Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 25670 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 25670 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 25/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22070-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’RAGIONE_SOCIALE DELLO RAGIONE_SOCIALE presso i cui Uffici domicilia in ROMA, alla INDIRIZZO;
contro
ricorrente –
Oggetto
Retribuzione pubblico impiego
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/09/2024
CC
avverso la sentenza n. 4510/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 28/01/2019 R.G.N. 2199/2016; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE:
la Corte d’appello di Roma, provvedendo sull’appello proposto dal RAGIONE_SOCIALE (in seguito RAGIONE_SOCIALE), ha riformato la sentenza del Tribunale di Roma che aveva accolto parzialmente il ricorso di NOME COGNOME ed ha respinto, nella sua interezza, l ‘originaria domanda;
nel suo ricorso NOME COGNOME, già direttore dell’Ufficio Idraulica del soppresso RAGIONE_SOCIALE (RRAGIONE_SOCIALE) con formale inquadramento di dirigente di seconda fascia del c.c.n.l. di comparto, posto in quiescenza in data 1.1.2008, premesso che in forza di provvedimenti formali dell’amministrazione e, comunque, di fatto aveva svolto, in sostituzione del precedente titolare dr. COGNOME, le funzioni di direttore generale del R.I.D. nei periodi 19.1.200511.4.2005 e 1.2.2007-31.12.2007 e, poi, dal 5.4.2007, anche quelle vicarie di direttore generale, chiedeva fosse accertato il suo diritto a ricevere il trattamento economico previsto dal c.c.n.l. area VIII PCM per il dirigente di prima fascia, con condanna del MIT, succeduto per legge all’ente datore di lavoro, a pagargli le differenze retributive;
il Tribunale del lavoro di Roma accoglieva parzialmente la domanda e condannava il MIT a corrispondere, a tale titolo, la somma di € 37.744,83, oltre interessi legali;
la Corte capitolina riteneva, invece, che i fatti dedotti dal lavoratore fossero contestati dal RAGIONE_SOCIALE e che il maggior trattamento economico competeva, ex artt. 56 c.c.n.l. Area VIII PCM e 24-45 d.lgs. n. 165/2001, solo in caso di attribuzione formale del l’incarico di direttore generale con il compendio di compiti e responsabilità del dirigente di prima fascia;
nella specie al COGNOME, oltre alle funzioni già di sua competenza, era stato assegnato, senza alcuna titolarità dell’ufficio, l’ulteriore compito di assolvere alle funzioni di responsabile dell’ordinaria gestione amministrativacontabile dell’ente nelle more della nomina dell’eventuale direttore generale reggente del RID;
si verteva quindi « non in ipotesi di conferimento dell’incarico di direttore generale, ma di mera regolamentazione della sostituzione, da parte sua, del commissario straordinario dell’ente nelle funzioni di direttore generale in caso di assenza, eventuale e precaria, dello stesso»; di ciò v’era conferma nella documentazione prodotta , che non attestava nulla in ordine allo « svolgimento di funzioni di indirizzo dell’ente e di controllo dei vari servizi e di quant’altro caratterizza l’ufficio di direttore generale»;
non era quindi spettante il diritto rivendicato, che trovava ineliminabile presupposto « nell’avvenuto conferimento di un incarico dirigenziale di prima fascia ovvero nell’avvenuto svolgimento di mansioni superiori» di direttore generale con pienezza di attribuzioni;
5. avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione il lavoratore basato su tre motivi, cui si oppone con controricorso l’amministrazione.
CONSIDERATO CHE:
1. con il primo motivo si denuncia (art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell’art. 56 c.c.n.l. Area VIII comparto RAGIONE_SOCIALE del Consiglio dei ministri (quadriennio 20022005), poi art. 30 c.c.n.l. Area VIII RAGIONE_SOCIALE del Consiglio dei ministri (normativo 2006-2009), in relazione agli artt. 23, comma 1 e 24 del d.lgs. n. 165 del 2001;
secondo il ricorrente, la ratio dell’art. 56 c.c.n.l. cit. è quella di garantire l’adeguatezza della retribuzione dei dirigenti di seconda fascia che abbiano svolto di fatto – senza una titolarità formale dell’ufficio – funzioni dirigenziali generali e non certo quella di puntualizzare l’ovvio, ossia che i titolari di funzioni dirigenziali generali siano retribuiti col trattamento economico di prima fascia;
con il secondo mezzo si denuncia (art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell’art. 56 c.c.n.l. Area VIII comparto PCM (poi art. 30 c.c.n.l. Area VIII RAGIONE_SOCIALE del Consiglio dei ministri normativo 2006-2009) e dell’art. 52 d.lgs. n. 165 del 2001, nonché degli artt. 2126 cod. civ., 7 del d.P.R. n. 136/2003, recante Regolamento di organizzazione del R.I.D. e dell’art. 13 all. F dello Statuto del R.I.D.;
i giudici d’appello avevano omesso di verificare, con il c.d. procedimento trifasico, se le funzioni svolte dal COGNOME (i.e., gestione amministrativa e contabile del R.I.D) fossero ‘ esorbitanti ‘ rispetto a quelle devolute a chi ricopre un incarico dirigenziale di II fascia, proprio perché esse erano di pertinenza esclusiva di un dirigente generale di prima fascia secondo la declaratoria dei c.c.n.l. Area VIII cit.; il COGNOME aveva provato documentalmente con alcune note R.I.D. non disconosciute, e comunque con allegazioni rimaste non contestate, di aver adottato, in sostituzione del precedente direttore
generale, gli atti organizzativi relativi all’organizzazione degli uffici di livello dirigenziale generale e di aver esercitato i poteri si spesa e di acquisizione RAGIONE_SOCIALE entrate di competenza del direttore generale del R.I.D;
con il terzo motivo si denuncia (art. 360, comma 1 n. 3, cod. proc. civ.) violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2730 cod. civ., per non essersi avveduta la Corte di merito della mancata contestazione dei fatti indicati nel ricorso introduttivo e dei documenti esibiti, tutti di provenienza datoriale e, ancora, del valore confessorio della dichiarazione rilasciata ex adverso («le mansioni svolte rientrano, in realtà, nell’ordinaria attività di un dirigente di I fascia»: ricorso in appello, p. 12 I §); il COGNOME aveva garantito nella sua veste di ‘ direttore generale sostituto ‘, e i fatti non erano contestati, l’ordinaria gestione amministrativo contabile dell’Ente;
i motivi, che possono per connessione esaminarsi congiuntamente, sono infondati;
4.1 questa Corte ha affermato che in tema di pubblico impiego contrattualizzato, al di là del caso della reggenza, il principio che governa la remunerazione dirigenziale è quello dell’onnicomprensività, sancito dall’art. 24, comma 3, del d.lgs. n. 165 del 2001, né, data l’unicità del ruolo, può configurarsi lo svolgimento di mansioni superiori ex art. 52 del citato d.lgs. ovvero ex art. 2103 cod. civ.; ne consegue che non ogni svolgimento di attività aggiuntive rispetto al proprio incarico e già proprie di altro dirigente può giustificare, a meno che la contrattazione collettiva non lo preveda, il riconoscimento di differenze retributive, essendo invece necessario che, quanto di aggiuntivo sia attribuito, comporti -dal punto di vista qualitativo, quantitativo e temporale -il trasmodare dell’incarico originariamente attribuito in una prestazione radicalmente diversa e destinata, in assenza di regolare formalizzazione nei termini di un nuovo
accordo, a far prevalere, rispetto alla regola della onnicomprensività, anche ai sensi e per gli effetti dell’art. 2126 cod. civ., l’attività in concreto svolta, ove rispetto a questa siano in ipotesi previsti maggiori erogazioni retributive (Cass., Sez. L, ordinanza n. 36358 del 23/11/2021);
nella pronuncia ora richiamata, questa Corte, in un contesto non dissimile, aveva disatteso, infatti, la domanda avanzata da una dirigente di seconda fascia della Corte dei conti, sul rilievo che, secondo l’accertamento fattuale svolto dal giudice di merito, l’estensione dei compiti determinatasi dopo il pensionamento del dirigente generale non avesse comportato un reale subentro nella piena responsabilità dell’ufficio;
4.2 nella specie, la Corte territoriale ha analizzato, con articolata e coerente motivazione, la disciplina collettiva (art. 56 c.c.n.l. cit.) e ha proceduto alla lettura della documentazione in atti, tra cui i decreti n. 1/2005 e n. 1/2007, escludendo che con essi fosse stato in concreto attribuito l’incarico formale di direttore generale del R.I.D., costituente l’unico presupposto per il superiore trattamento economico dall’art. 56 cit.; dal che ha desunto quindi l’infondatezza della domanda;
così argomentando, il giudice d’appello si è uniformato ai principi più volte espressi dalla giurisprudenza di legittimità; infatti, nel pubblico impiego privatizzato, ove il rapporto di lavoro è disciplinato esclusivamente dalla legge e dalla contrattazione collettiva, non possono essere attribuiti trattamenti economici non previsti dalle suddette fonti, nemmeno se di miglior favore (Cass., Sez. L, Ordinanza n. 31387 del 02/12/2019);
4.3 ciò posto, il primo motivo di ricorso si appalesa inammissibile ed è comunque infondato perché non si confronta col decisum che, correttamente interpretando la disposizione contrattuale dell’art. 56 c.c.n.l., in combinato disposto con l’art. 23 d.lgs. n. 165/2001 – nel senso cioè che l’art. 56 richiederebbe la nomina formale del dirigente di II fascia all’incarico di direttore generale (I fascia) – esclude il conferimento di un incarico siffatto, unico presupposto per il superiore trattamento economico;
non bastava, secondo il giudice d’appello, l’attribuzione temporanea (com ‘è avvenuto nella specie) di funzioni di ‘ sostituto ‘, pur sempre assolte sotto la supervisione del Commissario straordinario (il quale aveva conferito al COGNOME «l’incarico di sostituirlo nella funzione di direttore generale in caso di mia assenza o impedimento» al solo «fine di dare continuità all’azione di gestione dell’ente» (p. 7 sentenza impugnata);
né tanto meno aveva senso disquisire dello svolgimento in fatto di singole attività proprie del direttore generale, essendo richiesta, invece, dalla disciplina collettiva, la formale attribuzione (qui mai avvenuta) « dell’intero compendio di compiti e responsabilità del dirigente di fascia superiore, tale essendo il significato proprio RAGIONE_SOCIALE parole ‘funzioni’ e ‘incarico’ che i contraenti collettivi hanno utilizzato in via combinata per individuare la fonte della predetta situazione di vantaggio»;
4.4 l’art. 56 c.c.n.l. PCM, cit., recante ‘Retribuzione dei referendari e dirigenti di II fascia incaricati di funzioni di consigliere e di funzioni dirigenziali generali’ prevede, infatti, al comma 1, che:
«Ai referendari e dirigenti di II fascia incaricati rispettivamente di funzioni di consigliere e di funzioni dirigenziali generali compete, limitatamente alla durata ‘dell’incarico’, la retribuzione stabilita per i consiglieri ai sensi dell’art. 49 (Tratta mento economico fisso dei consiglieri
e dirigenti di I fascia), fermo restando quanto previsto dall’art. 23, comma 1, del d. lgs. n. 165 del 2001»; mentre il comma 2 aggiunge: «I dirigenti del comma 1, in caso di mancata conferma dell’incarico sono restituiti al livello di incarico dirigenziale di provenienza e nei loro confronti, ove ne ricorrano le condizioni, trova applicazione la clausola di salvaguardia prevista dall’art. 6 2, comma 2»;
orbene, il tenore della disposizione, come giustamente rileva la Corte capitolina, lascia intendere che la retribuzione per i dirigenti di prima fascia possa essere corrisposta a quelli di seconda fascia a condizione che siano ‘incaricati’ di ‘funzioni dirigenziali generali’ e limitatamente alla ‘durata dell’incarico’, il che non è acc aduto per il COGNOME che, secondo le ricostruzione in fatto del giudice del merito, qui (evidentemente) insindacabile, non ha ricevuto l’incarico di direttore generale, essendo stato destinatario solo in via temporanea di compiti «di ordinaria gestione amministrativocontabile dell’ente » (cfr. decreto n. 1/2005 del 19.1.2005, come peraltro anche il decreto n. 1/2007 del 1.2.2007), con esclusione della pienezza RAGIONE_SOCIALE funzioni come elencate nell’art. 13 statuto R .I.D. , richiamato dall’art. 7 reg. R.I.D. (di cui al d.P.R. n. 136/2003), tra cui la responsabilità della gestione tecnica e amministrativa e del raggiungimento degli obiettivi programmatici individuati dal consiglio di amministrazione, nell’attuazione RAGIONE_SOCIALE delibere del detto organo, nella direzione RAGIONE_SOCIALE attività di tutti gli uffici e unità operative, assicurando coordinamento operativo dei servizi e l’unità di indirizzo tecnico amministrativo nonché la cura RAGIONE_SOCIALE relazioni sindacali: mansioni -prosegue il giudice d’appello -su cui nulla il COGNOME aveva dedotto;
4.5 del pari non può trovare accoglimento il secondo mezzo, che mira ad accreditare la circostanza che il COGNOME avesse provato
«documentalmente con note RID non disconosciute» di avere adottato atti amministrativi relativi all’organizzazione degli uffici di livello dirigenziale generale e altri provvedimenti rientranti nella competenza del direttore generale, coordinando l’attività degli altri dirigenti, organizzando e gestendo il personale (compiti demandati per statuto allo stesso direttore generale);
ora, prescindendo dal fatto che il motivo nuovamente non coglie il decisum che evidenzia come presupposto sia in realtà l’attribuzione della ‘titolarità dell’ufficio’ con assegnazione formale dell’incarico di prima fascia che la Corte di merito, con accertamento di fatto, ha qui escluso, è nondimeno evidente che il ricorrente sollecita inammissibilmente, a riguardo, un riesame RAGIONE_SOCIALE risultanze istruttorie, avendo i giudici di seconde cure affermato, sulla scorta della documentazione in atti, che l’attività svolta non fosse quella del direttore generale tout court , trattandosi, piuttosto, della ordinaria gestione amministrativo-contabile o della sostituzione, eventuale e precaria, del Commissario straordinario dell’ente nelle funzioni di direttore generale (pp. 6 e 7 sentenza impugnata);
4.6 infine, inammissibile è il terzo, ed ultimo, motivo con cui -oltretutto senza alcuna menzione nella rubrica della violazione dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. si lamenta, in sostanza, l’error in procedendo in cui sarebbe incorsa la corte territoriale;
a parte che la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. e del principio di non contestazione integrerebbe al più un difetto di attività del giudice di secondo grado – che avrebbe dovuto essere fatto valere ex art. 360 n. 4 cod. proc. civ., e non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. -comunque nel motivo, non si fa riferimento alcuno, si noti, alla nullità derivata dall’error in
procedendo, di talché la sua tecnica di formulazione non risulta essere adeguata rispetto all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte, a partire dalla sentenza 24.7.2013 n. 17931;
4.7 con specifico riferimento, poi, alla violazione del principio della non contestazione, giova qui ribadire che, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il ricorrente è tenuto a precisare nel ricorso «in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica» (Cass. n. 24062/2017);
invero il giudice d’appello, lungi dal ritenere i fatti non contestati, ha osservato, in senso contrario, che l’amministrazione, nella memoria di costituzione ex art. 416 cod. proc. civ., aveva negato «in modo aperto che detti incarichi fossero qualificabili sotto il profilo giuridico quali incarichi dirigenziali di primo livello» (p. 4 sentenza impugnata) ed è poi passato a effettuare una attenta esegesi dei singoli decreti sopra citati, escludendo in radice che essi contenessero il conferimento della tito larità dell’ufficio di direttore generale;
il ricorrente, nel limitarsi a riportare un singolo – e del tutto ininfluente, per le ragioni già indicate – passaggio dell’appello del MIT, non si perita di controbattere all’enunciazione contenuta in sentenza né tanto meno di riportare, quanto meno nei passaggi salienti, il contenuto della memoria difensiva di primo grado dell’Amministrazione;
5. in conclusione, il ricorso dev’essere nel suo complesso rigettato; le spese di legittimità (liquidate in dispositivo) seguono la soccombenza.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro