Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 13644 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 13644 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/05/2025
1.La Corte di Appello di Ancona ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale di Macerata, che aveva rigettato le sue domande, volte ad ottenere in via principale l’accertamento del suo diritto allo scorrimento della graduatoria della procedura concorsuale per la copertura di 162 posti di dirigente del personale del Ministero delle Finanze indetta con bando approvato con decreto del 8.7.1997, nella quale era collocato al 193° posto, e dunque all’attribuzione della qualifica di dirigente a tempo indeterminato con effetti dal primo incarico dirigenziale, a lui assegnato in data 9.7.2001, nonché il suo diritto alla stabilizzazione del rapporto dirigenziale ai sensi del d.lgs. n. 165/2001, ed in via subordinata l’accertamento della validità e dell’efficacia del contratto di lavoro del 22.6.2012 e l’ordine di reintegra ed in ogni caso la condanna al risarcimento dei danni materiali e morali.
La Corte territoriale ha rilevato che il ricorso proposto dallo Scauda innanzi al TAR Lazio avverso l’esplicito rifiuto dell’Amministrazione di effettuare il suddetto scorrimento era stato respinto dal giudice amministrativo con sentenza definitiva del 23.11.2016 ed ha pertanto ritenuto la sussistenza del giudicato amministrativo sulla domanda con cui lo Scauda aveva chiesto l’accertamento del suo diritto allo scorrimento della graduatoria della procedura concorsuale per la copertura di 162 posti di dirigente del personale del Ministero delle Finanze indetta con bando approvato con decreto del 8.7.1997 con effetto dal primo incarico dirigenziale, nonché il suo diritto all’assunzione a tempo indeterminato per effetto del suddetto scorrimento.
Considerato che il giudicato copre il dedotto e il deducibile, ha ritenuto precluse dal giudicato le domande proposte nel presente giudizio, non ostando alla suddetta preclusione la maggiore ampiezza del presente giudizio; ha in particolare evidenziato che gli effetti del giudicato devono ritenersi estesi, nel tempo oltre la data in cui la graduatoria ha perso ogni efficacia per legge ed in via definitiva, essendo irrilevante il numero degli idonei che in graduatoria
precedevano il ricorrente, in relazione al numero dei dirigenti di cui necessitava l’Amministrazione.
Il giudice di appello ha inoltre ritenuto che il giudicato vale tra le parti fino a quando non intervenga una mutazione di fatto o di diritto che incida sulla causa petendi e che nel caso di specie l’unico mutamento in tal senso aveva riguardato la revoca anticipata dell’ultimo incarico (ricevuto in data 22.6.2012, ai sensi dell’art. 8 comma 24 del d.l. n. 16/2012), disposta a seguito della dichiarazione di incostituzionalità di tale norma con la sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale.
Ha poi disatteso le deduzioni svolte dallo COGNOME, che a fronte della pronuncia della Consulta aveva fatto presente al datore di lavoro la sua ‘particolare posizione’ chiedendo l’utilizzo della graduatoria della procedura concorsuale per la copertura di 162 posti di dirigente del personale del Ministero delle Finanze indetta con bando approvato con decreto del 8.7.1997 e sostenendo che per effetto della declaratoria di incostituzionalità era venuta meno la p ossibilità dell’Amministrazione di scegliere tra il conferimento degli incarichi ai sensi dell’art. 8 comma 24 del d.l. n. 16/2012 e lo scorrimento della graduatoria.
Ha osservato che l’efficacia della graduatoria si era già formalmente esaurita in data 31.12.2010 e che pertanto all’epoca del conseguimento dell’ultimo incarico, poi revocato , non vi era più la possibilità del richiesto scorrimento, né tale potere era stato attribuito all’Amministrazione dalla sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale.
Dopo avere rilevato che il termine ultimo di efficacia della graduatoria è stabilito dalla legge, ha disatteso la contestazione sui ‘tempi di validità’ della graduatoria contenuta nell’atto di appello (formulata sul presupposto che la medesima graduatoria doveva essere applicata per scorrimento già prima di diventare inefficace) sulla base del giudicato amministrativo, pienamente operante prima di tale data.
Ha considerato inconferente il richiamo al d.lgs. n. 368/2001, non essendo la situazione del ricorrente, che aveva conservato il rapporto di impiego, riconducibile a quella del lavoratore precario; ha ritenuto nullo ed improduttivo
di effetti il conferimento dell’incarico dirigenziale in data 22.6.2012, in quanto avvenuto in base ad una norma dichiarata incostituzionale ed ha pertanto ritenuto che dovesse essere revocato; ha pertanto escluso che potesse considerarsi legittimamente attribuito in applicazione di una graduatoria non più efficace.
Ha pertanto ritenuto infondate le pretese relative alla ricostruzione della carriera e al risarcimento del danno, non essendo stata nel giudizio di primo grado proposta alcuna domanda in ragione dell’espletamento di mansioni superiori.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di sei motivi, illustrati da memoria.
11.L’Agenzia delle Entrate è rimasta intimata.
DIRITTO
Con il primo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 4 cod. proc. civ., nullità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ.; violazion e del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato in relazione all’omessa pronuncia su eccezione prospettata con il quinto motivo di appello, relativa alla mancata decisione da parte del giudice di primo grado su un capo della domanda attorea fatta oggetto di specifica richiesta conclusiva.
Lamenta l’omessa pronuncia sul motivo di appello relativo all’omesso esame della domanda di annullamento del provvedimento di revoca dell’incarico dirigenziale da parte del primo giudice.
Il motivo è inammissibile, in quanto la Corte territoriale ha statuito sulla revoca anticipata, e l’omessa pronuncia non rientrava tra le ipotesi di rimessione al primo giudice e la domanda subordinata è stata comunque disattesa nel merito dalla Corte territoriale.
Inoltre la censura non assolve compiutamente agli oneri previsti dall’art. 366 n. 6 cod. proc. civ., non risultando dalla sentenza impugnata che nell’atto di appello il ricorrente abbia proposto una censura relativa all’omessa pronuncia sulla domanda subordinata da parte del primo giudice, ed il motivo si limita a
lamentare apoditticamente l’omessa pronuncia, senza riprodurre né sintetizzare l’atto di appello.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione di legge correlata al difetto di motivazione (nei termini di cui all’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ.) quale prospettazione alternativa rispetto alla violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. come dedotta ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ. nel motivo che precede.
Insiste nel sostenere che la Corte territoriale ha omesso di pronunciarsi sul motivo di appello relativo all’omesso esame della domanda di annullamento del provvedimento di revoca dell’incarico dirigenziale da parte del primo giudice; precisa che tale domanda è stata proposta con il quinto motivo di appello e correttamente denunciata con il motivo che precede, ai sensi dell’art. 360 n. 4 cod. proc. civ.
In ogni caso di ritenuta inammissibilità del primo motivo, deduce la decisività della domanda su cui è stata omessa la pronuncia da parte del primo giudice, lamentando il difetto di motivazione e la violazione di legge.
La censura è inammissibile, in quanto il vizio di omessa pronuncia è inammissibile qualora il ricorrente si limiti ad argomentare sulla violazione di legge o sul difetto di motivazione.
Le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 17931/2013 hanno infatti affermato che ‘Nel giudizio per cassazione – che ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, c.p.c.- il ricorso deve essere articolato in specifici motivi immediatamente ed inequivocabilmente riconducibili ad una delle cinque ragioni di impugnazione previste dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi.
Pertanto, nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronunzia, da parte della impugnata sentenza, in ordine ad una delle domande o eccezioni formulate, non è indispensabile che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui al n. 4 del primo comma dell’art. 360 c.p.c. (con riferimento all’art. 112 c.p.c.), purché nel motivo si faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità
della decisione derivante dalla relativa omissione. Va invece dichiarato inammissibile il motivo allorquando, in ordine alla suddetta doglianza, il ricorrente sostenga che la motivazione sia stata omessa o insufficiente o si limiti ad argomentare sulla violazione di legge’.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ., omesso esame della valenza del titolo abilitativo all’espletamento della funzione dirigenziale, fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Evidenzia che era incontestata, e comunque era stata provata nei gradi di merito, la circostanza che lo COGNOME era risultato idoneo, ancorché non vincitore, nel pubblico concorso indetto dal MEF.
Sostiene che la posizione dello Scauda era diversa da quelle dei soggetti privi di titolo e ritenute illegittime dalla sentenza della Corte costituzionale n. 37/2015 e che pertanto era sottratta all’applicazione di tale sentenza.
Il motivo è inammissibile, in quanto non coglie il decisum .
La Corte territoriale ha infatti esaminato la questione relativa alla valenza del titolo abilitativo all’espletamento della funzione dirigenziale, evidenziando che l’efficacia della graduatoria si era esaurita in data 31.12.2010, in seguito a reiterate proroghe ex lege (da ultimo ai sensi dell’art. 2, comma, 8 del d.l. n. 194/2009) e che all’epoca del conferimento dell’incarico l’Amministrazione non poteva più effettuare lo scorrimento; ha inoltre escluso ogni rilevanza del numero degli idonei che precedevano il ricorrente rispetto al numero dei dirigenti di cui l’Amministrazione necessitava.
Inoltre l’omesso esame di questioni non rientra nel paradigma dell’art. 360, comma primo, n. 5 cod. proc. civ., che ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, ossia ad un preciso accadimento o ad una precisa circostanza in senso storico naturalistico, la cui esistenza risulti dagli atti processuali che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti, avente carattere decisivo (v. Cass. n. 13024/2022 e Cass. n. 14082/2017).
Con il quarto motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., falsa applicazione del d.lgs. n. 165/2001 e del dpr n. 150/1999.
Sostiene che l’idoneità dello COGNOME alla funzione dirigenziale, riconosciuta all’esito del pubblico concorso non può venire meno a seguito della scadenza della relativa graduatoria.
Deduce che il d.lgs. n. 165/2001 ed il dpr n. 150/1999 dispongono la collocazione dei vincitori soprannumerari nell’ambito del ruolo unico della dirigenza a disposizione della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Il motivo è inammissibile.
Al di là della modalità di proposizione la censura, che non indica le norme violate, non si confronta con la prima ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha ritenuto precluso il diritto dello Scauda allo scorrimento della graduatoria, in ragione del giudicato amministrativo.
Con il quinto motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 19 e 21 del d.lgs. n. 165/2001, anche in relazione all’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate, pubblicato sulla G.U. n. 36 del 13.2.2001.
Evidenzia che allo Scauda sono stati conferiti incarichi dirigenziali senza soluzione di continuità per quasi quindici anni.
Richiama l’art. 24 del Regolamento di amministrazione dell’Agenzia delle Entrate e l’art. 19, comma 1 ter, del d.lgs. n. 165/2001, evidenziando che nel caso di specie non era venuta in essere alcuna ragione giustificativa della revoca dell’incarico dirigen ziale.
Con il sesto motivo il ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 136 Cost. e dell’art. 30 della legge n. 87/1953.
Deduce che la caducazione di una norma di legge per effetto della pronuncia di incostituzionalità incontra un limite nel consolidamento delle situazioni giuridiche nascenti dalla norma dichiarata incostituzionale, in conseguenza dell’esaurimento del r elativo rapporto, in ragione della formazione del giudicato
o della verificazione di altro evento al quale l’ordinamento collega la definizione del rapporto medesimo, ovvero si siano verificate preclusioni processuali o decadenze o prescrizioni non direttamente investite dalla pronuncia di incostituzionalità, ovver o dall’irretrattabilità del provvedimento amministrativo che ne avevano determinato la costituzione.
Sostiene che il rapporto pubblicistico, instaurato con il conferimento allo Scauda dell’incarico a tempo determinato di Direttore della sede Provinciale di Macerata dell’Agenzia delle Entrate sulla base di una legge poi dichiarata incostituzionale, era esaurito, in quanto il provvedimento di conferimento dell’incarico non era stato impugnato ed erano altresì decorsi i termini per impugnarlo.
Insiste nel sostenere l’inapplicabilità al caso di specie della s entenza della Corte costituzionale n. 37/2015, a fronte del conseguimento dell’idoneità alla qualifica dirigenziale da parte dello Scauda; evidenzia il carattere unitario del rapporto, atteso che gli incarichi a termine si erano protratti per quindici anni.
11. Il quinto ed il sesto motivo, da trattarsi congiuntamente, sono infondati, in quanto muovono dagli erronei presupposti che non vi fossero ragioni per revocare l’incarico conferito allo Scauda in data 22.6.2012 e che il rapporto fosse esaurito.
Questa Corte ha già ricostruito le fonti che regolano la fattispecie (v. Cass. n. 2397/2023; Cass. n. 12874/2024).
Si è in particolare evidenziato che:
-il d.lgs. n. 300 del 1999, che ha istituito le Agenzie fiscali, all’art. 71 ha stabilito che il regolamento di amministrazione di ciascuna Agenzia fiscale determinasse le regole di accesso alla dirigenza;
-l’art. 24 del regolamento di amministrazione della Agenzia delle Entrate consentiva alla Agenzia, sia all’atto del proprio avvio (comma 1) che in caso di vacanze sopravvenute e per inderogabili esigenze di funzionamento (comma 2), la copertura provvisoria delle posizioni dirigenziali vacanti (previa specifica valutazione dell’idoneità degli aspiranti) mediante la stipula di “contratti individuali di lavoro a termine con propri funzionari”, con l’attribuzione dello stesso trattamento economico dei dirigenti. Tale facoltà era prevista fino
all’attuazione delle procedure di accesso alla dirigenza e, comunque, fino ad un termine finale predeterminato. Questo termine finale è stato di volta in volta prorogato, da ultimo “al 31 maggio 2012”;
-a seguito delle reiterate proroghe del termine, la giurisprudenza amministrativa – in particolare il TAR Lazio, con sentenza n. 6884 del 10 agosto 2011 – annullava la delibera del Comitato di gestione dell’Agenzia delle Entrate con la quale si disponeva la proroga del termine finale, nella fattispecie esaminata fino al 31 dicembre 2010. Il TAR considerava la previsione dell’art. 24 del regolamento in contrasto con la disciplina generale di cui al d.lgs. n. 165 del 2001, artt. 19 e 52, in quanto consentiva l’affidamento di incarichi dirigenziali a funzionari privi della qualifica dirigenziale in assenza dei due presupposti della straordinarietà e della temporaneità richiesti dall’istituto della reggenza;
nelle more del procedimento d’appello avverso la sentenza sopra richiamata il legislatore – con l’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012, conv. dalla legge n. 44 del 2012 – nell’autorizzare le Agenzie fiscali ad espletare le procedure concorsuali per la copertura delle posizioni dirigenziali vacanti, da completarsi entro il 31 dicembre 2013 faceva salvi i contratti stipulati in passato tra le Agenzie ed i propri funzionari. Inoltre, consentiva ulteriormente alle Agenzie di attribuire incarichi dirigenziali ai propri funzionari nelle more dell’espletamento delle procedure di concorso, mediante la stipula di contratti di lavoro a tempo determinato, con durata fissata fino alla copertura del posto vacante;
il termine del 31 dicembre 2013 fissato dal suddetto decreto-legge è stato prorogato due volte: dapprima al 31 dicembre 2014 (art. 1, comma 14, d.l. n. 150 del 2013, conv. dalla legge n. 15 del 2014) poi al 30 giugno 2015 (art. 1, comma 8, d.l. n. 192 del 2014, conv. dalla legge n. 11 del 2015) pur aggiungendosi negli interventi di proroga che non era consentito il conferimento di nuovi incarichi oltre il limite complessivo di quelli attribuiti alla data del 31 dicembre 2013;
il Consiglio di Stato, giudice d’appello avverso la pronuncia del TAR che annullava l’art. 24 del regolamento di organizzazione (nonché avverso due ulteriori sentenze vertenti sulla medesima questione), ha rimesso alla Corte
costituzionale la questione di legittimità della disposizione dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012;
il giudice delle leggi ha dichiarato illegittime per contrasto con gli artt. 3, 51 e 97 Cost. tanto la norma censurata che le disposizioni di proroga sopra citate (sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 17 marzo 2015); ha in particolare dichiarato costituzionalmente illegittimi, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’art. 1, comma 14, del d.l. 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44 e l’art. 1, comma 14, del d.l. 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga dei termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15;
la Corte costituzionale ha in particolare evidenziato che tali disposizioni hanno carattere consequenziale e concorrono ad integrare la disciplina dell’art. 8, comma 24, del d.l. n. 16 del 2012 dichiarato costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 3, 51 e 97 Cost., non ostando alla dichiarazione di illegittimità costituzionale la natura sopravvenuta rispetto al giudizio a quo delle suddette disposizioni, in quanto la valutazione svolta ai sensi dell’art. 27 della l. 11 marzo 1953, n. 87;non presuppone la rilevanza delle norme ai fini della decisione propria del processo principale, ma cade sul rapporto con cui esse si concatenano nell’ordinamento, con riguardo agli effetti prodotti dalle sentenze dichiarative di illegittimità costituzionale;
-all’esito della dichiarazione di incostituzionalità il Consiglio di Stato confermava la pronuncia di annullamento dell’art. 24 del regolamento di organizzazione (Consiglio di Stato, sentenza n. 4641 del 6 ottobre 2015).
Ciò premesso, deve rammentarsi che ai sensi dell’art.16 comma 8 del d.l. n. 98/2011, conv. con modificazioni dalla legge n.111/2011, i provvedimenti in materia di personale adottati dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art.1, comma 2, del d. lgs. n.165/2001, posti in essere in base a disposizioni di cui venga successivamente dichiarata l’illegittimità costituzionale sono nulle di diritto e viene ripristinata la situazione preesistente a far data dalla pubblicazione della relativa sentenza della Corte costituzionale.
Secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, le pronunce di accoglimento del giudice delle leggi dichiarative di illegittimità costituzionale eliminano la norma con effetto “ex tunc”, con la conseguenza che essa non è più applicabile, indipendentemente dalla circostanza che la fattispecie sia sorta in epoca anteriore alla pubblicazione della decisione, perché l’illegittimità costituzionale ha per presupposto l’invalidità originaria della legge – sia essa di natura sostanziale, procedimentale o processuale – per contrasto con un precetto costituzionale, fermo restando il principio che gli effetti dell’incostituzionalità non si estendono esclusivamente ai rapporti ormai esauriti in modo definitivo, per avvenuta formazione del giudicato o per essersi verificato altro evento cui l’ordinamento collega il consolidamento del rapporto medesimo, ovvero per essersi verificate preclusioni processuali, o decadenze e prescrizioni non direttamente investite, nei loro presupposti normativi, dalla pronuncia d’incostituzionalità (Cass. n.35496/2022; Cass. Sez. n. 20381/2012; Cass. n. 16450/2006).
Nel caso di specie, l’incarico attribuito allo Scauda in forza della norma dichiarata incostituzionale era nullo di diritto, e l’Amministrazione era dunque tenuta ex lege a ripristinare la situazione preesistente a far data dalla pubblicazione della relativa sentenza della Corte costituzionale, a prescindere da qualsivoglia impugnativa giudiziale dell’atto di conferimento, o dalla scadenza dei relativi termini.
La Corte territoriale, che ha ritenuto nullo ed improduttivo di effetti il conferimento dell’incarico dirigenziale in data 22.6.2012, si è dunque attenuta a tali principi.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Nessuna statuizione va adottata in ordine alle spese di lite, in quanto l’Amministrazione non ha svolto attività difensiva.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della