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Incentivo all’esodo: accordo verbale non provato

Una ex dipendente ha richiesto il ricalcolo del suo incentivo all’esodo, sostenendo l’esistenza di un accordo verbale per adeguarlo a una sopravvenuta modifica dell’età pensionabile. La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, evidenziando il principio della ‘doppia conforme’ e la mancata prova da parte della lavoratrice dell’esistenza e della non contestazione di tale accordo verbale nel giudizio di primo grado.

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Pubblicato il 19 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Incentivo all’esodo: l’importanza della prova scritta e i limiti del ricorso in Cassazione

Quando si firma un accordo per un incentivo all’esodo, ogni dettaglio conta. Ma cosa succede se, oltre al testo scritto, ci fossero state delle promesse verbali? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su questo punto, sottolineando come la mancanza di prove scritte e il rispetto delle regole processuali possano essere determinanti per l’esito di una causa. Il caso analizzato riguarda una lavoratrice che, dopo aver accettato un incentivo per la risoluzione del rapporto di lavoro, ha chiesto un ricalcolo basato su un presunto accordo verbale, vedendosi però respingere la domanda in tutti i gradi di giudizio.

I Fatti di Causa: Un Accordo di Esodo e una Promessa Verbale

Una lavoratrice dipendente di una grande società di servizi tecnologici accettava di risolvere il proprio rapporto di lavoro sottoscrivendo un accordo che prevedeva un incentivo all’esodo. L’importo era calcolato sulla base dell’età pensionabile vigente in quel momento. Tuttavia, pochi giorni prima della firma, un decreto-legge aveva aumentato l’età pensionabile, circostanza che avrebbe dato diritto a un incentivo maggiore. La lavoratrice sosteneva che, al momento della firma, le parti si erano accordate verbalmente per un successivo ricalcolo dell’importo una volta che il decreto fosse stato convertito in legge. Poiché tale adeguamento non è mai avvenuto, la lavoratrice ha agito in giudizio per ottenere la differenza, pari a circa 17.000 euro.

L’Iter Giudiziario: la “Doppia Conforme” e i motivi del ricorso

Sia il Tribunale in primo grado che la Corte d’Appello hanno respinto le domande della lavoratrice. In particolare, i giudici di merito hanno evidenziato che l’accordo di conciliazione conteneva una rinuncia ampia a qualsiasi pretesa derivante dal rapporto di lavoro e dalla sua cessazione. Inoltre, la lavoratrice non aveva mai impugnato l’accordo per vizi della volontà, come l’errore. Di fronte a queste due decisioni conformi, la lavoratrice ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando principalmente la violazione dell’art. 115 c.p.c. (principio di non contestazione). A suo dire, l’azienda non aveva mai specificamente contestato l’esistenza dell'”affido verbale” per il ricalcolo, e quindi tale fatto doveva considerarsi provato.

L’analisi della Corte sul calcolo dell’incentivo all’esodo

La Corte di Cassazione ha esaminato il ricorso sotto diversi profili, tutti di natura prettamente processuale. Il fulcro della decisione non è stato tanto il merito della richiesta (se l’incentivo fosse o meno da ricalcolare), quanto l’ammissibilità stessa del ricorso. Gli Ermellini hanno applicato principi rigorosi che governano l’accesso al terzo grado di giudizio, evidenziando le carenze nell’impostazione difensiva della ricorrente.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per diverse ragioni.

1. Inammissibilità per “Doppia Conforme”: Il motivo di ricorso relativo all’omesso esame di un fatto decisivo (l’accordo verbale) è stato bloccato dal principio della cosiddetta “doppia conforme” (art. 348-ter c.p.c.). Poiché le sentenze di primo e secondo grado erano basate sul medesimo percorso logico-argomentativo, il ricorso in Cassazione per questo specifico motivo non era ammissibile. La ricorrente, inoltre, non ha dimostrato che le motivazioni delle due sentenze fossero divergenti.

2. Mancanza di Specificità e Autosufficienza: Il ricorso è stato giudicato carente anche sotto il profilo della specificità. La lavoratrice ha invocato il principio di non contestazione, sostenendo che l’azienda non avesse negato l’esistenza dell’accordo verbale. Tuttavia, non ha specificato nel ricorso se e in quali termini avesse introdotto tale “affido verbale” nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado. Senza questa allegazione precisa, non è possibile per la Cassazione valutare se vi sia stata o meno una mancata contestazione da parte dell’azienda.

3. Differenza tra Vizio della Volontà e Accordo Integrativo: La Corte ha sottolineato come la tesi originaria della lavoratrice, basata su un presunto vizio della sua volontà al momento della firma (credeva che l’importo sarebbe stato corretto), fosse sostanzialmente diversa dalla tesi portata in Cassazione, incentrata su un vero e proprio accordo verbale integrativo del contratto. Questa modifica della linea difensiva non è stata ritenuta ammissibile.

Conclusioni

La decisione della Corte di Cassazione offre due importanti lezioni pratiche. La prima è di natura sostanziale: qualsiasi accordo, specialmente se modifica o integra un contratto scritto come una conciliazione per un incentivo all’esodo, deve essere formalizzato per iscritto. Affidarsi a promesse o intese verbali espone a un rischio altissimo, poiché la loro prova in giudizio è estremamente difficile. La seconda è di natura processuale: l’accesso alla Corte di Cassazione è soggetto a regole molto rigide. Un ricorso, per avere successo, deve essere specifico, autosufficiente e rispettare i limiti imposti da istituti come la “doppia conforme”, dimostrando con precisione le carenze delle decisioni impugnate.

Un accordo verbale per modificare un incentivo all’esodo è valido se non viene contestato dalla controparte?
Perché il principio di non contestazione possa operare, è necessario che il fatto (in questo caso, l’accordo verbale) sia stato allegato in modo specifico e chiaro fin dal primo atto del giudizio. Se questa allegazione iniziale manca o è imprecisa, la mancata contestazione della controparte è irrilevante, come stabilito dalla Corte nel caso di specie.

Cosa significa “doppia conforme” e come limita il ricorso in Cassazione?
Significa che se la sentenza d’appello conferma la decisione del tribunale basandosi sullo stesso iter logico-argomentativo, il ricorso in Cassazione per il motivo di ‘omesso esame di un fatto decisivo’ è inammissibile. Per superare questo sbarramento, il ricorrente deve dimostrare che le ragioni alla base delle due decisioni sono diverse.

È possibile introdurre nuove questioni o prove in appello in una causa di lavoro?
No, di norma non è possibile. Il Codice di Procedura Civile, all’art. 437, vieta l’introduzione di nuove domande o eccezioni in appello. Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la questione dell'”affido verbale” non fosse stata adeguatamente introdotta in primo grado, configurandosi come una doglianza nuova e quindi inammissibile in appello.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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