Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 20175 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 20175 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 14574-2019 proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
REGIONE CAMPANIA;
– intimata – avverso la sentenza n. 5344/2018 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 05/11/2018 R.G.N. 10479/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
Oggetto
Impiego pubblico Dirigente Compenso incarico aggiuntivo
R.G.N. 14574/2019
COGNOME.
Rep.
Ud. 23/05/2024
CC
1. la Corte d’Appello di Napoli, adita da NOME COGNOME, dirigente della Regione RAGIONE_SOCIALE rimasta contumace in appello, ha confermato, con motivazione parzialmente difforme, la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva rigettato il ricorso con il quale il COGNOME aveva domandato la condanna della Regione al pagamento della somma di euro 938.781,24, pretesa quale corrispettivo per l’attività di responsabile della testata giornalista RAGIONE_SOCIALE di proprietà dell’ente regionale, attività asseritamente svolta senza interruzioni e senza compenso dal 7 marzo 1995 al 31 dicembre 2008;
2. la Corte territoriale ha premesso che il primo giudice aveva rigettato la domanda facendo leva sull’art. 2 del d.lgs. n. 165/2001, che riserva alla contrattazione collettiva l’attribuzione di trattamenti economici, e sull’art. 9 della legge n. 150/2000 che, a sua volta, demanda alla medesima fonte contrattuale la previsione di ulteriori compensi in favore dei dirigenti regionali che svolgono funzioni giornalistiche;
ha ritenuto che l’argomento, pur condivisibile, dovesse essere integrato con ulteriori considerazioni perché, in effetti, come rilevato dall’appellante, il Tribunale non aveva considerato che il rapporto di impiego era cessato il 15 luglio 2001, mentre l’attività in relazione alla quale il compenso veniva domandato si era protratta fino al 31 dicembre 2008 ed era stata svolta anche nel periodo luglio 1994/settembre 1995 in cui il COGNOME era stato collocato in aspettativa senza assegni, perché nominato commissario liquidatore della RAGIONE_SOCIALE di Mercato San Severino;
ciò premesso la Corte partenopea ha escluso che la domanda potesse trovare accoglimento per la genericità delle allegazioni
in punto di fatto contenute nel ricorso introduttivo e nell’appello perché il ricorrente , da un lato, non aveva chiarito quale posizione dirigenziale ricoprisse nell’ambito dell’organizzazione della Regione RAGIONE_SOCIALE, dall’altro non aveva indicato nulla sui tempi di lavoro dedicati all’attività giornalistica e sulle mansioni concretamente svolte, essendosi limitato a rinviare alla produzione documentale, ed in particolare a otto numeri della rivista dai quali si poteva desumere solo la qualità di responsabile del periodico, e non aveva fornito ulteriori specificazioni, inerenti all’impegno lavorativo, alle responsabilità connesse alla funzione, alla diffusione della rivista o, viceversa, alla sua utilizzazione solo interna all’ente;
ha, quindi, ritenuto impossibile la determinazione del compenso, in assenza dei necessari parametri di riferimento relativi alla qualità e quantità del lavoro svolto;
3. per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso sulla base di quattro motivi, illustrati da memoria, ai quali la Regione RAGIONE_SOCIALE non ha opposto difese, rimanendo intimata.
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo il ricorrente denuncia ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ. la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 132 cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., dell’art. 111 Cost. e addebita alla Corte distrettuale di essersi limitata a rinviare per relationem alla pronuncia di primo grado senza indicare le ragioni per le quali le argomentazioni sviluppate dal Tribunale meritassero condivisione quanto alla ritenuta applicabilità dell’art. 2 del
d.lgs. n. 165/2001, che era stata oggetto di specifica contestazione da parte dell’appellante;
la seconda critica, egualmente ricondotta al vizio di cui al n. 3 dell’art. 360 cod. proc. civ., lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 165/2001, degli artt. 3 e 5 della legge n. 47/1948 e dell’art. 46 della legge n. 69/1963 , perché il giudice d’appello non avrebbe tenuto in alcun conto l’assoluta autonomia dell’incarico di direttore responsabile della testata rispetto a quello dirigenziale svolto quale dipendente della Regione RAGIONE_SOCIALE;
precisa al riguardo che il primo era stato attribuito, non in ragione del rapporto di impiego, bensì, unicamente, per il fatto che il ricorrente era iscritto all’albo dei giornalisti e godeva della stima dei vertici regionali;
d’altro canto l’autonomia emergeva all’evidenza dal fatto che l’incarico di responsabile della testata giornalistica era proseguito anche successivamente al pensionamento ed era stato svolto nel periodo luglio 1994/settembre 1995 in cui il dirigente era stato collocato in aspettativa senza assegni;
il terzo motivo, formulato ex art. 360 n. 3 cod. proc. civ., torna a denunciare, sotto altro profilo, la violazione degli artt. 112,113, 132 cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., dell’art. 111 Cost. alla quale affianca la violazione dell’art. 9 della legge n. 150/2000;
il ricorrente ravvisa il vizio motivazionale perché la Corte non poteva limitarsi a rinviare, quanto alla asserita applicabilità dell’art. 9 della legge n. 150/2000, alla pronuncia di prime cure senza prendere specifica posizione sulle deduzioni dell’appellante il quale, oltre a rimarcare che si era in presenza di incarichi autonomi e distinti, aveva anche evidenziato che la Regione non aveva mai istituito l’ufficio stampa e , pertanto,
non poteva trovare applicazione la legge n. 150/2000 valorizzata dal Tribunale;
4. infine con la quarta censura si denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2095 c.c., degli artt. 3 e 5 della legge n. 47/1948, dell’art. 46 della legge n. 69/1963, dell’art. 6 del contratto collettivo nazionale di lavoro giornalistico, degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ.;
il ricorrente, dopo aver ribadito che veniva in rilievo un incarico del tutto autonomo rispetto a quello di dirigente regionale, aggiunge che la Regione non aveva mai contestato la qualità di direttore responsabile della testata che, tra l’altro, risultava dalla produzione documentale ed era stata assegnata al fine di rispettare la legge professionale e la legge del 1948 sulla stampa;
precisa, poi, che i compiti e le funzioni del direttore responsabile risultano dalla contrattazione collettiva e, pertanto, il compenso doveva essere determinato a prescindere da qualunque descrizione dei tempi e dei modi di espletamento dell’attività ;
5. il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni;
i primi tre motivi di ricorso, che si incentrano sull’omessa considerazione della assoluta autonomia dell’incarico rispetto al rapporto di impiego, comprovata dalla prosecuzione del primo anche nel periodo successivo al pensionamento e nell’arco temporale in cui il COGNOME era stato collocato in aspettativa, non colgono l’effettiva ratio decidendi della pronuncia gravata che, pur mostrando di condividere astrattamente le considerazioni svolte dal Tribunale sul principio di onnicomprensività della retribuzione dirigenziale e sul ruolo assegnato dal legislatore alla contrattazione
collettiva, le ritiene non dirimenti ai fini del rigetto della domanda, proprio in considerazione delle allegazioni di fatto sulle quali i tre motivi insistono anche in questa sede;
nel giudizio di cassazione, a critica vincolata, i motivi devono avere i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, sicché la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi, richiesta dall’art. 366 n.4 cod. proc. civ., e determina l’inammissibilità, in tutto o in parte del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (cfr. fra le tante Cass. n. 9450/2024, Cass. 15517/2020, Cass. n. 20910/2017, Cass. n. 17125/2007, Cass. S.U. n. 14385/2007);
va, poi, aggiunto che, allorquando con il ricorso per cassazione è censurata la sentenza di appello nella parte in cui ha rinviato per relationem alla pronuncia di primo grado (rinvio in sé pienamente ammissibile qualora, come nella fattispecie, emerga dal complessivo tenore della decisione una effettiva valutazione, propria del giudice di appello, della infondatezza dei motivi del gravame -cfr. fra le tante Cass. n. 2397/2021; Cass. n. 21978/2018; Cass. S.U. n. 643/2015; Cass. S.U. n. 642/2015) è necessario, per ritenere assolto l’onere imposto dall’art. 366, n. 6, cod. proc. civ., che la censura identifichi il tenore della motivazione del primo giudice specificamente condivisa dal giudice di appello, indispensabile per valutare l’asserita elusione, da parte di quest’ultimo, dei doveri motivazionali (Cass. S.U. n. 7074/2017);
a tanto il ricorrente non ha provveduto e ciò costituisce ulteriore ragione di inammissibilità dei motivi proposti;
inammissibile è anche la quarta censura che, da un lato, quanto al difetto di allegazione rilevato in ordine alla posizione dirigenziale ricoperta dal COGNOME nell’ambito
dell’organizzazione della Regione RAGIONE_SOCIALE, parimenti non coglie le ragioni della decisione, con la quale, in sostanza, si è inteso sottolineare che l’asserita autonomia dei due distinti rapporti non poteva prescindere dalla valutazione delle caratteristiche di entrambi, in assenza delle quali non era possibile ritenere dimostrata, nel periodo di svolgimento dell’incarico dirigenziale, l’assoluta esorbitanza delle funzioni di responsabile di testata rispetto al ruolo rivestito nell’organizzazione dell’ente territoriale;
quanto, poi, alla mancata allegazione della qualità e quantità dell’impegno profuso , che la Corte territoriale ha ritenuto imprescindibili parametri di riferimento per la quantificazione del corrispettivo preteso, il motivo, oltre a fare leva su norme di legge non pertinenti (non avendo la Corte distrettuale messo in dubbio che la legge sulla stampa imponga la nomina di un direttore responsabile della testata, iscritto nell’elenco dei giornalisti professionisti), si limita a richiamare l’art. 6 di un imprecisato contratto di lavoro giornalistico, non riportato nel ricorso, che descriverebbe le funzioni del direttore responsabile, e ad affermare apoditticamente che dalle stesse e dalle conseguenti responsabilità si desumerebbe la non necessità di allegare e dimostrare l’effettivo impegno profuso nell’attività per la quale si domanda il compenso;
il ricorso non identifica, tempo per tempo come sarebbe stato necessario a fronte di una domanda coinvolgente l’arco temporale compreso fra il 7 marzo 1995 ed il 31 dicembre 2008, le fonti contrattuali di riferimento, né specifica sulla base di quali criteri è determinato il trattamento retributivo o il corrispettivo dovuto al responsabile di testata, sicché la censura, nei termini posti, si rivela inidonea a confutare in modo specifico le argomentazioni spese dalla sentenza gravata
sulla carenza di allegazioni dell’atto introduttivo, atto rispetto al quale, inoltre, non risultano assolti gli oneri imposti dagli artt. 366 n. 6 e 369 n. 4 cod. proc. civ.;
in via conclusiva il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;
non occorre provvedere sulle spese del giudizio di cassazione in quanto la Regione RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata;
ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, come modificato dalla L. 24.12.12 n. 228, si deve dare atto, ai fini e per gli effetti precisati da Cass. S.U. n. 4315/2020, della ricorrenza delle condizioni processuali previste dalla legge per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto dal ricorrente.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso nella Adunanza camerale del 23 maggio 2024