Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19136 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 19136 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/07/2025
S E N T E N Z A
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa da ll’Avvocato NOME COGNOME .
Ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Roma, in persona del legale rappresentante sig. NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’ Avvocato NOME COGNOME.
Controricorrente
avverso la sentenza n. 4903/2020 della Corte di appello di Roma, depositata l’8.10.2020.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23.5.2025 dal consigliere relatore NOME COGNOME
Udite le conclusioni del P.M., in persona del sostituto Procuratore Generale dott. ssa NOME COGNOME che ha chiesto l’accoglimento de i primi due motivi del ricorso, assorbiti gli altri.
Udite le difese svolte dall’Avv. NOME COGNOME per la ricorrente.
Fatti di causa
Con sentenza del 2016 il tribunale di Roma, decidendo sulle richieste proposte dalla RAGIONE_SOCIALE, rigettò la domanda principale della esponente di condanna di COGNOME NOME al pagamento del saldo del prezzo per i lavori di demolizione, ristrutturazione e consolidamento di un fabbricato di proprietà della convenuta, per nullità del contratto, rilevando che le predette opere erano state realizzate in assenza di permesso di costruire o di altro titolo abilitativo; accolse, invece, la domanda subordinata di condanna della controparte all’indennizzo per indebito arricchimento, che liquid ò nell’importo di euro 60.798,71.
Proposto gravame da parte di COGNOME NOME, con sentenza n. 4903 dell’8.10.20 20 la Corte di appello di Roma confermò la decisione di primo grado, affermando che la domanda ex art. 2041 c.c. era proponibile, stante la nullità del contratto di appalto, e, in quanto proposta con la prima memoria istruttoria, era altresì ammissibile, nonché fondata, non risultando le contestazioni sul punto della appellante specifiche e provate.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso COGNOME NOME, affidato a quattro motivi.
La RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso.
Il P.M. e le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1.Il primo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1346, 1418 e 2041 c.c. e dell’art. 47, comma 6, legge n. 47 del 1985, censurando la sentenza impugnata per avere ritenuto ammissibile la domanda di arricchimento senza causa proposta dalla società. Sostiene la ricorrente che, essendo stato il contratto di appalto dichiarato nullo per violazione della norma imperativa posta dalla disciplina edilizia ed urbanistica, tanto che l’immobile era stato sequestrato e l’ odierna ricorrente sottoposta a processo penale, l ‘ impresa costruttrice non avrebbe potuto invocare alcuna indennità a titolo di indebito arricchimento, trattandosi di pretesa non tutelabile dall’ordinamento.
Il motivo è fondato.
Va premesso che l’accertamento compiuto da tribunale in ordine alla nullità del contratto di appalto, per avere esso avuto ad oggetto opere abusive dal punto di vista edilizio ed urbanistico, che ha portato il giudice a respingere la pretesa di pagamento del corrispettivo avanzata dalla società attrice, non è stato oggetto del giudizio di appello e può pertanto considerarsi coperto dal giudicato interno.
Tanto precisato, la motivazione della sentenza della Corte di appello, che ha ritenuto che, pur in presenza della accertata causa di nullità del titolo contrattuale, l’impresa costruttrice potesse agire per ottenere il pagamento stificato arricchimento della controparte, in forza della dell’indennizzo per l’ingiu mera natura sussidiaria dell’azione proposta, non merita condivisione.
L’art. 2042 c.c. stabilisce il carattere sussidiario dell’azione di indebito arricchimento, prevedendo che essa non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito. Alla luce di tale previsione, si è posta la questione se l’appaltatore che abbia eseguito l’opera in assenza del titolo edilizio prescritto dalla legge, possa esercitare l’azione di indebito arricchimento nei limiti in cui i lavori eseguiti rappresentino un arricchimento per la controparte. La questione, a sua volta, si pone alla luce dell’orientamento pacifico secondo cui l ‘appalto , avente ad oggetto la realizzazione di opere per cui è previsto dalla legge il permesso di costruire, eseguite in assenza del titolo edilizio, è nullo per illiceità dell’oggetto, ai sensi dell’art. 1346 e 1418 c.c., trattandosi di attività vietata dalla legge, soggetta anche a sanzione penale (Cass. n. 21418 del 2018; Cass. n. 7961 del 2016; Cass. n. 20301 del 2012 ) . L’appaltatore in questi casi è pertanto privo del titolo contrattuale in forza del quale poter chiedere il pagamento del corrispettivo.
Nonostante le incertezze manifestate in passato dalla giurisprudenza di questa Corte, la questione proposta va risolta nel senso di negare che, in tali casi, l ‘appaltatore possa esercitare l’azione di ingiustificato arricchimento.
La ragione risiede nella considerazione che ammettere in queste ipotesi l’azione contrasta con i principi generali dell’ordinamento, che vieta no e sanzionano l’attività per cui l’indennizzo è richiesto, e con la stessa funzione dell’amministrazione della giustizia, che finirebbe per consentire all’esecutore dell’opera di conseguire, sia pure nei più ridotti limiti dell’indennizzo, quel
medesimo vantaggio che si era ripromesso di ottenere ponendo in essere l’attività illecita (Cass. n. 26853 del 2011; Cass. n. 6777 del 2001; in senso contrario: Cass. n. 8040 del 2009; Cass. n. 2884 del 2002).
Il Collegio condivide questo orientamento.
La Corte di appello affida la soluzione diversa ad una nozione di sussidiarietà del tutto astratta, che non considera i numerosi temperamenti introdotti dal diritto vivente, in particolare nelle ipotesi in cui oggetto di indennizzo è lo svolgimento di attività precluse o vietate da norme imperative (Cass. n. 8683 del 2019; Cass. n. 14120 del 2020). Si è affermato che, in queste ipotesi, l’azione di ingiustificato arricchimento può atteggiarsi, e in concreto si configura, quale strumento volto ad aggirare un divieto posto a tutela di interessi generali e quindi non derogabile e non disponibile. Il principio risulta di recente ribadito dalle Sezioni unite di questa Corte, che nell’affrontare il tema della nozione e dei limiti della regola della sussidiarietà posta dall’art. 2042 c.c., ha affermato che la domanda di ingiustificato arricchimento, avanzata autonomamente ovvero in via subordinata rispetto ad altra domanda principale, è proponibile ove la diversa azione – sia essa fondata sul contratto ovvero su una specifica disposizione di legge ovvero ancora su clausola generale – si riveli carente ab origine del titolo giustificativo, restando viceversa preclusa ove quest’ultima sia rigettata per prescrizione o decadenza del diritto azionato o per carenza di prova del pregiudizio subito o per nullità derivante dall’illiceità del titolo contrattuale per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico (sentenza n. 33954 del 2023; in senso conforme: Cass. n. 13203 del 2023; Cass. n. 27008 del 2024; Cass. n. 6735 del 2004).
Il secondo motivo di ricorso, che denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c. e dell’art. 183 c.p.c. e vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, investe il capo della sentenza che ha ritenuto processualmente ammissibile la domanda di indebito arricchimento avanzata in via subordinata dalla controparte.
Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 2041 e 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c. e vizio di omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, censurando la sentenza nella parte in cui, richiamando le
risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e ritenendo generiche le contestazioni avanzate con l’atto di appello, ha confermato la decisione di primo grado di accoglimento della domanda di indebito arricchimento.
Il quarto motivo di ricorso, nel reiterare la denuncia dei vizi di cui al motivo precedente, censura il medesimo capo della sentenza, per non avere tenuto conto, nella quantificazione della somma liquidata alla controparte, degli acconti sul prezzo da essa ricevuti.
I motivi si dichiarano assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo motivo.
La sentenza va pertanto cassata in relazione al motivo accolto e, sussistendone le condizioni, la causa va decisa nel merito, rigettando la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento proposta dalla Società RAGIONE_SOCIALE
Le spese d ell’intero giudizio si dichiarano compensate, in considerazione dell’incertezza sussistente in giurisprudenza sulla questione controversa e del suo superamento ad opera solo della giurisprudenza successiva.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di indennizzo per ingiustificato arricchimento proposta dalla RAGIONE_SOCIALE Compensa le spese dell’intero giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 maggio 2025.