Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23849 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 23849 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/09/2024
pubblico, come era smentito dalla stessa attività di progettazione, direzione lavori, controllo di sicurezza, collaudo da essi svolta, a fronte di un soltanto astratto richiamo, nella sentenza, alla necessità di un aliquid novi al fine di ritenere la natura di opera pubblica di quanto svolto;
il secondo motivo adduce invece l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 n. 5 c.p.c.) e la violazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 111 Cost. e 132, co. 1, n. 4 c.p.c.;
la censura è sviluppata sostenendo che la Corte territoriale avrebbe omesso di valutare la circostanza che le attività svolte dai ricorrenti erano state richieste dal Comune RAGIONE_SOCIALE Pavia, che poi aveva appaltato le opere consequenziali secondo le regole della c.d. evidenza pubblica;
da altro punto di vista, il motivo assume che la Corte d’Appello, motivando sulla base di pareri rilasciati in via puramente astratta dalla Corte dei Conti, avrebbe elaborato una motivazione apparente, tale da rendere nulla la pronuncia di secondo grado; 2.
i motivi vanno esaminati congiuntamente, data la loro connessione logica;
3.
si deve premettere che, secondo quanto riferito dalla Corte territoriale, le prestazioni rispetto alle quali è preteso l’importo connesso all’incentivazione sono intercorse tra il 2011 ed il 2014;
esse ricadono dunque nella disciplina di cui all’art. 92, co. 5 e 6 del d. lgs. n. 163/2006 e poi, almeno in ipotesi non essendo nota in sede di legittimità l’esatta datazione delle attività, quanto al 2014, in quella di cui all’art. 93, co. 7 -ter del medesimo d. lgs., quale introdotta dall’art. 13 -bis del d.l. n. 90 del 2014, convertito con modificazioni dalla L. 11 agosto 2014, n. 114;
non viene comunque in rilievo ratione temporis e non va esaminata la disciplina sopravvenuta di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50;
in relazione alla disciplina che qui rileva, questa RAGIONE_SOCIALE, riferendosi indistintamente ad attività rientranti sia nel regime di cui alla previgente n. 109 del 1994, sia in quello di cui al d. lgs. n. 163 del 2006, ha affermato che il discrimine sta nell’accertare « se l’attività svolta dall’operatore comporti una modifica della realtà fisica preesistente, come tale sussumibile nella categoria dei lavori, ovvero se essa riguardi una mera esecuzione di una prestazione rientrante nella categoria dei servizi. Senza che possa a priori escludersi che un’attività rientri – come affermato dal giudice d’appello ed anche al di là di una qualificazione meramente formale dell’intervento – nella categoria dei lavori in senso stretto, qualora l’applicazione dell’opera dell’appaltatore implichi, piuttosto che una prestazione continuativa di un facere senza sostanziali modificazioni dello stato fisico del bene (come tale rientrante nell’appalto di servizi), un’attività essenziale di modificazione della realtà fisica (c.d. quid novi), con l’utilizzazione, la manipolazione e l’installazione di materiali aggiuntivi e sostitutivi non inconsistenti sul piano strutturale e funzionale (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 16 dicembre 1998, n. 1680; Consiglio di Stato, sez. V, 4 maggio 2001, n. 2518 e Consiglio di Stato, sez. IV, 21 febbraio 2005 n. 537) » (Cass. 27 dicembre 2023, n. 36041);
d’altra parte, già la L. n. 109 cit. conteneva, all’art. 2, la distinzione tra ‘opere’ e ‘lavori’ ed anche rispetto al successivo regime di cui all’art. 92, co. 5 e 6 del d.lgs. n. 163 del 2006, la giurisprudenza contabile ha ritenuto -attraverso il richiamo ad un costante indirizzo delle sezioni regionali di controllo – che fosse escluso dal novero delle attività incentivabili la manutenzione ordinaria, riconoscendo l’emolumento solo a favore delle attività di manutenzione straordinaria, purché si fosse resa necessaria un’attività di progettazione, con distinzione che la medesima giurisprudenza ha poi ritenuto fosse stata addirittura superata, in senso ulteriormente restrittivo, dal sopravvenuto art. 97, co. 7ter ,
nel senso dell’esclusione del diritto anche in relazione all’attività di manutenzione straordinaria (v., su tutti i punti, Corte dei Conti, sez. autonomie, 18-23 marzo 2016);
a tali indirizzi di questa RAGIONE_SOCIALE e del giudice contabile va qui data continuità osservandosi come la pronuncia della Corte d’Appello sia coerente con essi, avendo escluso il diritto sul presupposto che l’attività svolta riguardasse interventi di manutenzione ordinaria;
4.
a quest’ultimo proposito, la Corte territoriale ha evidenziato come gli interventi riguardassero la manutenzione ordinaria di strade e piste ciclabili, nonché la manutenzione, ritenuta con evidenza di pari natura, consistente in opere di idraulico, muratore, fabbri, vetraio, imbianchino rispetto a immobili comunali, su base annuale e senza neppure individuazione di interventi specifici;
la Corte territoriale ha al contempo ritenuto che la caratteristica dell’ingente valore dei lavori non fosse sufficiente a ritenere l’esistenza dei requisiti di « modificazione della realtà fisica con l’utilizzazione … di materiali aggiuntivi e sostitutivi non inconsistenti sul piano strutturale e funzionale », con ciò anche da questo punto di vista argomentando sulla base di parametri giuridici analoghi a quelli di cui alla giurisprudenza di questa S.C. citata al punto 3;
5.
su tali basi, il primo motivo, riepilogando l’attività svolta e ritenendo che « tali lavori, senza dubbio alcuno, comportano un’attività di modificazione della realtà fisica con l’utilizzazione, la manipolazione e l’installazione di materiali aggiuntivi e sostitutivi non inconsistenti sul piano strutturale e funzionale » e richiamando ancora il valore di taluni degli interventi svolti, si propone in realtà di addivenire ad una diversa valutazione del merito e del giudizio di fatto;
infatti, tale argomentare non contrasta neppure l’impianto giuridico posto a base della sentenza di appello, ma ritiene che esso sia incoerente con la realtà dei fatti, proponendo una valutazione di questi ultimi diversa da quella svolta nella sentenza impugnata (v. anche Cass. 19 ottobre 2023, n. 33974 e le altre pronunce deliberate alla medesima adunanza di questa Sezione);
si tratta tuttavia di profili di censura che, così impostati, sono da ritenere impropri rispetto al processo di cassazione (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148; ora anche Cass. 22 novembre 2023, n. 32505);
6.
d’altra parte, non decisivi sono gli aspetti valorizzati nel primo motivo in ordine all’essersi seguite, per quei lavori, le norme sull’evidenza pubblica degli appalti e l’analoga insistenza con il secondo motivo rispetto alle attività di progettazione svolte;
infatti, il profilo dirimente, secondo quanto precedentemente evidenziato, è la natura dell’attività svolta, sicché l’accertamento della Corte territoriale in ordine al trattarsi di interventi di manutenzione ordinaria esclude, almeno ratione temporis , che ricorrano i presupposti per il riconoscimento dell’incentivazione;
la non decisività dei menzionati profili esclude poi radicalmente che si possa parlare di motivazione apparente, avendo la Corte d’Appello incentrato la propria argomentazione sul diverso ed assorbente dato di merito del trattarsi di lavori di manutenzione, come tali sottratti in base a quanto sopra detto al regime retributivo rivendicato;
l’insistenza sui profili qui in esame ha in definitiva ancora la sostanza del tentativo, attraverso il richiamo a profili proceduraliamministrativi, di proporre una diversa lettura del dato di merito -come si è detto inammissibile – in ordine al trattarsi di lavori di manutenzione ordinaria, per i quali, lo si ripete, la normativa non
consente, anche se per essi fossero svolte attività di progettazione o direzione dei lavori, di riconoscere l’incentivazione rivendicata;
7.
il ricorso è dunque nel suo complesso inammissibile, sicché ne resta assorbita la richiesta di decisione nel merito in loro favore formulata dai ricorrenti e segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione, dandosi atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre ad euro 200,00 per esborsi ed oltre alle spese generali in misura del 15 % ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro