Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 32662 Anno 2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 32662 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
composta dai signori magistrati:
Oggetto:
dott. NOME COGNOME
Presidente relatore
INDEBITO ARRICCHIMENTO P.A.
dott. NOME COGNOME
Consigliera
dott. NOME COGNOME
Consigliere
dott. NOME COGNOME
Consigliera
Ad. 12/11/2024 C.C.
dott. NOME COGNOME
Consigliere
R.G. n. 4923/2021
ha pronunciato la seguente
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero 4923 del ruolo generale dell’anno 2021, proposto
da
COGNOME Loreto (C.F.: DCC LRT 47C03 C426E) COGNOME NOME (C.F.: FLR CRL 52D18 A345P)
rappresentati e difesi dall’avvocat o NOME COGNOMEC.F.: CCC LSN 52S26 C426Q)
-ricorrenti-
nei confronti di
A.R.A.P. – Azienda RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore , NOME COGNOME
rappresentata e difesa dall’avvocat NOME CODICE_FISCALE
o NOME COGNOME (C.F.:
-controricorrente-
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
nonché
RAGIONE_SOCIALE già RAGIONE_SOCIALE (C.F.: non indicato), in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimata-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di L’Aquila n. 1800/2020, pubblicata in data 21 dicembre 2020; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 12 novembre 2024 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno agito in giudizio nei confronti del Consorzio per lo sviluppo industriale della Marsica (oggi A.R.A.P. -Azienda regionale delle attività produttive della Regione Abruzzo) per ottenere il pagamento dell’importo di € 103.405,48, a titolo di indebito arricchimento, per l’attività di progettazione, sia preliminare che definitiva, di alcuni interventi da svolgersi nell’agglomerato industriale di Avezzano, assumendo che l’ente convenuto aveva loro conferito il relativo incarico ed utilizzato le loro prestazioni professionali, senza però mai formalizzare l’accordo in un regolare contratto .
L’ente convenuto ha chiamato in giudizio RAGIONE_SOCIALE (oggi RAGIONE_SOCIALE), società alla quale aveva commissionato la redazione della progettazione definitiva dell’intervento, stipulando all’uopo una apposita convenzione, e che si era altresì as sunta l’onere di retribuire i professionisti officiati per lo svolgimento della relativa opera, senza oneri per il consorzio committente, chiedendo di essere manlevato, in caso di accoglimento della domanda proposta nei suoi confronti.
RAGIONE_SOCIALE costituendosi in giudizio, ha chiesto la risoluzione della convenzione stipulata con il Consorzio per lo sviluppo industriale della Marsica, per inadempimento di quest’ultimo, nonché il risarcimento dei conseguenti danni.
Il Tribunale di Avezzano ha accolto la domanda principale e condannato l’ente convenuto a pagare agli attori l’importo di € 103.405,38, oltre interessi; ha dichiarato, invece, il difetto di legittimazione di RAGIONE_SOCIALE, rigettando la domanda di manleva avanzata nei suoi confronti.
La Corte d’a ppello di L’Aquila, ritenuta oggetto di rinuncia la domanda di manleva avanzata dall’A.R.A.P. nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e rigettato l’appello incidentale degli attori, in parziale accoglimento di quello dell’ente convenuto ed in parziale riforma della decisione di primo grado, ha condannato l’A.R.A.P.
a pagare agli stessi attori la minor somma di € 30.000,00, oltre interessi dalla pubblicazione della sentenza.
Ricorrono il COGNOME ed il COGNOME sulla base di otto motivi.
Resiste con controricorso l’A.R.A.P. .
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’ altra società intimata.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « violazione dell’ art. 1372 cod. civ. ».
Con il secondo motivo si denunzia « Violazione degli artt. 113, 115, 116 e 327 c.p.c. e dell ‘ art. 2797 cod. civ. ».
Con il terzo motivo si denunzia « Violazione dell ‘ art. 115 cod. proc. civ. e dell ‘ art. 1273 cod. civ. ».
Con il quarto motivo si denunzia « Violazione dell ‘ art. 360 c.p.c. n. 4. Violazione degli artt. 194 e 195 c.p.c. e degli artt. 87 e 90 disp. att. c.p.c. ».
I primi quattro motivi del ricorso, tutti aventi ad oggetto la statuizione relativa al mancato riconoscimento dell’indennizzo ai sensi dell’art. 2041 c.c. per la progettazione definitiva dell’intervento per cui è causa, sono connessi sul piano logico e giuridico e possono, pertanto, essere esaminati congiuntamente. Essi sono infondati.
I ricorrenti deducono che , nel negare l’indennizzo di cui all’art. 2041 c.c., in relazione alla progettazione definitiva dell’intervento, la corte d’appello avrebbe: 1) ritenuto efficace nei loro confronti una convenzione negoziale intercorsa tra l’RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, rispetto alla quale essi erano terzi estranei;
rigettato la domanda sulla base di documenti formati dallo stesso ente convenuto, che non potevano avere efficacia probatoria in favore di quest’ultimo; 3) violato il principio di non contestazione e le disposizioni del codice civile in materia di accollo del debito, in quanto, secondo tale prospettazione, l’ARAP avrebbe riconosciuto, nel presente giudizio, di avere loro affidato l’incarico della progettazione definitiva, affermando che RAGIONE_SOCIALE si era semplicemente accollata il conseguente debito, ai sensi dell’art. 1273 c.c.; 4) utilizzato indagini di fatto svolte dal consulente tecnico di ufficio esorbitando dal proprio mandato.
Nessuna delle censure esposte può trovare accoglimento.
1.1 La corte d’appello ha ritenuto, in fatto, sussistere la prova che la progettazione definitiva dell’intervento per cui è causa fosse stata oggetto di un incarico conferito dall’ARAP alla GAL Marsica SRAGIONE_SOCIALE e non direttamente ai professionisti attori, i quali avevano svolto la propria attività professionale in favore della seconda e non, quindi, della prima.
Si tratta di un accertamento di fatto fondato dalla corte territoriale sulla prudente valutazione di tutti gli elementi probatori disponibili, sostenuto da adeguata motivazione, non meramente apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, come tale non censurabile nella presente sede.
In particolare, la corte d’appello, contrariamente a quello che sostengono gli attori (in particolare con il primo motivo del ricorso), non ha affatto ritenuto che la convenzione tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avesse efficacia negoziale diretta nei loro con fronti, sebbene estranei all’accordo, né (come dedotto nel secondo e nel terzo motivo) ha fondato le proprie conclusioni esclusivamente su documenti formati dalla parte convenuta, ovvero su accertamenti svolti dal consulente tecnico di ufficio al di là dei limiti del proprio mandato, in ordine al ruolo svolto
dagli attori all’interno della stessa organizzazione societaria della RAGIONE_SOCIALE
Come emerge dalla lettura complessiva della motivazione della decisione impugnata, la corte territoriale ha, in realtà, considerato tutti gli elementi probatori emergenti dagli atti, li ha valutati secondo il suo prudente apprezzamento ed ha, infine, escluso che vi fosse la prova di un incarico professionale conferito direttamente (sia pure in via informale) dall’ente pubblico agli attori, in relazione alla progettazione definitiva dell’intervento e che, al contrario, gli elementi istruttori acquisiti inducessero a ritenere più probabile che tale progettazione definitiva fosse stata effettivamente fatta realizzare proprio dalla società RAGIONE_SOCIALE
In tal senso, del resto, deponevano, da una parte, l’assoluta insussistenza di prove a sostegno della specifica allegazione degli stessi attori in ordine alla circostanza di fatto che l’ARAP avesse loro direttamente conferito, anche informalmente, l’incarico di realizzare, oltre (come è pacifico) la progettazione preliminare, anche la progettazione definitiva e, dall’altra parte, il fatto stesso dell’avvenuta stipulazione di una convenzione tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avente ad oggetto la redazione dei pr ogetti definitivi da parte di quest’ultima, da svolgersi anche eventualmente mediante il conferimento di incarico a professionisti dalla stessa individuati e retribuiti.
In tale ottica, poi, la circostanza che i relativi elaborati tecnici finali fossero stati redatti e sottoscritti dai professionisti attori non è stato ritenuto elemento idoneo a comprovare una diversa conclusione, ben potendo questi ultimi avere ricevuto l’incarico dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, e ciò anche a prescindere dal ruolo professionale da essi svolto nella compagine sociale, oggetto dell’accertamento del consulente tecnico di ufficio di cui è contestata la regolarità (eccezione di cui, in tale ottica, emerge l’assoluta irrilevanza ai fini della decisione della controversia) .
È, del resto, evidente che il conferimento di un diretto incarico agli attori per la progettazione definitiva sarebbe stata una circostanza difficilmente compatibile, almeno sul piano indiziario, con il documentato affidamento di tale incarico alla RAGIONE_SOCIALE attestato dalla convenzione con quest’ultima stipulata.
In definitiva, come premesso, trattandosi di un accertamento di fatto fondato sulla complessiva valutazione delle prove, sostenuto da adeguata motivazione, non meramente apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico, la statuizione sul punto oggetto delle censure in esame non è sindacabile nella presente sede.
Le indicate censure, oltre ad essere infondate in relazione agli specifici profili già evidenziati, pertanto, per ogni altro aspetto si risolvono nella inammissibile contestazione di tale accertamento di fatto e nella richiesta di una nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
1.2 Neanche possono avere seguito le censure (specificamente avanzate con il terzo motivo del ricorso) relative alla pretesa violazione del principio di non contestazione e delle disposizioni del codice civile in materia di accollo.
Tali censure si fondano sull’assunto per cui l’ARAP avrebbe riconosciuto, nelle sue difese, di avere conferito l’incarico della progettazione definitiva ai professionisti attori e convenuto con RAGIONE_SOCIALE l’accollo in capo a quest’ultima del relativo debito per i compensi ad essi dovuti.
Emerge, peraltro, con evidenza, dal complesso della decisione impugnata, che la corte d’appello ha interpretato le difese dell’ARAP in modo diverso , da ritenersi del tutto corretto.
L ‘ARAP ha, infatti, espressamente negato di avere conferito l’incarico della progettazione definitiva ai professionisti attori ed ha, altrettanto espressamente, sostenuto, con difesa fondata su prospettazione anche logicamente incompatibile con il
contrario assunto dei ricorrenti, di avere conferito tale incarico esclusivamente alla RAGIONE_SOCIALE
Né vi è, nel ricorso, un adeguato e idoneo richiamo del contenuto degli specifici atti difensivi del giudizio di merito che consentano di ritenere diversamente.
Con il quinto motivo si denunzia « Violazione dell ‘ art. 2041 cod. civ., dell ‘ art. 1224 e 1282 e seguenti cod. civ. ».
Con il sesto motivo si denunzia « Violazione dell ‘ art. 2041 e dell ‘ art. 1227 cod. civ. in relazione all’ art. 360 n. 3 cod. proc. civ. ».
Con il settimo motivo si denunzia « Violazione, errata interpretazione o mancata applicazione degli art. 2014 e 1226 cod. civ. nonché violazione dell ‘ art. 132 n. 4, per insussistente ovvero apparente motivazione ».
Il quinto, il sesto e il settimo motivo, aventi tutti ad oggetto la liquidazione dell’importo dovuto quale indennizzo per la progettazione preliminare, sono connessi e possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.
2.1 I ricorrenti deducono, in primo luogo, che non sarebbero stati riconosciuti interessi e rivalutazione sull ‘ indennizzo liquidato in loro favore ai sensi dell’ art. 2041 c.c..
Tale censura (oggetto, in particolare, del quinto motivo) è infondata.
La corte d’appello ha liquidato l’indennizzo dovuto in via equitativa, all’attualità e, in tal modo, ha, in realtà, già tenuto conto, nella determinazione della somma finale, della svalutazione monetaria determinatasi dal momento in cui era stata resa l’attività professionale, nonché del danno per il ritardato pagamento dell’importo dovuto : di conseguenza, è da ritenere del tutto conforme a diritto il riconoscimento degli ulteriori interessi sulla somma così liquidata solo a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza.
2.2 In via subordinata (in particolare, con il sesto motivo), i ricorrenti deducono, inoltre, che, a voler considerare -come in effetti appena chiarito -liquidati anche gli indicati accessori dalla corte territoriale, l’indennizzo effettivamente loro riconosciuto (quale ‘ sorta capitale ‘) ammonterebbe all’importo originario di soli € 18.000,00, a loro avviso ‘ sproporzionato per difetto ‘ ; sostengono comunque (in particolare, con il settimo motivo) che la predetta liquidazione non sarebbe sostenuta da alcuna motivazione o, al più, che la motivazione sarebbe meramente apparente.
La prima censura è inammissibile, mentre la seconda è infondata.
2.2.1 La valutazione equitativa operata dai giudici del merito ai sensi dell’art. 1226 c.c. risulta sostenuta da adeguata motivazione, non meramente apparente né insanabilmente contraddittoria sul piano logico.
La corte d’appello ha, infatti, dato esaustivamente conto del processo logico e valutativo seguito per giungere alla sua finale determinazione.
La decisione impugnata contiene, sotto tale profilo, in primo luogo, un puntuale riferimento al tempo ed alle energie dedicate dai professionisti all’attività necessaria per la realizzazione dell’opera utilizzata dall’ente pubblico .
Sono poi, ulteriormente ed espressamente considerati, quali parametri utili ai fini della complessiva valutazione equitativa, tanto l’importo del compenso previsto dalle tariffe professionali, quanto quello (comparativamente notevolmente inferiore) previsto dalla delibera di incarico non formalizzata in regolare contratto, ma sulla base della quale gli attori avevano pure, comunque, eseguito la prestazione.
Benché entrambi tali importi siano stati ritenuti di per sé non suscettibili di diretto recepimento ai fini della liquidazione, uno perché eccessivo e l’altro perché insufficiente, di essi la corte
appare avere, comunque, ragionevolmente tenuto conto, in mancanza di altri e diversi parametri utilizzabili in concreto, onde orientare in modo ragionevole ed equilibrato la liquidazione equitativa finale.
2.2.2 L’indicata motivazione, del tutto adeguata e condivisibile sul piano logico, non può, dunque, ritenersi censurabile nella presente sede, tenuto conto che, secondo il consolidato indirizzo di questa stessa Corte, « l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità quando la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, i ndicando il processo logico e valutativo seguito » ( ex multis : Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5090 del 15/03/2016, Rv. 639029 -01; Sez. 1, Sentenza n. 18637 del 27/07/2017, Rv. 645075 -01; Sez. 3, Sentenza n. 24070 del 13/10/2017, Rv. 645831 -01; Sez. L, Ordinanza n. 16595 del 20/06/2019, Rv. 654240 – 01).
Con l’ottavo motivo si denunzia « Violazione dell ‘ art. 92 cod. proc. civ. in relazione all ‘ art. 360 n. 3 cod. proc. civ. ».
Il motivo è infondato.
La domanda degli attori è stata solo parzialmente accolta (la domanda era stata avanzata per un importo superiore ad € 100.000,00, oltre interessi e rivalutazione dallo svolgimento dell’attività; il suo accoglimento è avvenuto per soli € 30.000 ,00, all’attualità ).
Sussistevano, dunque, certamente i presupposti che giustificavano la compensazione delle spese ai sensi dell’art. 92, comma 2, c.p.c., dovendo, in siffatta ipotesi, escludersi solo la possibilità di una condanna della parte attrice (parzialmente) vittoriosa (si veda la soluzione fatta propria e adottata, in identica ipotesi di accoglimento parziale della domanda, da Cass., Sez. U, Sentenza n. 32061 del 31/10/2022, Rv. 666063 -01)
Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’ente controricorrente, liquidandole in complessivi € 5.800,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, comma 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento al competente ufficio di merito, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Ci-