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Incarichi non autorizzati: la Cassazione decide

Un ex dirigente pubblico ha svolto incarichi esterni senza l’approvazione della sua amministrazione. La Corte di Cassazione ha confermato il suo obbligo di restituire tutti i compensi percepiti, chiarendo che si tratta di una violazione contrattuale del dovere di fedeltà. Questa qualificazione comporta l’applicazione della prescrizione decennale e non quinquennale. La Corte ha stabilito che gli incarichi non autorizzati come Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) in arbitrati rientrano in tale divieto, poiché il CTU agisce come ausiliario privato e non come pubblico ufficiale.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Incarichi non autorizzati: la Cassazione conferma la restituzione dei compensi

La questione degli incarichi non autorizzati svolti dai dipendenti pubblici è un tema delicato, che tocca i principi fondamentali di imparzialità e dedizione esclusiva al servizio della Nazione. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su questo argomento, fornendo chiarimenti cruciali sulla natura della responsabilità del dipendente e sui termini di prescrizione per il recupero delle somme percepite illecitamente.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine dalla richiesta di un Ministero nei confronti di un suo ex dirigente generale. L’amministrazione chiedeva la restituzione di una somma ingente, pari a oltre 690.000 euro, a titolo di compensi che il dirigente aveva percepito per lo svolgimento di 25 incarichi professionali esterni, senza aver mai ottenuto la necessaria autorizzazione. Tra questi incarichi figuravano anche diverse nomine come Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) in procedimenti arbitrali.

Il dirigente si era opposto alla richiesta, sostenendo diverse tesi difensive: in primo luogo, che l’attività di CTU in un arbitrato non necessitasse di autorizzazione; in secondo luogo, che l’azione del Ministero fosse prescritta, dovendosi applicare il termine breve di cinque anni; infine, contestava la qualificazione della misura come risarcitoria, ritenendola una sanzione amministrativa illegittima.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto le sue tesi, portando la questione dinanzi alla Corte di Cassazione.

La questione degli incarichi non autorizzati e i profili di responsabilità

La controversia sollevava diverse questioni giuridiche di primaria importanza:
1. Natura dell’incarico di CTU in un arbitrato: È un’attività assimilabile a quella svolta in un giudizio ordinario, e quindi espressione di un munus publicum, oppure ha natura privatistica e richiede autorizzazione?
2. Natura della responsabilità: La richiesta di restituzione delle somme costituisce una sanzione amministrativa o una conseguenza di un inadempimento contrattuale?
3. Prescrizione: Di conseguenza, il termine per l’azione di recupero è quello quinquennale (illecito extracontrattuale o sanzione) o quello decennale (responsabilità contrattuale)?
4. Decorrenza della prescrizione: Il termine inizia a decorrere dal momento del conferimento dell’incarico o dalla percezione del compenso?

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del dirigente, confermando le decisioni dei giudici di merito e consolidando un orientamento giurisprudenziale ormai granitico in materia di incarichi non autorizzati.

La Figura del CTU nell’Arbitrato: un Ausiliario Privato

Il primo punto affrontato dalla Corte riguarda la qualifica del CTU nominato in un procedimento arbitrale. A differenza del giudizio ordinario, dove il CTU è un ausiliario del giudice e riveste la qualifica di pubblico ufficiale, nell’arbitrato rituale la sua figura ha una matrice privatistica. Gli arbitri stessi sono legati alle parti da un rapporto di mandato, non da un potere giurisdizionale statale. Di conseguenza, il CTU da loro nominato è un ausiliario privato del collegio arbitrale, non un soggetto investito di pubbliche funzioni. Per questa ragione, l’incarico di CTU in un arbitrato non è un’attività libera ma necessita, per il dipendente pubblico, della preventiva autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza.

Responsabilità Contrattuale, non Sanzione Amministrativa

Il cuore della decisione risiede nella qualificazione giuridica dell’obbligo di restituzione. La Corte ha ribadito che la violazione del divieto di svolgere incarichi non autorizzati costituisce un inadempimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro pubblico, in particolare del dovere di fedeltà ed esclusività. L’azione della Pubblica Amministrazione per il recupero delle somme non è, quindi, una sanzione amministrativa (soggetta alla Legge 689/1981), ma rientra nell’ambito della responsabilità contrattuale. Ha una funzione riparatoria, volta a ristabilire l’equilibrio violato e a privare il dipendente infedele dei proventi ottenuti in violazione dei suoi doveri. Da ciò discende direttamente che il termine di prescrizione applicabile è quello ordinario decennale, previsto dall’art. 2946 c.c.

La Decorrenza della Prescrizione

La Corte ha inoltre chiarito che il termine di prescrizione non decorre dal conferimento dell’incarico, ma dal momento in cui il dipendente percepisce effettivamente il compenso. La condotta illecita, infatti, si perfeziona con la ricezione della somma, che rappresenta il profitto derivante dalla violazione del dovere di esclusività. Fino a quel momento, il dipendente potrebbe ancora rinunciare al compenso o disporne il versamento diretto alla propria amministrazione.

Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione riafferma con forza i principi a tutela dell’imparzialità e del buon andamento della Pubblica Amministrazione. La decisione stabilisce in modo inequivocabile che qualsiasi incarico retribuito, anche se apparentemente legato a funzioni paragiurisdizionali come quella del CTU in arbitrato, deve essere preventivamente autorizzato. La violazione di tale obbligo configura un inadempimento contrattuale grave, che fa scattare l’obbligo di versare all’amministrazione tutti i compensi percepiti, con un’azione soggetta alla prescrizione decennale. Si tratta di un monito chiaro per tutti i dipendenti pubblici sull’importanza del rispetto del vincolo di esclusività, posto a presidio del corretto funzionamento della macchina statale.

Un dipendente pubblico che svolge l’incarico di CTU in un arbitrato necessita dell’autorizzazione della propria amministrazione?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il CTU nominato in un arbitrato rituale agisce come un ausiliario privato del collegio arbitrale e non come un pubblico ufficiale. Pertanto, l’incarico ha natura privatistica e richiede la preventiva autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza.

Qual è il termine di prescrizione per l’azione della P.A. volta a recuperare i compensi percepiti per incarichi non autorizzati?
Il termine di prescrizione è decennale. La Corte ha qualificato l’obbligo di restituzione come una conseguenza della responsabilità contrattuale del dipendente per la violazione del dovere di fedeltà, e non come una sanzione amministrativa, applicando quindi il termine di prescrizione ordinario.

La restituzione dei compensi per incarichi non autorizzati è considerata una sanzione amministrativa?
No. La Corte ha chiarito che non si tratta di una sanzione amministrativa ai sensi della Legge n. 689/1981, ma di una misura con funzione riparatoria derivante dall’inadempimento degli obblighi contrattuali del pubblico impiego. L’obiettivo è rimuovere il profitto illecito ottenuto dal dipendente e disincentivare future violazioni.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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