Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 28308 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 28308 Anno 2025
RAGIONE_SOCIALE: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 22875/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, c.f. CODICE_FISCALE, RAGIONE_SOCIALE ROCCA PAOLO, c.f. CODICE_FISCALE, rappresentati e difesi dall’AVV_NOTAIO;
ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE, c.f. CODICE_FISCALE, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO; controricorrente
nonché contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME;
intimati avverso la sentenza n. 991/2020 della Corte d’ appello di Palermo, depositata il 29-6-2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24-62025 dal consigliere NOME COGNOME.
OGGETTO:
contratto di prestazione d’opera professionale con architetto – incarico ex art. 17 co.1 legge 143/1949
RG. 22875/2020
C.C. 24-6-2025
FATTI DI CAUSA
1. La sentenza n. 205/2013, depositata il 17-7-2013, del Tribunale di RAGIONE_SOCIALEsezione distaccata di Alcamo ha deciso l’opposizione proposta da NOME COGNOME e NOME COGNOME al decreto ingiuntivo emesso il 13-1-2009 a favore di NOME COGNOME, con la chiamata in causa, su richiesta degli opponenti, del RAGIONE_SOCIALE di Calatafimi Segesta e del dipendente comunale NOME COGNOME; ha accolto l’opposizione al decreto ingiuntivo con il quale era stato a loro ingiunto il pagamento a favore di NOME COGNOME di Euro 23.975,45, oltre accessori, a titolo di corrispettivo per l’incarico professionale avente a oggetto l’attività di misura, contabilità e assistenza tecnica dei lavori di adeguamento del centro diurno per anziani da adibire a museo archeologico, nel comune di Calatafimi Segesta. La sentenza ha escluso la prova dell’esistenza di un accordo tra il geometra COGNOME e gli architetti COGNOME e COGNOME in forza del quale gli architetti avrebbero conferito al geometra l’incarico per l’esecuzione di quelle attività ai sensi dell’art. 17 legge 143/1949 , in relazione all’incarico di pro gettazione esecutiva ricevuto dagli stessi professionisti dal RAGIONE_SOCIALE di Calatafimi Segesta; ha dichiarato che il terzo chiamato COGNOME era carente di legittimazione passiva , in quanto soggetto incardinato nell’organizzazione del RAGIONE_SOCIALE di Calatafini Segesta.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ha proposto appello, che la Corte d’appello di Palermo ha accolto , con sentenza n. 991/2020 pubblicata il 29-62020, rigettando l’opposizione al decreto ingiuntivo e condannando NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido, alla rifusione delle spese di lite di entrambi i gradi in favore di NOME COGNOME, del RAGIONE_SOCIALE di Calatafimi Segesta e di NOME COGNOME.
La sentenza ha considerato che l’art. 17 , co. 1 legge n. 143/1949 Tariffa professionale degli ingegneri e architetti prevede che «Sono esclusi dagli obblighi del professionista, salvo speciali accordi,
l’assistenza giornaliera dei lavori e la tenuta dei libretti di misura dei registri di contabilità. Le mansioni relative sono però affidate a persona di comune fiducia del committente e del professionista, sotto il diretto controllo di quest’ultimo»; ha di chiarato che nella fattispecie tali speciali accordi erano stati conclusi , in quanto l’art. 7 del disciplinare di incarico stipulato il 7-12-2000 tra i direttori dei lavori e il RAGIONE_SOCIALE stabiliva espressamente che ai direttori dei lavori spettava l’onorario per lo studio e realizzazione del progetto, quello relativo alla direzione, assistenza, misura e contabilità, liquidazione dei lavori e assistenza al collaudo; l’attività di ‘assistenza giornaliera dei lavori e la tenuta dei libretti di misura e dei regis tri di contabilità’ non era eseguita direttamente dagli architetti, ma da loro affidata al geometra COGNOME, segnalato dagli architetti al RAGIONE_SOCIALE solo al fine di ottenere dal RAGIONE_SOCIALE il consenso alla nomina, in quanto l’art. 17 prevedeva che l’ausiliario fosse persona di comune fiducia di committente e professionista. Ha dichiarato altresì che l’importo del compenso richiesto, di cui alla parcella vidimata dal RAGIONE_SOCIALE, era congruo perché non superava quello riconosciuto, per le stesse voci, agli architetti, ed era stato ritenuto conforme alla corrispondente tariffa professionale dei geometri dall’organo di categoria.
NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi.
Il RAGIONE_SOCIALE di Calatafimi Segesta ha resistito con controricorso.
Sono rimasti intimati NOME COGNOME e NOME COGNOME, ai quali il ricorso è stato notificato a mezzo pec ai difensori, al primo, all’indirizzo EMAIL e, al secondo, all’indirizzo EMAIL con consegna dei messaggi in data 8-9-2020.
In prossimità dell’adunanza in camera di consiglio i ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.
All’esito della camera di consiglio del 24-6-2025 la Corte ha riservato il deposito dell’ordinanza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, intitolato ‘ violazione e falsa applicazione degli artt. 17, 21 e 23 L. 2-3-1949 n. 143. Violazione degli artt. 13621371 cod. civ.’, i ricorrenti dichiarano che, contrariamente a quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, nell’art. 7 del disciplinare di incarico non esisteva alcun ‘speciale accordo’ avente a oggetto la mansione dell’assistenza giornaliera al cantiere e alla tenuta dei libretti delle misure e dei registri di contabilità; quindi sostengono che la sentenza impugnata abbia confuso i compiti propri e specifici del direttore dei lavori, unico oggetto dell’art. 7 , con le diverse e modeste mansioni di presenza in cantiere e tenuta dei libretti dei registri di contabilità, che possono essere affidate a un ausiliare di fiducia e che nella fattispecie sono state affidate al geom. COGNOME; aggiungono che l’inesistenza d i speciali accordi derogativi sia dimostrata anche dal comportamento successivo delle parti, in quanto il RAGIONE_SOCIALE e uno solo dei direttori dei lavori avevano nominato l’ ausiliario di comune fiducia e quindi sostengono che, mancando tali accordi, la sentenza sia incorsa in violazione della relativa disposizione, oltre che nella violazione degli artt. 13 62 e 1363 cod. civ., non avendo l’art. 7 del disciplinare di incarico il contenuto ritenuto dalla sentenza impugnata.
1.1. Occorre premettere che, come affermato da Cass. Sez. 2, 29111991 n. 12847, l’art. 17 , co. 1 e l’art. 23 legge 2 marzo 1949 n. 143 riguardano compiti ben distinti, quello della ‘tenuta dei libretti di misura e dei registri di contabilità’, normalmente affidato, per il carattere più modesto della mansione, a un ausiliare di comune fiducia del committente e del professionista incaricato della direzione e liquidazione dei lavori e quello della ‘ misura e contabilità dei lavori ‘ che specificamente spetta per la più elevata capacità professionale
richiesta al riguardo al professionista incaricato della direzione e liquidazione dei lavori; però, come pure si legge in Cass. 12847/1991, nonostante tale distinzione, non è da escludersi, in base alla formulazione dell’art. 17, che il direttore dei lavori provveda anche alla tenuta dei libretti di misura e dei registri di contabilità, nel quale caso a lui spetta il relativo compenso, che non può ritenersi assorbito nel compenso relativo al più elevato compito della misura e contabilità dei lavori.
Posto questo dato, il motivo è infondato laddove deduce la violazione dei canoni di ermeneutica contrattuale con riguardo al contenuto del contratto intercorso tra gli architetti odierni ricorrenti e il RAGIONE_SOCIALE.
E’ acquisito che l’interpretazione del contratto, consistendo in una operazione di accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico, si traduce in una indagine di fatto affidata al giudice di merito per cui il ricorrente, al fine di fare valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., non solo deve fare esplicito riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è tenuto altresì a precisare in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati, o se lo stesso li abbia applicati sulla base di considerazioni illogiche o insufficienti, non potendo la censura risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta dalla sentenza impugnata, poiché quest’ultima non deve essere l’un ica astrattamente possibile, ma solo una delle plausibili interpretazioni (Cass. Sez. 1 9-4-2021 n. 9461 Rv. 661265-01, Cass. Sez. 3 28-11-2017 n. 28319 Rv. 646649-01, Cass. Sez. 1 15-11-2017 n. 27136 Rv. 646063-01). Nella fattispecie i ricorrenti in sostanza si limitano a sostenere che il disciplinare di incarico e in particolare l’art. 7 non abbia no il contenuto ritenuto dalla
sentenza impugnata, ma non individuano nella sentenza alcun errore nell’applicazione dei canoni ermeneutici e neppure considerano il contenuto di tutte le argomentazioni svolte dalla sentenza per giungere alla conclusione che l’accordo concluso dagli architetti con il RAGIONE_SOCIALE prevedeva l’esecuzione anche dell’assistenza giornaliera dei lavori, di tenuta dei libretti di misura e dei registri di contabilità. Infatti, la sent enza non solo ha considerato che l’art.7 riguardava anche quelle attività, ma ha anche accertato in fatto che l’onorario per l’attività di misura e contabilità per l’importo di Euro 12.211,12 è stato liquidato agli architetti ed è stata loro riconosciuta, alla luce di tale ulteriore onere, la maggiorazione prevista dall’art. 21 legge n. 143/1949. Quindi, la sentenza ha accertato non solo il contenuto degli accordi intercorsi tra le parti, ma anche l’esecuzione di tali accordi, giungendo alla conclusione che le mansioni di cui si discute erano state comprese nelle attività di cui i direttori dei lavori erano stati incaricati ed erano state anche ricompensate ai direttori dei lavori; nessuna deduzione dei ricorrenti è stata svolta al fine di sostenere, in termini ammissibili in sede di legittimità, l’erroneità di tale accertamento in fatto, in sé insuperabile in quanto le modalità con le quali le parti hanno dato esecuzione dell’accordo conferma la correttezza dell’interpretazione data all’accordo dalla Corte d’appello. In altri termini, i ricorrenti avrebbero dovuto dedurre, in modo ammissibile in questa sede, che i compensi pattuiti e a loro corrisposti erano relativi soltanto ai compiti di misura e contabilità dei lavori propri dei direttori dei lavori e non ai compiti più modesti di cui al l’art. 17 legge n. 143/1949, diversamente da quanto accertato dalla sentenza impugnata.
Posto che l’accertamento del contenuto del contratto e della sua esecuzione dato dalla sentenza impugnata rimane fermo, il motivo proposto ex art. 360, co. 1 n. 3 cod. proc. civ. è infondato, in quanto gli argomenti svolti dai ricorrenti non riescono a individuare nella
sentenza alcuna violazione di legge. Infatti, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione da parte della sentenza impugnata della fattispecie astratta recata da una disposizione di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; invece , l’allegazione di una erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa -quale è quella sostenuta nel motivoè esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile in sede di legittimità solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. Sez. 1 13 -10-2017 n. 24155; Cass. Sez. L 11-1-2016 n. 195). Nella fattispecie la sentenza impugnata non è incorsa in alcun errore di interpretazione e applicazione dell’art. 17 legge n. 143/1949, in quanto ha accertato in fatto che era stato concluso dalle parti lo speciale accordo, previsto dallo stesso art. 17, in forza del quale i direttori dei lavori avevano assun to l’obbligazione di svolgere anche quelle ulteriori mansioni, distinte da quella della misura e contabilità dei lavori, e ha accertato che per quelle mansioni era stato loro pagato un compenso.
Con il secondo motivo, intitolato ‘ violazione e falsa applicazione sotto altro profilo dell’art. 17 L. 2 -3-1949 n. 143 (art. 360, 1 comma, n. 3 c.p.c.) ‘, i ricorrenti dichiarano che, una volta assodata l’inesistenza in questo caso di speciali accordi derogativi delle previsioni dell’art. 17 legge n. 143/1949, il compenso spettante al geom. COGNOME per le sue mansioni ausiliarie è a carico del committente e non dei direttori dei lavori; lamentano che la sentenza impugnata, diversamente da quella di primo grado, abbia confuso le mansioni secondarie dell’ausiliario prescelto di comune accordo dal committente e dal direttore dei lavori con i compiti specifici e preminenti spettanti ai direttori dei lavori.
2.1. Dall’infondatezza del primo motivo necessariamente consegue l’infondatezza del secondo motivo. Diversamente da quanto
sostenuto dai ricorrenti, la sentenza impugnata non ha confuso le mansioni; la sentenza ha accertato in fatto, in termini non attinti in modo ammissibile dai ricorrenti, che l’accordo tra il RAGIONE_SOCIALE e i direttori dei lavori era stato concluso nel senso che i direttori dei lavori si assumevano l’obbligazione di svolgere anche le mansioni ausiliarie e in tal senso l’accordo era stato eseguito, in quanto il relativo corrispettivo era stato pagato dal RAGIONE_SOCIALE ai direttori dei lavori.
Con il terzo motivo, intitolato ‘ violazione dell’art. 2697 e degli artt. 1321, 1326 cod. civ. sia isolatamente considerati che in combinato disposto (art. 360, I comma, n. 3 c.p.c.)’, i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata, diversamente da quella di primo grado, abbia ritenuto raggiunta la prova di un incarico professionale affidato direttamente e personalmente dai direttori dei lavori al geom. COGNOME. Sostengono che dallo sc ambio di lettere tra l’arch. COGNOME e il RAGIONE_SOCIALE di Calatafimi risul ta che l’architetto si era limitato a segnalare al RAGIONE_SOCIALE il nome del geom. COGNOME con lettera 25-2-2003, che su quella lettera il geom. COGNOME aveva eseguito l’aggiunta posticcia ‘per accettazione dell’incarico’, come confermato dalla lettera di rispost a del RAGIONE_SOCIALE del 12-32003. Aggiungono che l’incarico di direzione dei lavori era stato conferito dal RAGIONE_SOCIALE congiuntamente ai due architetti COGNOME e COGNOME e l’arch. COGNOME non aveva segnalato il nome del geom. COGNOME, non aveva sottoscritto e non gli aveva conferito alcun incarico, per cui non era configurabile un rapporto di opera professionale tra l’arch. COGNOME e il geom. COGNOME ; quindi sostengono che questo dato confermi che la lettera dell’arch. COGNOME al RAGIONE_SOCIALE era una semplice segnalazione e non conteneva la nomina del geom. COGNOME come assistente di cantiere da parte dei direttori dei lavori.
3.1. Il motivo è inammissibile, in quanto tutte le argomentazioni svolte sono finalizzate a ottenere una diversa ricostruzione in fatto, che avrebbe potuto essere richiesta soltanto proponendo motivo ex art.
360, co. 1 n. 5 cod. proc. civ., nel ricorrere dei relativi presupposti. Al contrario, non sussistono neppure le condizioni per ipotizzare una riqualificazione del motivo, in quanto lo stesso non individua il fatto i fatti decisivi dei quali sia stato omesso l ‘esame, ma propone una complessiva diversa rilettura delle risultanze di causa, in termini inammissibili nel giudizio di legittimità. Per di più, diversamente da quanto sostenuto dei ricorrenti, la stessa sentenza impugnata ha ritenuto che con la lettera 25-22003 l’arch. COGNOME si era limitato a eseguire la segnalazione al RAGIONE_SOCIALE dell’ausiliario già nominato, in quanto ai sensi dell’art. 17 legge n. 143/1949 l’ausiliario doveva essere persona di fiducia del committente e del professionista; ha altresì accertato che il RAGIONE_SOCIALE aveva rilasciato una semplice autorizzazione alla nomina, in quanto il RAGIONE_SOCIALE aveva dato ai direttori dei lavori l’incarico anch e di tenuta dei libretti di misura, prevedendo il relativo compenso, poi liquidato ai direttori dei lavori. Quindi, evidentemente non ha alcun rilievo che la lettera 25-2-2003 al RAGIONE_SOCIALE fosse stata sottoscritta solo dall’arch. COGNOME, perché non era quella lettera che comportava la conclusione dell’accordo tra gli architetti e il geometra. Né l a sentenza aveva ragione di indagare al fine di individuare l’atto scritto di conclusione di quell’accordo: era il fatto che il geom. COGNOME avesse eseguito i compiti che nel contratto con il RAGIONE_SOCIALE erano stati affidati agli architetti a indicare che ciò potesse essere avvenuto solo in forza di accordo tra il geometra e gli architetti i quali, diversamente, non avrebbero acconsentito allo svolgimento da parte di altri dei compiti che spettava a loro eseguire. Invece, i ricorrenti neppure individuano in quali termini, secondo la loro tesi, il RAGIONE_SOCIALE avrebbe dato l’incarico al geom. COGNOME, né spiegano per quale ragione il RAGIONE_SOCIALE si sarebbe impegnato a pagare il compenso per le medesime attività sia ai direttori dei lavori COGNOME e COGNOME sia al geom. COGNOME.
Con il quarto motivo, intitolato ‘ulteriore violazione e falsa applicazione della L. 2-3-1949 n. 143, artt. 17, 21, 23 ‘, i ricorrenti lamentano che la sentenza impugnata abbia ritenuto corretta l’attribuzione al geom. COGNOME del compenso previsto dalla tariffa per le prestazioni professionali svolte da ingegneri e architetti. Aggiungono che la sentenza ha erroneamente dichiarato che ai direttori dei lavori fosse stato corrisposto un compenso maggiorato ex art. 21 legge n. 143/1949 per le mansioni secondarie delegate al geom. COGNOME, perché tale maggiorazione era del tutto estranea ai compiti di cui all’art. 17.
4.1. Il motivo è inammissibile laddove sostiene che al geom. COGNOME è stato riconosciuto il compenso previsto dalla tariffa degli architetti, perché non coglie il contenuto della pronuncia impugnata e di conseguenza non riesce a censurare la pronuncia in modo pertinente.
La sentenza ha espressamente dichiarato che l’importo indicato nella parcella del geom. COGNOME, vidimata dal RAGIONE_SOCIALE, era stato calcolato sulla base di una percentuale delle somme indicate dai direttori dei lavori nella loro parcella, ed era congruo in quanto non superava quello liquidato ai direttori dei lavori per le stesse voci ed era stato ritenuto conforme alla corrispondente tariffa dei geometri dall’organo deputato a fornire tale valutazione. A fronte di questo contenuto della pronuncia, i ricorrenti non avrebbero potuto limitarsi a dichiarare che era stato liquidato al geometra compenso previsto dalla diversa tariffa degli ingegneri e architetti e che il visto sulla parcella non era vincolante, ma avrebbero dovuto dedurre in quali termini e per quali ragioni il compenso non rispettasse la tariffa dei geometri.
Il motivo è inammissibile anche laddove deduce la violazione dell’art . 21 legge n. 143/1949, perché la sentenza ha accertato in fatto che ai direttori dei lavori è stata riconosciuta la maggiorazione prevista
dall’art. 21 -e cioè la maggiorazione fino al doppio delle aliquote-; però la sentenza non ha dichiarato e accertato che tale maggiorazione sia stata riconosciuta per le attività previste dall’art. 21, anziché per l’ulteriore attività di assistenza giornaliera dei lavori e di tenuta dei libretti di misura e dei registri di contabilità. In altri termini, secondo l’accertamento in fatto eseguito dalla sentenza impugnata e non attinto in modo ammissibile dai ricorrenti, le parti hanno fatto riferimento all’art . 21 legge n. 143/ 1949 per individuare l’entità dell’aumento del compenso che, secondo l’accordo tra loro intercorso , hanno riconosciuto per le mansioni di cui si discute.
5. Con il quinto motivo i ricorrenti deducono ‘ violazione dell’art. 91 cod. proc. civ.’ e lamentano di essere stati condannati alla rifusione delle spese del giudizio di appello a favore di NOME COGNOME. Evidenziano che gli appellati COGNOME e COGNOME non avevano citato nel giudizio di appello NOME COGNOME, che era stato citato dal l’appellante COGNOME, né avevano impugnato la pronuncia di primo grado in ordine al difetto di legittimazione passiva in capo a NOME COGNOME; aggiungono che nessuna altra parte aveva impugnato il capo della sentenza di primo grado che aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva di NOME COGNOME quale dipendente del RAGIONE_SOCIALE, per cui non era configurabile una soccombenza degli appellanti nei suoi confronti.
5.1. Il motivo è fondato.
Effettivamente la sentenza di primo grado aveva dichiarato il difetto di legittimazione passiva di NOME COGNOME, anche se la pronuncia non era stata espressamente riportata anche nel dispositivo, che si era limitato a disporre la revoca del decreto ingiuntivo. Quindi NOME COGNOME non solo era risultato pienamente vittorioso all’esito del giudizio di primo grado, ma era stato anche dichiarato privo di titolo per continuare a essere parte del giudizio e quella pronuncia, al fine di
essere devoluta alla cognizione del giudice di secondo grado, avrebbe dovuto essere oggetto di motivo di appello principale o incidentale, che nessuna delle parti aveva svolto ; infatti, l’appellante COGNOME aveva chiesto nell’atto di appello soltanto la conferma del decreto ingiuntivo emesso a suo favore e a carico dei professionisti e gli appellati RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE avevano chiesto il rigetto dell’appello e in via incidentale, per il RAGIONE_SOCIALE una diversa regolamentazione delle spese di primo grado. Ne consegue che la notifica dell’appello a NOME COGNOME non aveva valore di vocatio in ius eseguita per integrare il contraddittorio nei suoi confronti, ma aveva lo scopo di litis denuntiatio, nei riguardi di soggetto che a quel punto era divenuto indifferente all’esito della lite . Nel caso di litis denuntiatio il destinatario della notificazione non diventa, per ciò solo, parte del giudizio di gravame e non sussistono i presupposti per la condanna dell’appellante -o comunque della parte soccombente- al pagamento delle spese di lite del gravame in suo favore, in quanto detta pronuncia presuppone la qualità di parte e la soccombenza (Cass. Sez. 6-2, 15-11-2021 n. 34174; Cass. Sez. 1, 21-3-2016 n. 5508).
In conclusione, in accoglimento del quinto motivo di ricorso, la sentenza impugnata deve essere cassata limitatamente al capo con cui ha condannato gli architetti appellati alla rifusione delle spese del grado di appello in favore di NOME COGNOME; non essendo necessari altri accertamenti in fatto, si decide nel merito ex art. 384, co. 2 cod. proc. civ., dichiarando che le spese del giudizio di appello di NOME COGNOME non sono ripetibili, in quanto nei suoi confronti era stata eseguita mera litis denuntiatio.
Premesso che si applica al giudizio l’art. 92 cod. proc. civ. nella formulazione di cui all’art. 2 , co. 1 legge 28-12-2005 n. 263, in quanto la causa è iniziata prima del 4-7-2009, si compensano le spese del giudizio di legittimità tra i ricorrenti e l’intimato COGNOME, ricorrendo
giusti motivi in considerazione del fatto che NOME COGNOME non si è opposto all’accoglimento del motivo formulato nei suoi confronti.
In applicazione del principio della soccombenza, che è integralmente in capo ai ricorrenti nel rapporto con il RAGIONE_SOCIALE controricorrente, essendo stati rigettati tutti i motivi di ricorso nei confronti del RAGIONE_SOCIALE, i ricorrenti sono condannati alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità a favore del RAGIONE_SOCIALE.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta il primo, il secondo, il terzo e il quarto motivo; cassa la sentenza impugnata limitatamente al motivo accolto e, decidendo nel merito, dichiara che le spese del grado di appello di NOME COGNOME non sono ripetibili;
compensa le spese del giudizio di legittimità tra il ricorrente e l’intimato COGNOME; condanna i ricorrenti alla rifusione in favore del RAGIONE_SOCIALE controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.100,00 per compensi, oltre 15% dei compensi a titolo di rimborso forfettario delle spese, iva e cpa ex lege. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 24-6-2025.
La RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME