Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26240 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26240 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21179/2020 R.G. proposto da : COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME NOMECOGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZOSt. Legale Ass. COGNOME COGNOME), presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE;
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE Calabrese, in persona del legale rappresentante elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende;
-controricorrente-
nonché
ARSSA, AGENZIA REGIONALE PER LO SVILUPPO E SERVIZI IN AGRICOLTURA GESTIONE LIQUIDATORIA;
-intimato-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO DI CATANZARO n. 2213/2019 depositata il 18/11/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/07/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto notificato il 15 aprile 1982, COGNOME NOME citava innanzi al Tribunale di Cosenza l’ Opera per la valorizzazione della Sila (cui poi è succeduta l’ARSAC) al fine di sentirla condannare alla restituzione della quota di un terzo dei terreni espropriati dall’Opera Sila in forza del D.P.R. 24 dicembre 1951, n. 1490 e, in caso di impossibilità della restituzione, al pagamento del loro valore venale o, in subordine, al pagamento della stessa somma a titolo di ingiustificato arricchimento. Esponeva a tal fine che: a) con atto pubblico del 18 ottobre 1949 aveva ricevuto in donazione obnuziale dal padre COGNOME NOME un terzo di una proprietà sita nel Comune di Bisignano; b) con D.P.R. n. 1490 del 1951 detta proprietà era stata espropriata e i terreni trasferiti all’Opera Sila; c) la Corte costituzionale, investita della questione di legittimità costituzionale in via incidentale nell’ambito di altro procedimento promosso dal di lui padre COGNOME NOME, aveva dichiarato, con sentenza 25 giugno 1975, n. 160, l’illegittimità costituzionale del citato D.P.R. n. 1490 del 1951, in quanto non aveva escluso dalla quota di scorporo i terreni oggetto della donazione ad esso COGNOME NOME; d) per effetto di tale sentenza, esso attore aveva riacquistato il suo titolo di proprietà perduto con l’espropriazione.
Il Tribunale di Cosenza, in parziale accoglimento della domanda, condannava la Gestione liquidatoria dell’ARSSA al pagamento di una somma pari all’arricchimento determinatosi nel pa-
trimonio dell’ente per effetto dell’acquisizione dei fondi donati all’attore, somma quantificata con successiva sentenza.
L’Agenzia interponeva gravame, e gli eredi di COGNOME NOME, nelle more deceduto, spiegavano gravame incidentale, che la Corte di appello di Catanzaro accoglieva parzialmente, qualificando la domanda come risarcimento danni in virtù di precedente giudicato inter partes (la causa originariamente intrapresa da NOME COGNOME e proseguita dai suoi eredi) e quindi ritenendo maturata la prescrizione quinquennale, interamente decorsa al momento della proposizione della domanda avanzata da COGNOME NOME
Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione gli eredi COGNOME
Con sentenza n. 8334/2018, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso, rilevando che la Corte di appello aveva errato nell’applicare l’art. 2909 c.c., dal momento che in questo giudizio NOME COGNOME aveva agito in proprio quale proprietario dei terreni che gli erano stati donati, e non come erede di NOME COGNOME, e che la domanda andava qualificata in termini di ripetizione di indebito svolta, in via autonoma, da NOME COGNOME, da ciò discendendo l’applicabilità del termine prescrizionale di dieci anni e non di cinque come ritenuto (erroneamente) dalla Corte di appello di Catanzaro, cui rinviava la causa per un nuovo esame.
Riassunto il giudizio innanzi alla Corte d’appello, gli eredi COGNOME hanno insistito per ottenere l’intero valore venale del bene, non più restituibile, e non soltanto l’arricchimento di cui aveva beneficiato l’ente, il quale, costituendosi e ritenuti superati dalla sentenza della Corte di Cassazione i primi cinque motivi dell’appello, ha riproposto il sesto e settimo motivo dell’appello, allegando la violazione dell’obbligo di motivazione sul quantum, poiché non si era tenuto conto delle contestazioni mosse alla perizia.
La Corte d’appello di Catanzaro, con la sentenza oggi impugnata: a) ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE abbia implicitamente rinunciato a far valere la prescrizione; b) ha ritenuto infondato l’appello incidentale degli eredi di COGNOME, inteso a ottenere il valore venale del bene; c) ha escluso alcune voci dalla liquidazione dell’indennità, in particolare il valore dei fabbricati insistenti su un terreno venduto a terzi (NOMECOGNOME, ritenendo che fossero stati realizzati dall’ente (opere di miglioramento), e la somma riconosciuta a titolo di potenzialità produttiva, perché non concretava un effettivo arricchimento dell’ente; ha escluso altresì la somma pretesa per il querceto (legna da tagliare), in quanto dovuta a titolo di danno, dal momento che le piante già mature per il taglio restano in proprietà dell’espropriato, e quindi il fatto che l’ente se ne sia appropriato rappresenta un illecito. Ha quindi condannato l’Agenzia regionale al pagamento delle somme di euro 10.637,44, a titolo di vantaggio per l’acquisizione dei terreni, e di euro 24.600,56 per la vendita di terreni a terzi, oltre interessi e rivalutazione, revocando la condanna al pagamento delle somme pretese a titolo di potenzialità produttiva del terreno nel periodo di godimento da parte dell’Agenzia regionale, nonché delle somme pretese per il valore delle querce esistenti sui terreni.
Avverso la predetta sentenza hanno proposto di ricorso per cassazione gli eredi COGNOME affidandosi a quattro motivi. Ha resistito con controricorso l’Agenzia. I ricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo del ricorso si lamenta ex art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione e falsa applicazione dell’art. 2037 c.c. I ricorrenti deducono che non possono considerarsi periti i beni, che al momento dell’espropriazione (1951) erano esistenti ed avevano un
importante valore patrimoniale economico, mantenuto anche nel momento della alienazione ai terzi (con cessioni o vendite) con atti perfezionati negli anni successivi dalla ARSSA. Rilevano che la disciplina applicabile è quella indicata dai commi 1 e 2 dell’art. 2037 c.c., che statuisce che l’ accipiens è tenuto a corrispondere, secondo il principio generale, il valore pieno dei beni espropriati e non restituiti e che, pertanto, è errata la applicazione alla fattispecie del comma 3 del medesimo articolo, per non avere alcun rilievo, nella fattispecie, le condizioni dell’ accipiens (di buona o male fede di questi). Deducono che, contrariamente a quanto si assume implicitamente nella sentenza impugnata, i beni immobili che andavano restituiti per la quota di 1/3 a NOME COGNOME e che l’ente non ha restituito, perché alienati, non hanno mutato natura: essi non sono divenuti demaniali, né sono stati incorporati in opera pubblica, perché la loro semplice alienazione a terzi non ha importato, né fattualmente, né giuridicamente, l’insorgenza (o la costruzione) di un nuovo bene. Da qui la necessità che la fattispecie di indebito oggettivo venga sussunta ed interpretata sub art. 2037 c.c. in termini costituzionalmente orientati e nel rispetto degli artt. 1 prot. 1 CEDU, 42 Cost. e 117 Cost. ed in modo che il corrispettivo dell’indebito oggettivo sia ragguagliato quantomeno al valore di mercato che i beni non restituiti avevano alla data dell’espropriazione, attesa la rilevanza della intervenuta illecita occupazione e detenzione della quota parte dei terreni e immobili espropriati, da per effetto della emissione della sentenza della Corte Costituzionale n. 160/1975, che ha annullato il titolo espropriativo.
-Con il secondo motivo del ricorso si lamenta ex art. 360 n. 5 c.p.c. l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio e la illogicità della motivazione. Si censura quel capo di sentenza che ha ridotto l’importo dovuto per la vendita del terreno in favore di NOMECOGNOME in quanto dalla documentazione risulterebbe che fabbricati
economicamente più rilevanti esistenti alla data della vendita sono stati posti in essere dall’ente alienante, nonché il capo di sentenza che ha escluso le somme dovute a titolo di potenzialità produttive del terreno, dal momento che l’ente non ha mai utilizzato per propri fini terreni espropriati e non ne ha tratto vantaggi; si censura inoltre il capo di sentenza ove non è stato liquidato il valore delle querce già mature per il taglio, in quanto rappresenterebbe una voce di danno. I ricorrenti deducono che Corte distrettuale ha erroneamente accertato la generale non espropriabilità dei boschi, senza avvedersi di come le leggi statali e della riforma fondiaria prevedevano la normale espropriabilità dei boschi (salvo per i boschi di montagna o interessati al vincolo idrogeologico), e di come sussistesse addirittura una normativa che disciplinava le modalità di pagamento dei boschi espropriati; e per avere erroneamente ritenuto che essi non inerissero agli scopi di trasformazione agraria. La Corte territoriale ha di conseguenza erroneamente escluso il diritto al pagamento dell’indebito per il pregiudizio subito per la perdita dei boschi di quercia e relative piante già mature per il taglio, esclusione questa fondata sull’effettuato (illogico ed errato) accertamento della Corte distrettuale dell’esser stati i boschi di querce non compresi nel provvedimento ablatorio perché, essendo maturi per il taglio, essi sarebbero rimasti in proprietà dell’espropriato, nonostante il procedimento espropriativo abbia avuto ad oggetto i terreni su cui i boschi insistevano ed erano impiantati. Lamentano che la Corte ha omesso ha omesso l’esame di fatti decisivi quali sono le attività ricognitive e valutative, specificamente attestate e certificate come realmente avvenute nel verbale di consistenza redatto il 16.1.1953 (e giorni successivi) dall’ente espropriante: attività di ricognizione, stima e valutazione dei boschi di quercia di proprietà COGNOME.
3. -Con il terzo motivo del ricorso si lamenta ex art. 360 n. 3 c.p.c. la violazione dell’art. 2037 c.c., della legge n. 230 del 1950 e della legge stralcio n. 841 del 1950, nonché ulteriormente la violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. Si ripropone sotto il profilo di violazione della legge la questione delle querce esistenti al momento della consegna dei terreni all’ente e non più presenti al momento dell’assegnazione di terreni, rilevando che c’era una massa legnosa di tronchi nonché legna ramata o da ardere che avrebbero dovuto essere valutate; i ricorrenti deducono che nessuna norma della legge n. 230/1950 prevede che non rientri nel provvedimento ablatorio il taglio del bosco espropriato da parte dell’ente.
4. -Con il quarto motivo del ricorso si lamentano le medesime violazioni di cui al terzo motivo di ricorso e la violazione dell’art. 112 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 nn. 4 e 5 c.p.c., nonché la incongrua citazione di un precedente giurisprudenziale. I ricorrenti ribadiscono che la Corte di merito ha fatto cattiva interpretazione della legge n. 230/1950, poiché invece dall’intera compagine normativa nonché dalla legge stralcio dei boschi si deduce la normale espropriabilità dei boschi; stigmatizzano l’errore della Corte d’appello consistente nel non avere colto la distinzione operata dal legislatore tra i diversi tipi di terreni boschivi e per avere ritenuto l’esistenza di un generale divieto di espropriabilità dei boschi nella legge fondiaria. Deducono che la sentenza della Suprema Corte n. 1619/1981 è stata erroneamente richiamata a supporto della sentenza qui impugnata, non essendo precedente conferente per la fattispecie che ci occupa, poiché trattavasi di un’ipotesi di atto illecito extracontrattuale.
5. -Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
A fronte della ritenuta genericità dell’appello, i ricorrenti non specificano, neppure in questa sede, perché il comportamento dello ente debba considerarsi contrario alla buona fede. Di contro, si os-
serva che l’ente deve considerarsi un accipiens di buona fede, atteso che nel momento in cui ha proceduto all’espropriazione vi era una legge che lo consentiva e la dichiarazione di illegittimità costituzionale è intervenuta a distanza di 25 anni dall’emissione del D.P.R. 1490 del 1951 (Corte cost., sent. n.160 del 1975), sicché può escludersi che l’ente fosse consapevole dell’insussistenza del diritto ad acquisire il bene (v. Cass. n. 2141/1974 e Cass. SU n. 1071/1973).
Inoltre, come peraltro rileva anche la parte stessa, si tratta della impossibilità di restituire la cosa per factum principis, cioè perché la legge stessa ne imponeva la redistribuzione (ai contadini) e sotto questo profilo aveva esaurito i suoi effetti al momento della dichiarazione di incostituzionalità; ciò peraltro è stato affermato anche da questa Corte nella sentenza resa nei confronti del dante causa di NOME COGNOME e cioè che in tema di espropriazione di terreni per la colonizzazione dello altopiano della Sila, disposta con decreto presidenziale in attuazione della legge 12 maggio 1950, n. 230, la sopravvenuta declaratoria d’illegittimità del decreto stesso, resa dalla Corte costituzionale sotto il profilo dell’eccesso di delega, non pone nel nulla gli effetti che il provvedimento ha già prodotto, cioè il trasferimento dei beni all’opera Sila e quindi la loro distribuzione ai contadini (Cass.1476/1981). Di conseguenza, si tratta di una vera e propria impossibilità giuridica di restituzione, equivalente al perimento della cosa, ipotesi che da tempo questa Corte considera quale «perimento giuridico del bene» (v. Cass. 1254/1983; Cass. SU n. 3674/1982)
6. -Il secondo, terzo e quarto motivo possono esaminarsi congiuntamente e sono parzialmente fondati nei limiti di cui appresso si dirà.
I motivi riguardano alcune voci per le quali la Corte d’appello ha ritenuto non dovesse liquidarsi alcuna somma.
Per quanto riguarda il terreno venduto a NOME ed i fabbricati ivi insistenti, le censure dei ricorrenti sono inammissibili, poiché si tratta di accertamenti in fatto su chi abbia costrutto i fabbricati e le censure evidenziano questioni di merito che non possono discutersi in questa sede. Per quanto riguarda la produttività del terreno, essa non può ritenersi indennizzabile a titolo di arricchimento, perché non si tratta di un bene che è entrato nella disponibilità dell’ente, diversamente invece dalle piante mature per il taglio già esistenti sui terreni.
Per quanto riguarda il querceto, infatti, la Corte di merito ha accertato che vi erano piante mature per il taglio che avrebbero dovuto restare nella disponibilità dell’espropriato, ma, pur verificando che queste piante non c’erano più nel momento in cui è stata distribuita la terra ai contadini, ha escluso che di questi beni l’ente si fosse arricchito, sul presupposto che trattavasi di atto illecito e quindi di voce di danno.
Si tratta di una motivazione effettivamente contraddittoria ed anche in contrasto con la sentenza di rinvio, che qualifica come indebito arricchimento l’azione proposta dal dante causa degli odierni ricorrenti.
Se in conseguenza della espropriazione (poi dichiarata illegittima) l’ente si è appropriato di beni mobili (le piante mature per il taglio) insistenti sul bene immobile e che avrebbe dovuto invece lasciare nella disponibilità dell’espropriato, anche questi beni sono cose determinate da restituire, ex art. 2037 c.c. Da rilevare inoltre, che con riferimento alle piante da taglio non può opporsi il rilievo della impossibilità giuridica della restituzione, poiché la Corte ha accertato che esse non erano da distribuire ai contadini (lo erano invece i terreni), e quindi avrebbero potuto e dovuto essere restituite immediatamente o quantomeno non appena accertato che esse erano mature per il taglio; pertanto la Corte di merito avrebbe
dovuto ritenere l’ente, per questi beni, un accipiens di malafede, condannandolo al controvalore.
Da rilevare inoltre che, in ragione di quanto sopra, il motivo quarto è connotato da alcuni profili di inammissibilità, atteso che non si confronta adeguatamente con la ragione decisoria, dal momento che non si tratta qui della espropriazione del terreno (boschivo) quanto del fatto che la Corte ha ritenuto che sul terreno in questione vi erano piante già mature per il taglio e che non facevano parte dell’espropriazione; per questa ragione infatti la consulenza tecnica le considera soprassuolo.
Di conseguenza, non può respingersi la domanda del proprietario di essere indennizzato anche per questo atto che rientra nella domanda di indebito arricchimento, atteso che, nel dare esecuzione al provvedimento di esproprio poi dichiarato illegittimo, l’ente si è appropriato: a) in buona fede del bene immobile (terreno) la cui restituzione è divenuta giuridicamente impossibile; b) in mala fede anche di cose mobili (la legna pronta per il taglio) la cui restituzione non sarebbe stata però giuridicamente impossibile. In entrambi i casi si applica la disciplina dell’art. 2037 c.c.; e quindi l’ente -oltre all’indennizzo nei limiti dell’arricchimento per il terreno, poiché il bene deve considerarsi giuridicamente perito di ragione della impossibilità della sua restituzione per factum principis -deve considerarsi tenuto a corrispondere il controvalore della legna da ardere presente sul terreno, controvalore la cui liquidazione è compito della Corte di merito, cui si rinvia il processo unicamente su questo punto.
Di conseguenza, dichiarato inammissibile il primo motivo, si accolgono per quanto di ragione il secondo, il terzo e il quarto, e, cassata sul punto la sentenza impugnata, si rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, per un nuovo esame nei termini sopra esposti.
La Corte d’appello di Catanzaro provvederà anche alla liquidazione delle spese.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso, accoglie il secondo, il terzo e il quarto, nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata, in relazione alle censure accolte, e rinvia alla Corte d’appello di Catanzaro, in diversa composizione, per un nuovo esame e per la liquidazione delle spese.
Così deciso in Roma, il 09/07/2025. Il Presidente NOME COGNOME