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Incarichi dirigenziali a termine: limiti e tutele

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di un dirigente pubblico con una serie di contratti a tempo determinato. La Corte ha stabilito che gli incarichi dirigenziali a termine non possono essere rinnovati all’infinito per coprire esigenze stabili dell’amministrazione, riconoscendo il diritto al risarcimento del danno in caso di abuso. Ha tuttavia escluso che un dirigente esterno possa partecipare a selezioni interne riservate al personale di ruolo e che lo svolgimento di fatto di mansioni superiori dia automaticamente diritto a una retribuzione maggiore.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Incarichi Dirigenziali a Termine: Limiti e Tutele secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha tracciato una linea netta sulla gestione degli incarichi dirigenziali a termine nel pubblico impiego, bilanciando le esigenze di flessibilità della Pubblica Amministrazione con le tutele previste dal diritto europeo contro la precarizzazione. La pronuncia chiarisce i limiti alla possibilità di rinnovare tali contratti e stabilisce quando scatta il diritto al risarcimento per abuso.

I Fatti di Causa: Il caso del dirigente a termine

Un dirigente ha lavorato per quasi un decennio presso un importante ente pubblico di ricerca, vedendo il suo rapporto di lavoro prorogato e rinnovato attraverso una serie di contratti a tempo determinato stipulati ai sensi dell’art. 19, comma 6, del D.Lgs. 165/2001. Al termine dell’ultimo contratto, il dirigente ha agito in giudizio chiedendo:

1. La conversione del rapporto in un contratto a tempo indeterminato o, in subordine, un risarcimento per l’abusiva reiterazione dei contratti.
2. Il pagamento di differenze retributive per aver svolto di fatto le mansioni superiori di direttore generale.
3. Un risarcimento per perdita di chance, per essere stato escluso da una selezione interna in quanto dirigente esterno e non di ruolo.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano respinto tutte le sue richieste, ritenendo la normativa sugli incarichi dirigenziali a termine una disciplina speciale che consentiva tali rinnovi.

La decisione della Corte di Cassazione sugli incarichi dirigenziali a termine

La Suprema Corte ha parzialmente ribaltato le decisioni dei giudici di merito, accogliendo i motivi relativi all’abuso dei contratti a termine e rigettando gli altri. Ha così enunciato importanti principi di diritto che definiscono i contorni di questa tipologia contrattuale.

Il rinnovo abusivo dei contratti a termine: Accoglimento del ricorso

Il cuore della decisione riguarda l’interpretazione dell’art. 19, comma 6, alla luce della direttiva europea 1999/70/CE. La Corte ha affermato che, sebbene questa norma sia speciale, non può essere utilizzata per soddisfare esigenze lavorative stabili e permanenti della Pubblica Amministrazione. Il limite di durata massima (tre o cinque anni a seconda dei casi) non può essere superato attraverso rinnovi continui per lo svolgimento di attività ordinarie.

Quando ciò avviene, si configura un abuso che non porta alla conversione del rapporto (vietata nel pubblico impiego), ma dà diritto al lavoratore di ottenere un risarcimento del cosiddetto “danno eurounitario”.

Discriminazione e mansioni superiori: Rigetto degli altri motivi

La Cassazione ha invece respinto le altre due doglianze. In primo luogo, ha stabilito che non è discriminatorio escludere un dirigente esterno a termine da una selezione per incarichi superiori riservata al personale di ruolo. Le due posizioni non sono comparabili, e ammettere il dirigente esterno violerebbe il principio costituzionale dell’accesso al pubblico impiego tramite concorso.

In secondo luogo, ha negato il diritto alle differenze retributive per le mansioni superiori. Secondo la Corte, per ottenere il riconoscimento economico di una qualifica come quella di “direttore generale”, non è sufficiente dimostrare di averne svolto i compiti di fatto. È necessario che tale posizione sia formalmente prevista e istituita negli atti organizzativi dell’ente.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di un’interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata. Ha riconosciuto che la disciplina degli incarichi dirigenziali a termine deve essere letta in conformità con i principi della Direttiva 1999/70/CE, che mira a prevenire l’abuso derivante dall’utilizzo di una successione di contratti a tempo determinato.

La reiterazione di tali incarichi per coprire fabbisogni ordinari e durevoli dell’amministrazione snatura la funzione eccezionale dell’istituto e crea una forma di precariato ingiustificato. Il rinnovo è possibile solo se giustificato da ragioni oggettive e non può comunque superare il limite massimo di durata complessiva per attività ordinarie. Per quanto riguarda le altre questioni, la Corte ha sottolineato la netta distinzione tra il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, che si instaura tramite concorso pubblico, e gli incarichi a termine, che hanno natura fiduciaria e temporanea. Questa differenza strutturale giustifica un trattamento diverso e impedisce l’automatica equiparazione ai fini delle progressioni di carriera o del riconoscimento di mansioni superiori non formalizzate.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un punto di riferimento fondamentale per tutti i dirigenti con contratto a tempo determinato nel settore pubblico. Essa chiarisce che la flessibilità concessa alla P.A. non è senza limiti. Il superamento della durata massima e l’utilizzo di questi contratti per esigenze stabili costituiscono un abuso che deve essere risarcito. Al contempo, la pronuncia riafferma la specificità del rapporto di lavoro pubblico di ruolo, confermando che l’accesso a posizioni stabili e superiori deve seguire i canali formali previsti dalla legge, escludendo automatismi basati sul mero svolgimento di fatto delle mansioni.

È possibile rinnovare un incarico dirigenziale a termine nella Pubblica Amministrazione oltre i limiti di durata previsti dalla legge (es. cinque anni)?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il rinnovo non è possibile una volta superati i limiti di durata triennali o quinquennali se l’incarico riguarda l’attività normale dell’ente. Un rinnovo oltre tale soglia per coprire esigenze permanenti è considerato un abuso e dà diritto al risarcimento del danno.

Un dirigente a termine può essere escluso da una selezione per una posizione dirigenziale superiore riservata al personale di ruolo?
Sì, secondo la Corte è legittimo. La posizione del dirigente nominato con contratto a termine ai sensi dell’art. 19, co. 6, non è comparabile a quella del dirigente di ruolo assunto tramite concorso. Pertanto, l’esclusione non costituisce una discriminazione.

Svolgere di fatto mansioni da direttore generale dà automaticamente diritto alla retribuzione superiore?
No. La Corte ha chiarito che il diritto a una retribuzione superiore non deriva dal semplice svolgimento fattuale dei compiti, ma richiede che la posizione dirigenziale superiore (in questo caso, di direttore generale) sia formalmente istituita negli atti organizzativi dell’ente. In assenza di una formale istituzione del posto, la pretesa non può essere accolta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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