Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26510 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 26510 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21576/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell ‘avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore
-intimata- avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANZARO n. 1953/2018 depositata il 30/01/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, con la sentenza n.1953/2018 pubblicata il 30/01/2019, ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME nella controversia con l’RAGIONE_SOCIALE.
La controversia ha per oggetto l’accertamento del demansionamento asseritamente patito dallo COGNOME dal maggio 2010 in poi a seguito della revoca dell’incarico di cui al contratto di lavoro del 12/4/2010 ( direzione dell’unità RAGIONE_SOCIALE prevenzione RAGIONE_SOCIALE); l’accertamento della condotta vessatoria, persecutoria e mobbizzante da parte del datore di lavoro; la condanna alla assegnazione di mansioni proprie di dirigente medico di II livello di U.O.C. ed al risarcimento dei danni patiti.
Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE rigettava le domande proposte dallo COGNOME, ritenendo la insussistenza tanto del demansionamento quanto del mobbing.
La Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto che sulla legittimità ella delibera di annullamento del provvedimento con il quale era stata istituita l’unità RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE cui lo COGNOME era stato preposto si fosse formato il giudicato tra le parti, a seguito della irrevocabilità della sentenza del TAR Calabria 2649/2010. Ne ha tratto, quale conseguenza, la legittimità della risoluzione del contratto «che vedeva nell’istituzione dell’RAGIONE_SOCIALE il suo necessario antecedente logico-giuridico».
Quanto al diritto al conferimento ad un incarico equivalente a quello revocato, la Corte d’appello ha ritenuto che la pretesa dell’appellato fosse infondata, giusta la disposizione dettata dall’art.29 del CCNL per la dirigenza medica. Secondo la Corte
territoriale il diritto al conferimento di un incarico dirigenziale equivalente non può discendere da un atto legittimamente annullato in sede di autotutela.
Per quanto riguarda le domande risarcitorie proposte dall’appellante, la Corte territoriale ha ritenuto , da un lato, la mancanza di allegazione con riferimento alla eventuale rinuncia ad incarichi pregressi, da parte dell’appellante, per poter accettare il conferimento di incarico dirigenziale poi revocato; dall’altro, la legittimità della condotta tenuta dalla ASP di RAGIONE_SOCIALE, non qualificabile quale mobbizzante.
Per la cassazione della sentenza d’appello ricorso NOME COGNOME, con ricorso affidato a cinque motivi. La RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 cod. civ. , con riferimento all’art.360 , comma 1, n.3 cod. proc. civ. Il ricorrente deduce che dalle prove testimoniali espletate è emersa la illegittima privazione delle mansioni apicali svolte, ed in particolare il passaggio dallo svolgimento dell’incarico di dirigente medico di secondo livello, con affidamento di una U.O.C., all’incarico di medico della URAGIONE_SOCIALE medicina RAGIONE_SOCIALE.
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione del contratto di lavoro del 12/04/2010, dell’art. 52 d.lgs. n.165 del 30/03/2001, anche in relazione agli artt.2 e 35 Cost., e dell’art.15 ter CCNL dirigenza medica, con riferimento all’art.360 , comma 1, n.3 cod. proc. civ.. Rileva che dal 2000 in poi aveva svolto solo ed esclusivamente incarichi di dirigente medico di secondo livello, e che il comportamento tenuto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si risolveva nella
violazione dell’art. 52 d.lgs. 165 del 2001, per la quasi integrale sottrazione dei compiti più qualificanti. Sostiene il ricorrente che il proprio diritto alla assegnazione di un incarico dirigenziale di secondo livello trova fondamento anche nella disposizione dettata dall’art.15 ter del CCNL dirigenza medica, oltre che nel contratto di lavoro.
Con il terzo motivo è dedotta la violazione degli artt. 324 cod. 52 d.lgs. 165 del 2001,
proc. civ. e 2909 cod. civ., nonché dell’art. con riferimento all’art. 360, comma 1, n.3 cod. proc. civ.
Secondo il ricorrente la Corte territoriale ha errato nel ritenere che facesse stato tra le parti e determinasse l’infondatezza della domanda proposta dinanzi al giudice ordinario, la sentenza del TAR Calabria di accertamento della legittimità dell’annullamento in autotutela della delibera istitutiva dell’unità RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Sostiene il ricorrente che tale accertamento non poteva travolgere l’atto di gestione del rapporto di lavoro, con la conseguenza della validità ed efficacia del contratto di lavoro nonostante l’annullamento della delibera.
Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione degli artt. 15 ter, 22, 28, 29 e 34 del CCNL Dirigenza medica, con riferimento all’art.360 , comma 1 n.3 cod. proc. civ.
Assume che il diritto al conferimento di un incarico dirigenziale equivalente non trova il suo fondamento solo nell’incarico conferito nel 2010, ma anche in quelli svolti in precedenza. Lamenta il ricorrente che l’incarico dirigenziale sarebbe stato risolto o revocato in violazione delle procedure e dei presupposti previsti dalle disposizioni della contrattazione collettiva, oltre che dell’art.19 comma 1 ter d.lgs. 165 del 2001.
Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art.360 , comma 1, num.5) cod. proc. civ., per omesso esame di un punto decisivo del giudizio oggetto di discussione. Secondo il ricorrente la Corte territoriale ha errato nel non ritenere provata tanto la condotta mobbizzante quanto i danni conseguenti, sia patrimoniali che non patrimoniali; nel non ritenere provato il danno alla professionalità e da perdita di chance.
Il primo motivo è inammissibile, perché non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata. Il demansionamento, sul quale si sofferma il motivo di ricorso, non ha formato oggetto delle questioni decise dalla corte territoriale perché l’oggetto della controversia era costituito dalla pretesa di esatto adempimento del contratto di lavoro concluso il 12/04/2010, con la reintegra nell’incarico di dirigente medico di II livello di U.O.C. del RAGIONE_SOCIALE e prevenzione del melanoma o comunque con il conferimento di un incarico equivalente a quello revocato.
7. Il secondo motivo è inammissibile.
Quanto al contratto individuale di lavoro, giova rilevare che esso non è qualificabile quale norma di diritto ai sensi de ll’art.360 , comma 1, n. 3 cod. proc. civ., e dunque la sua violazione non integra il vizio denunciato.
Quanto alla asserita violazione dell’art. 52 d.lgs. 165 del 2001 l’inammissibilità va affermata ex art. 360 bis cod. proc. civ. perché il ricorso non prospetta elementi che possano indurre a mutare l’orientamento consolidato di questa Corte, al quale va data continuità, secondo cui «come affermato da questa Corte (Cass., n.21568 del 2018), l’inapplicabilità ai dirigenti dell’art. 2103 cod. civ., sancita dall’art. 19 del d.lgs. n. 165 del 2001, era già stata affermata dall’art. 19 del d.lgs. n. 29 del 1993, come modificato dall’art. 13 del d.lgs. n. 80 del 1998, e discende dalle peculiarità
proprie della qualifica dirigenziale che, nel nuovo assetto, non esprime più una posizione lavorativa inserita nell’ambito di una carriera e caratterizzata dallo svolgimento di determinate mansioni, bensì esclusivamente l’idoneità professionale del soggetto a ricoprire un incarico dirigenziale, necessariamente a termine, conferito con atto datoriale gestionale, distinto dal contratto di lavoro a tempo indeterminato. Per le medesime ragioni non è applicabile al rapporto dirigenziale l’art. 52 del d.lgs. n. 165 del 2001, riferibile al solo personale che non rivesta la qualifica di dirigente, al quale è, invece, riservata la disciplina dettata dalle disposizioni del capo II. Quanto alla dirigenza RAGIONE_SOCIALE, inserita «in un unico ruolo distinto per profili professionali e in un unico livello» (art. 15 d.lgs. n. 502 del 1992), la giuridica impossibilità di applicare la disciplina dettata dall’art. 2103 cod. civ. è ribadita dall’art. 15 ter del d.lgs. n. 502 del 1992, inserito dal d.lgs. n. 229 del 1999, nonché dall’art. 28 comma 6, del CCNL 8.6.2000 per il quadriennio 1997/2001, secondo cui «nel conferimento degli incarichi e per il passaggio ad incarichi di funzioni dirigenziali diverse le aziende tengono conto … che data l’equivalenza delle mansioni dirigenziali non si applica l’art. 2103, comma 1, del c.c.» (Cass. Sez. Lav. n.19, 04/01/2019).
Non è configurabile, nel caso che ci occupa, alcun diritto al conferimento dell’incarico dirigenziale, poiché lo stesso è subordinato alla sussistenza dei presupposti ed al rispetto delle procedure previsti in via RAGIONE_SOCIALE dagli artt.19 e 26 del d.lgs. 165 del 2001, dagli artt.15 e segg. del d.lgs. n.502 del 30/12/1992, nonché dalla contrattazione collettiva.
Infine, quanto alla pretesa violazione dell’«art.15 ter CCNL dirigenza medica», giova rilevare che tale disposizione della contrattazione collettiva non esiste, mentre il testo riportato nel
motivo di ricorso è agevolmente riconducibile all’art.15 ter commi 3 e 4 del d.lgs. n.502/1992, che così prevede: « (…) Il dirigente non confermato alla scadenza dell’incarico di direzione di struttura RAGIONE_SOCIALE è destinato ad altra funzione con il trattamento economico relativo alla funzione di destinazione previsto dal contratto collettivo RAGIONE_SOCIALE di lavoro; contestualmente viene reso indisponibile un posto di organico del relativo profilo.
I dirigenti ai quali non sia stata affidata la direzione di strutture svolgono funzioni di natura professionale, anche di alta specializzazione, di consulenza, studio e ricerca nonché funzioni ispettive, di verifica e di controllo.».
La disposizione appena citata non è però applicabile al caso in esame, in quanto disciplina il caso del «dirigente non confermato alla scadenza dell’incarico di direzione di struttura RAGIONE_SOCIALE», mentre nella fattispecie si discute della revoca del conferimento dell’incarico di direzione di struttura RAGIONE_SOCIALE conseguente all’annullamento dell’atto di istituzione della struttura medesima. Inoltre in nessuna parte della disposizione si afferma il diritto del dirigente medico ad essere destinatario di un incarico equivalente a quello in precedenza ricoperto, perché, al contrario, si prevede anche la destinazione ad incarichi che non implichino la direzione di
strutture.
Il terzo motivo è inammissibile, perché svolge considerazioni
non pertinenti rispetto al decisum della sentenza impugnata.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato, sia pure in altro contesto ed ai fini del riparto di giurisdizione, che «nei casi in cui si controverte di un negozio di diritto privato posto in essere da una pubblica amministrazione che sia preceduto da un procedimento amministrativo, l’annullamento degli atti del procedimento amministrativo non comporta, di regola e salva diversa
disposizione di legge, l’automatica caducazione del negozio giuridico a valle già stipulato (c.d. effetto caducante), producendo piuttosto una invalidità derivata (c.d. effetto viziante), che deve essere dedotta davanti al giudice avente giurisdizione sull’atto negoziale» (Cass. Sez. U. n.12.901, 24/05/2013).
Al riguardo va rilevato che la domanda di annullamento e/o recesso dal contratto di lavoro era stata proposta dalla RAGIONE_SOCIALE avanti al giudice di prime cure; e che quel giudice aveva ritenuto essere venuto meno l’interesse ad agire in quanto lo COGNOME, nelle conclusioni rassegnate, non aveva più insistito per l’esecuzione del contratto del 2010. La Corte territoriale, nel pronunciare sul secondo motivo di gravame, ha ritenuto che il contratto concluso tra le parti fosse stato «legittimamente risolto» dalla RAGIONE_SOCIALE, quale conseguenza della accertata legittimità della delibera di annullamento dell’istituzione della struttura RAGIONE_SOCIALE.
Il giudice d’appello, quindi, non ha ritenuto che l’annullamento della delibera avesse travolto ipso facto il contratto, bensì ha statuito sugli effetti giuridici prodotti sul negozio dal venir meno dell’atto amministrativo presupposto; e ciò ha fatto in corretta applicazione degli artt. 324 cod. proc. civ. e 2909 cod. civ.
14 . Ciò determina l’inammissibilità del motivo, in quanto il ricorrente non ha attaccato l ‘effettiva ratio decidendi , limitandosi alle considerazioni generali circa la inesistenza di un automatismo tra venir meno dell’atto presupposto e scioglimento del vincolo contrattuale. Poiché la Corte territoriale ha ritenuto legittimamente risolto il contratto, una volta venuta meno la struttura alla quale si riferiva l’incarico dirigenziale, il ricorrente avrebbe dovuto
censurare tale ratio decidendi , e denunciare la insussistenza dei presupposti per pronunciare la risoluzione del contratto.
Il quarto motivo è egualmente inammissibile, per le considerazioni già espresse nei punti che precedono, perché non coglie il decisum della sentenza impugnata ( secondo cui l’incarico annullato, in quanto tale, non poteva essere valutato ai fini della comparazione con quello successivamente conferito), perché invoca una disciplina contrattuale non applicabile alla fattispecie.
Le disposizioni del CCNL 19982001 dell’area relativa alla dirigenza medica e veterinaria del servizio RAGIONE_SOCIALE sono afferenti, infatti, alle fattispecie della risoluzione consensuale del rapporto di lavoro (art.22), della revoca dell’incarico dirigenziale (art.28), dell’affidamento e revoca degli incarichi di direzione di struttura RAGIONE_SOCIALE (art.29), e degli effetti della valutazione negativa della responsabilità dirigenziale (art.34). Si tratta di fattispecie diverse da quella oggetto di causa, nella quale l’incarico dirigenziale non è cessato a causa di risoluzione consensuale, revoca o valutazione negativa, ma a seguito di annullamento in autotutela della delibera di istituzione della struttura.
Il quinto motivo è inammissibile, per una pluralità di ragioni concorrenti. Esso si sostanzia nella prospettazione di una nuova e diversa valutazione dei fatti già accertati dai giudici del merito, con riferimento ai danni asseritamente patiti per effetto del demansionamento e del mobbing.
Il motivo è infine inammissibile anche sotto il profilo dell’art.348 ter ultimo comma cod. proc. civ., attesa la conferma della decisione di primo grado e per gli stessi motivi.
In via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Non occorre statuire sulle spese perché l’RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 25/09/2024.