Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 5427 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L   Num. 5427  Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 32398-2020 proposto da:
NOME  COGNOME,  domiciliato  in  ROMA,  INDIRIZZO, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,  rappresentato  e  difeso  dall’avvocato  NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE,  in  persona  del  legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso  la  sentenza  n.  187/2020  della  CORTE  D’APPELLO  di ANCONA, depositata il 28/09/2020 R.G.N.207/2019;
Oggetto
Trasferimento rapporto privato
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud.14/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/01/2025 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
RILEVATO CHE
NOME COGNOME, dipendente della RAGIONE_SOCIALE con inquadramento dell’Area Professionale B, Posizione Organizzativa 1, IV Livello retributivo, ai sensi del CCNL ANIA in vigore, in servizio da ultimo presso l’Unità RAGIONE_SOCIALE di Avellino, adiva il Tribunale di Pesaro rivendicando l’indennità e i benefit una tantum connessi al trasferimento dalla sede di Avellino a quella di Pesaro sul presupposto che si fosse trattato di un trasferimento disposto in via unilaterale dalla datrice di lavoro (il giorno 8.3.2016 con effetto dal giorno 8.6.2016) conseguente all’attuazione del processo di fusione per incorporazione di altre Compagnie Assicurative, secondo gli Accordi sindacali del 18.12.2013 e dell’8.9.2015.
Nel  contraddittorio  delle  parti  l’adito  Tribunale  rigettava  le domande.
Proposto  gravame  la  Corte  di  appello  di  Ancona,  con  la sentenza n. 187/2020, confermava la pronuncia di primo grado.
A fondamento della decisione i giudici di seconde cure rilevavano che: a) l’art. 7 dell’Accordo di fusione delle quattro Compagnie assicurative prevedeva che i chiesti benefici si applicassero ai trasferimenti di sede strettamente conseguenti al progetto di fusione e di riorganizzazione RAGIONE_SOCIALE; b) il lavoratore non aveva dimostrato, ed anzi dalla istruttoria si evinceva il contrario, che il suo trasferimento alla sede di Pesaro, avvenuto a domanda e non di ufficio, fosse strettamente connesso al piano gestionale della fusione, ove invece era previsto che il personale della sede soppressa di Avellino transitasse in quella di Benevento, ma era invece emerso che si trattava di un trasferimento in deroga, sostanzialmente concordato, che non necessitava di incentivi.
Avverso la sentenza di secondo grado NOME COGNOME proponeva  ricorso  per  cassazione  affidato  a  cinque  motivi cui resisteva con controricorso la intimata.
Il ricorrente depositava memoria.
Il Collegio si riservava il deposito dell’ordinanza nei termini di legge ex art. 380 bis 1 cpc.
CONSIDERATO CHE
I motivi possono essere così sintetizzati.
Con il primo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1367, 2103 e 2697 cc, nonché della Sezione ‘Sedi di Lavoro’ art. 6 e art. 7 dell’Accordo di Fusione datato 18.12.2013. Si deduce l’erronea interpretazione della clausola per cui gli incentivi ‘si applicano ai trasferimenti di sede strettamente conseguenti al progetto di fusione e di riorganizzazione RAGIONE_SOCIALE‘ obiettando che la Corte territoriale si era soffermata sul senso letterale delle parole non cogliendo quello logico e la comune intenzione delle parti che privilegiava, invece, ai fini del riconoscimento degli incentivi, l’appartenenza del lavoratore ad una delle sedi oggetto di chiusura e che la stessa Corte non aveva correttamente valutato sia l’invito della datrice di lavoro del 16.9.2015 ai lavoratori di partecipare, nella sede di Napoli, ad una riunione dedicata ai dipendenti cui sarebbe stato applicato l’Accordo dell’8.9.2015 sui trasferimenti di sede sia la gi à avvenuta dichiarazione di disponibilità, del 25.7.2015, di esso COGNOME COGNOME trasferirsi nell’area Centro Nord cui era seguita una mail successiva del 14.9.2015, che lo rendeva edotto di essere destinatario dei benefici previsti dall’Accordo sindacale del’8.9.2020.
Con  il secondo  motivo  si  censura  la  violazione  e  falsa applicazione degli artt. 116 cpc, 1362, 1363, 2697 e 2722 cc nonché dell’art. 6 dell’Accordo Fusione del 18.12.2013 e dell’Accordo Sindacale datato 8 settembre 2015, in relazione agli artt. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc. per non avere la Corte territoriale esaminato fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti e per avere valutati altri in maniera errata, essendosi limitata a ritenere pacifico
che le previsioni Aziendali  determinassero per esso COGNOME  il trasferimento  nella  sede  di  Benevento  e  che  egli,  già  consapevole della  predetta  destinazione  in  data  25  luglio  2015  aveva,  con raccomandata,  tentato di eludere la stessa, dando  la propria disponibilità ad essere trasferito altrove.
Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per errata o omessa valutazione, da parte della Corte distrettuale, di prove attinenti a fatti decisivi: in particolare, il doc. 9 contenente la lettera  di  trasferimento  a  Benevento  che  fu  consegnata  dal  dott. COGNOME il 28.9.2015 a tutti i colleghi con elusione di esso COGNOME e tutte le prove documentali dal 13 maggio 2015 al 28 settembre 2015.
Con il quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa  applicazione  degli  artt.  1362,  1363  cc  nonché  dell’Accordo Sindacale dell’8 settembre 2015 lett. b) delle Premesse, in relazione all’art.  360  co.  1  n.  3  cpc,  per  non  avere  i  giudici  del merito considerato che egli era un impiegato amministrativo, di provenienza RAGIONE_SOCIALE e non RAGIONE_SOCIALE e che non era un liquidatore.
Con il quinto motivo si eccepisce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1375 e 2113 cc, dell’art. 8 della legge n. 14/2011, degli artt. 2, 3, 4 e 42 della Costituzione, nonché della Sezione ‘Sedi di Lavoro’, art 6 e art. 7 dell’Accord o di Fusione datato 18.12.2013 e dell’Accordo Sindacale datato 8 settembre 2015, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc, perché la Corte territoriale, male interpretando le mail del 4.3.2016, non aveva riconosciuto l’abuso di diritto della datrice di lavoro che aveva approfittato della buona fede del lavoratore cui aveva dettato il testo della lettera da cui poi era derivata una modifica in peius delle sue condizioni contrattuali.
I motivi, da esaminare congiuntamente perché connessi sotto l’aspetto  logico -giuridico,  presentano  profili  di  infondatezza  e  di inammissibilità.
Invero,  sono  infondate  tutte  le  censure  che  attengono  alle dedotte violazioni degli artt. 1362, 1363 e 1367 cod. civ, in tema di
interpretazione delle clausole dell’Accordo di Fusione del 18.12.2013 e di quello Sindacale del settembre 2015.
Orbene, la esegesi di atti negoziali -riservata al giudice di merito ed il cui risultato è incensurabile in sede di legittimità ove rispettoso dei criteri di ermeneutica contrattuale e sorretto da motivazione immune da vizi- va condotta sulla scorta di due fondamentali elementi che si integrano a vicenda, e cioè il senso letterale delle espressioni usate e la ‘ratio’ del precetto contrattuale, nell’ambito non già di una priorità di uno dei due criteri, ma in quello di un razionale gradualismo dei mezzi di interpretazione i quali debbono fondersi ed armonizzarsi nell’apprezzamento dell’atto negoziale (Cass. n. 701/2021; Cass. n. 11666/2022).
Inoltre, è stato affermato che, per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito ad un atto (o contratto) non deve essere l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni; sicché, quando di una clausola (anche contrattuale) sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra (Cass. n. 24539/2009).
Ciò perché i n tema di interpretazione dell’atto di autonomia privata il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati (Cass. n. 2465/2015).
Nella  fattispecie,  la  Corte  distrettuale  ha  fornito  una interpretazione  adeguata  e  plausibile  delle  norme  degli  Accordi  in oggetto (e del connesso Piano Analitico del maggio 2015) con riguardo ai benefici richiesti (indennità di trasferimento e benefit una tantum)
che avrebbero potuto essere riconosciuti solo nel caso di trasferimenti di sede  strettamente  conseguenti  al progetto di fusione e di riorganizzazione  RAGIONE_SOCIALE,  dove  per  trasferimenti  di  tale  tipologia sono stati considerati, dai giudici di seconde cure, unicamente quelli disposti,  di  ufficio,  dalla  sede  soppressa  a  quella  individuata  quale sede  liquidativa  più  vicina,  in  ossequio  ad  un  procedimento  di razionalizzazione delle risorse.
La Corte territoriale ha, poi, specificato (con riguardo al comportamento delle parti) che la opzione interpretativa di tale piano gestionale trovava conferma nella deposizione del testimone qualificato COGNOME COGNOME (responsabile delle relazioni sin dacali RAGIONE_SOCIALE) e nella missiva circolare del 28 settembre 2015, a firma della dirigente COGNOME, distribuita nel corso di una riunione sindacale del settembre del 2015, laddove i lavoratori in forza ad Avellino erano stati informati della nuova sede di lavoro in Benevento e del piano analitico della chiusura delle sedi liquidative.
La Corte di merito ha utilizzato, dunque, gli accorgimenti interpretativi suggeriti dalla giurisprudenza di legittimità ed ha ritenuto che il dato letterale dell’art. 7 dell’Accordo di fusione, là dove collegava gli incentivi solo ai trasferimenti conseguenti al progetto di fusione e di riorganizzazione RAGIONE_SOCIALE, fosse da intendere, secondo l’intenzione delle parti, solo ai trasferimenti disposti di ufficio, dalla sede soppressa a quella individuata dalla società nei successivi Piani ed Accordi e non anche a qualsiasi altro trasferimento connesso latu sensu alla soppressione.
La Corte d’appello ha, quindi, fornito una interpretazione delle clausole degli Accordi Aziendali e, senza trascurare il senso letterale delle parole, ha ricostruito, attraverso un’analisi approfondita e compiutamente motivata, la comune intenzione delle parti, quale risulta dal complesso dei citati Accordi e dal comportamento successivo delle stesse. Tale processo ermeneutico è conforme ai canoni normativi. Ogni diversa opzione interpretativa attiene al merito della decisione ed è estranea alle valutazioni che possono essere operate in sede di giudizio di legittimità.
Quanto alle altre censure, relative alla ricostruzione della vicenda riguardante il trasferimento alla sede di Rimini nonché alla natura di questo asseritamente ‘in deroga’, come ritenuto dal ricorrente, deve rilevarsi che esse sono, inammissibili perché tendono, in sostanza, ad ottenere la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non sindacabile in sede di legittimità, in quanto la Corte di cassazione non può mai procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, spettando soltanto al giudice di merito di individuare le fonti del proprio convincimento, controllare l’attendibilità e la concludenza delle prove, scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione dando liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006).
Con riguardo alle prove, quindi, mai può essere censurata  la  valutazione  in  sé  degli  elementi  probatori  secondo  il prudente  apprezzamento  del  giudice  (Cass.  24155/2017;  Cass.  n. 1414/2015; Cass. n. 13960/2014) se non nei limiti di cui alla nuova formulazion e  dell’art.  360  co.  1  n.  5  cpc  come  individuati  dalla giurisprudenza  di  legittimità  (per  tutte,  cfr.  Cass.  Sez.  Un.  n. 8053/2014 e Cass. Sez. Un. n. 5792/2024).
Le censure, invece, al di là delle denunziate violazioni di legge, si limitano, in sostanza, in una richiesta di riesame del merito della causa, attraverso una nuova valutazione delle risultanze processuali, in quanto sono appunto finalizzate ad ottenere una revisione degli accertamenti di fatto compiuti dalla Corte territoriale (Cass. n. 6519/2019) che, come detto, con motivazione giuridicamente congrua, è giunta alla conclusione che non era stato dimostrato che anche il trasferimento alla sede di Pesaro rientrava nel progetto di riorganizzazione relativo alla fusione delle società, mentre
invece  era  emerso  che  la  destinazione  in  quella  sede  era  stata determinata a seguito di una trattativa ‘individualizzata’.
Inammissibile è, poi, la doglianza con la quale il COGNOME lamenta di non essere un liquidatore, ma un impiegato amministrativo ex RAGIONE_SOCIALE e, in quanto tale, non destinatario delle disposizioni di cui agli Accordi sindacali aziendali in esame: tale questione, infatti, è stata prospettata per la prima volta in sede di legittimità e non è stato specificato il ‘dove’, il ‘come’ ed il ‘quando’ essa sia stata esposta, negli stessi termini, nei pregressi gradi di merito atteso che la gravata sentenza non l’ha affro ntata.
In diritto, deve invece rilevarsi che è infondata la asserita violazione dell’art 2697 cod. civ. che si ha, tecnicamente, solo nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cpc (Cass. n. 17313/2020) non sussistente nel caso de quo .
In tema di ricorso per cassazione, inoltre, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. Un. n. 20867/2020; Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014): ipotesi, queste, non ravvisabili nel caso in esame.
Anche  in  relazione  a  tale  profilo  va  ribadito  che  la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità
dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (Cass. n. 16467/2017).
Quanto, infine, alle dedotte violazioni ex art. 360 n. 5 cpc, deve precisarsi che l’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv. in l. n. 134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, come sopra detto, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. n. 27415/2018; Cass. 19881/2014).
Alla  stregua  di  quanto  esposto,  il  ricorso  deve  essere rigettato.
Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella
misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali  per  il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 14 gennaio 2025