Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 3075 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 3075 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 02/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 37374/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato AVV_NOTAIO che ls rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di ROMA n. 5825/2019 depositata il 27/09/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/01/2024 dal Consigliere NOME COGNOME;
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE citava in giudizio Banca RAGIONE_SOCIALE spa (oggi RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE spa, ndr) per ottenere il pagamento della somma di euro 172.06725.
L’ attrice sosteneva di avere stipulato un contratto di subappalto con la società RAGIONE_SOCIALE -appaltatrice su commessa della RAGIONE_SOCIALE Senigallia per la costruzione di uno stabilimento industriale in Marotta (PS) di proprietà della RAGIONE_SOCIALE. Di aver eseguito opere interne presso lo stabilimento maturando crediti per il complessivo importo di euro 277.51,92 oltre euro 9.000,00 per materiali rimasti a piè d ‘ opera. Di aver incassato in pagamento la somma di euro 116.384,67 e che era ancora creditrice di euro 172.067,25. La RAGIONE_SOCIALE era l ‘ utilizzatrice del contratto di leasing stipulato con RAGIONE_SOCIALE per il predetto bene immobile e la RAGIONE_SOCIALE – cui la società RAGIONE_SOCIALE aveva nel frattempo ceduto la propria azienda – depositava istanza di concordato preventivo ove veniva previsto il soddisfo dei creditori chirografari, tra cui essa attrice, nella misura del 14%.
Tutto ciò premesso, secondo l’attrice si era verificato l’arricchimento di RAGIONE_SOCIALE la quale aveva visto aumentare il valore della sua proprietà in misura pari al corrispettivo dei lavori svolti da essa attrice. Pertanto, la RAGIONE_SOCIALE chiedeva la condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 172.067,25.
Banca RAGIONE_SOCIALE si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Roma rigettava la domanda.
La società RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
Iccrea RAGIONE_SOCIALE (succeduta a Banca RAGIONE_SOCIALE) resisteva al gravame.
La Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello.
Per quel che ancora rileva la Corte d’Appello affermava che i lavori svolti successivamente al collaudo del 21 giugno 2005 erano ricompresi in quelli già pagati da RAGIONE_SOCIALE e fatturati dalla società RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di opere la cui natura era strettamente connessa all’esecuzione di componenti essenziali per considerare completo e funzionante l ‘organismo edilizio oggetto del medesimo contratto RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE. Pertanto, come affermato dal CTU, i suddetti lavori dovevano essere ricompresi nel rapporto contrattuale RAGIONE_SOCIALERAGIONE_SOCIALE ancorché la loro esecuzione fosse eventualmente successiva alla data di collaudo (21.6.2005). In sostanza vi era una perfetta sovrapponibilità e, dunque, inclusione delle opere realizzate da RAGIONE_SOCIALE in quelle oggetto del rapporto intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE integralmente fatturato e di conseguenza non vi era stato alcun indebito arricchimento.
La Corte d’Appello affermava di condividere, come già il Tribunale, le conclusioni dell’Ausiliario secondo il quale i lavori per i quali RAGIONE_SOCIALE reclamava l ‘ indebito arricchimento di RAGIONE_SOCIALE erano ricompresi nel contratto di appalto tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE“, non ravvisandosi l’esecuzione di ulteriori lavori, né, conseguentemente, alcuna ulteriore fatturazione. Correttamente il
Tribunale aveva ritenuto che il credito di RAGIONE_SOCIALE per il pagamento dei lavori eseguiti, come accertato anche dal CTU, avesse natura contrattuale nei confronti de RAGIONE_SOCIALE e non poteva ravvisarsi alcun ingiustificato arricchimento da parte di RAGIONE_SOCIALE atteso che, per l’asserito incremento di valore dell’immobile, la società aveva sopportato il relativo sacrificio economico contrattualmente previsto.
RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
Iccrea RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: motivazione apparente, omesso esame del fatto (decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione fra le parti) costituito dalla assoluta estraneità dei lavori oggetto della domanda de RAGIONE_SOCIALE rispetto a quelli collaudati e pagati da RAGIONE_SOCIALE, contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili.
La ricorrente insiste nel sostenere che i pagamenti effettuati da RAGIONE_SOCIALE all’appaltatore RAGIONE_SOCIALE avevano riguardato lavori risalenti agli anni 2002/2004, oggetto delle fatture elencate alle pagine 17 e 18 della relazione del CTU (la penultima delle quali, datata 28.9.2004, si riferiva appunto al SAL finale, mentre l’ultima, emessa a collaudo avvenuto, riguardava lo svincolo dei decimi di garanzia), lavori (essi e solo essi) inclusi nell'” Atto Unico di Collaudo e di Consegna Definitiva”, firmato in data 21.6.2005. Mentre le pretese oggetto di giudizio erano (e sono) riferibili a lavori svolti successivamente a quelli collaudati, che RAGIONE_SOCIALE non ha mai pagato a RAGIONE_SOCIALE, che RAGIONE_SOCIALE (divenuta insolvente) non ha
mai pagato a RAGIONE_SOCIALE, e del cui valore dunque la stessa RAGIONE_SOCIALE si è indebitamente arricchita ai danni de RAGIONE_SOCIALE.
I lavori in oggetto non sarebbero tra quelli collaudati, eseguiti, fatturati da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE e da questa pagati a RAGIONE_SOCIALE fra il 2002 e la prima metà del 2004. La Corte d’Appello non avrebbe minimamente esaminato tale aspetto che le opere collaudate nel giugno del 2005 riguardavano stati di avanzamento lavori risalenti al 2002 -2004, l’ultimo dei quali (lo stato finale) fatturato il (e dunque completato ben prima del) 28.9.2004, sarebbe storicamente e materialmente impossibile che l'”importo complessivo integralmente fatturato” oggetto di quel collaudo comprenda “anche quello di euro. 138.795,61 che RAGIONE_SOCIALE rivendica nei confronti di RAGIONE_SOCIALE a titolo di indebito arricchimento”, essendo evidente che l’importo di euro 138.795,61 riguarda lavori successivi e diversi (anche se “essenziali per considerare completo e funzionante l’organismo edilizio oggetto del medesimo contratto RAGIONE_SOCIALE“) rispetto a quelli collaudati.
Inoltre, vi sarebbe una palese illogicità irriducibilie (denunciabile in sede di legittimità) tra la affermata omnicomprensività del collaudo e la (affermata anch’essa) inclusione tra i lavori collaudati di quelli eseguiti successivamente al collaudo stesso: come avrebbero potuto essere collaudati lavori non ancora eseguiti.
1.1 Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
La censura si incentra integralmente sul fatto che i lavori successivi al collaudo non avrebbero dovuto essere ricompresi tra quelli oggetto del pagamento effettuato dalla società RAGIONE_SOCIALE
alla appaltatrice RAGIONE_SOCIALE attività poi ceduta alla RAGIONE_SOCIALE
In realtà, tanto il Tribunale quanto la Corte d’Appello , con la medesima motivazione e fondandosi sugli accertamenti del consulente, hanno ritenuto che i lavori svolti successivamente al collaudo del 21 giugno 2005 erano ricompresi in quelli già pagati da RAGIONE_SOCIALE e fatturati dalla società RAGIONE_SOCIALE, trattandosi di opere la cui natura era strettamente connessa all’esecuzione di componenti essenziali per considerare completo e funzionante l’ organismo edilizio oggetto del medesimo contratto RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e ciò ancorché la loro esecuzione fosse eventualmente successiva alla data di collaudo del 21 giugno 2005.
In altri termini, vi era una perfetta sovrapponibilità, e, dunque, inclusione delle opere realizzate da RAGIONE_SOCIALE in quelle oggetto del rapporto intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE integralmente fatturato e dunque non vi era stato alcun indebito arricchimento.
1.2 Ciò premesso, deve evidenziarsi che la censura di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti non è ammissibile in un caso come quello in esame in cui la sentenza della Corte d’Appello è del tutto conforme a quella di primo grado (c.d. ‘doppia conforme’).
Deve farsi applicazione del seguente principio di diritto: Nell’ipotesi di ‘doppia conforme’ prevista dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve indicare l e ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. 5528/2014), adempimento non svolto.
Va invero ripetuto che ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, le regole sulla pronuncia cd. doppia conforme si applicano ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del citato decreto (id est, ai giudizi di appello introdotti dal giorno 11 settembre 2012).
Peraltro, come si è detto, il fatto che i lavori eseguiti fossero successivi al collaudo è stato espressamente esaminato, sicché la censura è inammissibile anche in relazione a tale ulteriore profilo.
Nessun contrasto irriducibile tra affermazioni è dato riscontrare nella motivazione sopra riportata, e anche la censura proposta come vizio di motivazione è inammissibile.
Questa Corte a sezioni unite ha chiarito che dopo la riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., operata dalla legge 134/2012, il sindacato sulla motivazione da parte della cassazione è consentito solo quando l’anomalia motivazionale si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; in tale prospettiva detta anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. Sez. un. 8053/2014). Nel caso di specie, la grave anomalia motivazionale non esiste, perché la Corte d’Appello conformemente
al giudice di primo grado ha evidenziato che quanto pagato dalla RAGIONE_SOCIALE comprendeva anche i lavori eseguiti successivamente al collaudo e tale accertamento non ha alcunchè di illogico o intrinsecamente contraddittorio.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., con riferimento alla omessa valutazione dei documenti attestanti la diversità dei lavori eseguiti nel 2005 rispetto a quelli oggetto di collaudo.
Secondo la ricorrente esisterebbero numerosi documenti, la cui valenza probatoria sarebbe stata ignorata dalla Corte d’Appello, attestanti la non coincidenza tra i lavori effettuati dopo il collaudo e quelli pagati da RAGIONE_SOCIALE.
In particolare, il verbale di collaudo del 21 giugno 2005, il computo delle opere realizzate da RAGIONE_SOCIALE nel luglio 2005, la dichiarazione del AVV_NOTAIO dei Lavori AVV_NOTAIO 17.1.2007.
2.1 Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
In tema di ricorso per cassazione, la doglianza circa la violazione dell’art. 116 c.p.c. è ammissibile solo ove si alleghi che il giudice, nel valutare una prova o, comunque, una risultanza probatoria, non abbia operato – in assenza di diversa indicazione normativa -secondo il suo “prudente apprezzamento”, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore oppure il valore che il legislatore attribuisce ad una differente risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale), oppure, qualora la prova sia soggetta ad una specifica regola di valutazione, abbia dichiarato di valutare la stessa secondo il suo prudente apprezzamento, mentre, ove si deduca che il giudice ha solamente male esercitato il proprio prudente apprezzamento della prova, la
censura è ammissibile, ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., solo nei rigorosi limiti in cui esso ancora consente il sindacato di legittimità sui vizi di motivazione. (Sez. U., Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 02).
Inoltre per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio), mentre è inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività valutativa consentita dall’art. 116 c.p.c. (Sez. U., Sentenza n. 20867 del 30/09/2020, Rv. 659037 – 01).
I suddetti principi espressi da questa Corte a Sezioni Unite evidenziano l’inammissibilità delle censure proposte dal la ricorrente per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. risolvendosi in sostanza nella richiesta di una diversa valutazione del materiale istruttorio (verbale di collaudo e dichiarazione del direttore dei lavori), cosi mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dal giudice di appello non condivisi e per ciò solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa potessero ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimità.
Il ricorso è rigettato.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater D.P.R. n. 115/02, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità nei confronti della parte controricorrente che liquida in euro 5200, più 200 per esborsi, oltre al rimborso forfettario al 15% IVA e CPA come per legge;
ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto;
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2^ Sezione