c. n. 4 ‘ -il Comune deduce che la detenzione senza titolo degli immobili equivaleva ad un’occupazione illegittima, con conseguente azione di pagamento delle somme corrispondenti al mancato godimento del bene: la Corte territoriale non avrebbe motivato su tale motivo di appello.
20 .-Il mezzo è inammissibile, a causa della perplessa formulazione.
Va infatti ricordato che col terzo motivo il ricorrente si è doluto della diversa qualificazione della domanda in termini di danno da
ritardata restituzione che la Corte avrebbe dato alla sua domanda (e che, in realtà, la Corte non ha mai dato), mentre l’appellante avrebbe richiamato gli artt. 1590 e 1591 cod. civ. solo per specificare gli elementi costitutivi della pretesa azionata.
Col presente motivo il ricorrente assume, invece, che la condotta della Provincia integrerebbe un’occupazione illegittima.
La contraddittoria formulazione dei due motivi rende inammissibile anche quello presente.
In ogni modo, ancora una volta, è proprio in ragione dell’esistenza di una diversa azione esperibile per ottenere il pagamento che la domanda di ingiustificato arricchimento è stata respinta dalla Corte d’appello: donde l’inammissibilità del mezzo anche sotto tale profilo.
21 .-Col decimo motivo -rubricato ‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c. n. 4. Violazione e falsa applicazione dell’art. 167 c.p.c. Error in procedendo ‘ -il ricorrente deduce che la Corte avrebbe omesso di considerare che la Provincia aveva riconosciuto il proprio debito, tanto da porlo in compensazione con un proprio controcredito.
Inoltre, ‘ l’eccezione (…) di inopponibilità all’Ente per essere responsabile il funzionario ‘ sarebbe stata ‘ formulata dal Comune solo all’udienza di precisazione delle conclusioni ‘ del 20 marzo 2013.
22 .- Il mezzo è inammissibile, in quanto non censura il passaggio motivazionale col quale la Corte ha escluso qualunque rilevanza al preteso riconoscimento di debito e si traduce -ancora una volta -nella pura e semplice ripresentazione in sede di legittimità di una tesi già motivatamente disattesa in sede di merito.
Quanto alla questione dell’eccezione sollevata solo all’udienza di precisazione delle conclusioni (premesso che il riferimento al Comune, anziché alla Provincia pare frutto di un errore), essa è una questione di diritto come tale rilevabile ex officio , e anche ove la si
voglia considerare eccezione di merito, sarebbe del tutto nuova, non risultando dalla sentenza impugnata.
Ne deriva che il ricorrente era onerato di specificare, a pena di inammissibilità, quando tale questione venne sollevata nel precedente grado di giudizio.
La carenza di tale allegazione rende, ancora una volta, il motivo inammissibile.
23 .-Con l’ undicesima doglianza (‘ Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c. n. 3. Difetto di istruttoria. Error in procedendo ‘) il Comune deduce che la Corte avrebbe dovuto tenere conto della mancata risposta della Provincia all’interrogatorio formale deferitole, con la conseguenza che i fatti dedotti nei capitoli avrebbero dovuto considerarsi ammessi.
24 .- Il motivo è inammissibile, perché anche in questo caso si tratta di questione nuova, non risultante dalla sentenza impugnata. risposta all’interrogatorio formale non comporta affatto che il giudice debba ritenere come ammessi i fatti dedotti nei capitoli di prova, come si
Peraltro, giova anche ricordare che la mancata desume dalla semplice lettura dell’art. 232 cod. proc. civ.
25 .- Alla soccombenza del ricorrente segue la sua condanna alla rifusione delle spese di lite in favore della resistente, per la cui liquidazione -fatta in base al valore del credito azionato ed al d.m. n° 55 del 2014, come modificato dal d.m. n° 147 del 2022 -si rimanda al dispositivo che segue.
Va, infine, dato atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater , del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.
p.q.m.
la Corte dichiara inammissibili tutti i motivi di ricorso e condanna il ricorrente a rifondere al resistente le spese del presente grado di giudizio, che liquida in euro 6.000,00 per compensi ed euro 200,00
per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre al cp ed all’iva, se dovuta. Dà atto della sussistenza dei presupposti di cui all’articolo 13, comma 1 -quater , del decreto del presidente della repubblica 30 maggio 2002 n° 115, per il raddoppio del contributo unificato a carico del ricorrente, ove dovuto.
Così deciso in Roma il 12 marzo 2025, nella camera di