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Incarichi dirigenziali a termine: la Cassazione valuta

Tre dirigenti pubblici hanno contestato la legittimità di una serie di contratti a tempo determinato stipulati con un ente previdenziale nazionale per oltre un decennio. I ricorrenti sostenevano che tali contratti mascherassero esigenze lavorative stabili e permanenti. Dopo che i tribunali di merito hanno respinto le loro richieste, la Corte di Cassazione, con un’ordinanza interlocutoria, ha riconosciuto la complessità e l’importanza nomofilattica della questione. Pertanto, ha rinviato il caso a una pubblica udienza per un esame più approfondito, senza ancora decidere nel merito la controversia sugli incarichi dirigenziali a termine.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Incarichi dirigenziali a termine: la Cassazione rinvia la decisione su un caso cruciale

La questione della legittimità degli incarichi dirigenziali a termine nella Pubblica Amministrazione torna al centro del dibattito giurisprudenziale. Con una recente ordinanza interlocutoria, la Corte di Cassazione ha deciso di rinviare a pubblica udienza una causa di notevole importanza, che vede contrapposti tre ex dirigenti e un importante ente nazionale di previdenza sociale. La decisione finale potrebbe definire in modo più chiaro i confini tra l’esigenza di flessibilità della P.A. e il divieto di abuso dei contratti a tempo determinato.

I Fatti del Caso: Una Lunga Carriera da Precari

Tre dirigenti hanno prestato servizio per un ente previdenziale per un lungo periodo, dal 2001 al 2014, attraverso una successione di contratti a tempo determinato. Essi hanno sostenuto che i loro incarichi, pur formalmente temporanei, rispondevano in realtà a esigenze stabili e permanenti dell’amministrazione. Di conseguenza, hanno richiesto in giudizio la declaratoria di illegittimità dei contratti e il risarcimento del danno per l’abusivo ricorso a tale forma contrattuale.

La Decisione della Corte d’Appello: Prevalgono le Esigenze della P.A.

La Corte d’Appello, confermando la decisione di primo grado, aveva respinto le richieste dei dirigenti. Secondo i giudici di merito, la particolarità del rapporto dirigenziale, connotato da un forte elemento fiduciario, giustificava un’interpretazione meno rigida delle norme sul lavoro a termine. Inoltre, era stata ritenuta sufficiente, come causa giustificatrice, l’esigenza dell’ente di acquisire professionalità non presenti nel proprio organico, senza che fosse necessario dimostrare un carattere transitorio ed eccezionale delle mansioni. La Corte territoriale aveva anche escluso la violazione della durata minima triennale dell’incarico, ritenendola non applicabile ai dirigenti esterni.

Le Ragioni del Ricorso: Focus sugli abusi degli incarichi dirigenziali a termine

I dirigenti hanno presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Violazione delle norme europee e nazionali: Sostenevano che la Corte d’Appello avesse erroneamente interpretato la normativa (in particolare l’art. 19 del D.Lgs. 165/2001 e la direttiva UE 1999/70/CE), non riconoscendo che la successione di contratti per ben 12 anni per coprire posizioni stabili costituisse un abuso.
2. Necessità di ‘ragioni oggettive’: Secondo i ricorrenti, anche per gli incarichi dirigenziali, ogni rinnovo di un contratto a termine deve essere giustificato da ragioni oggettive, come previsto dalla normativa europea per prevenire il precariato.
3. Violazione della durata minima: Contestavano la legittimità degli ultimi incarichi, di durata inferiore ai tre anni, sostenendo che il limite minimo previsto dalla legge si applicasse a tutti gli incarichi dirigenziali, inclusi quelli conferiti a soggetti esterni.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione non ha emesso una sentenza definitiva, ma un’ordinanza interlocutoria. Riconoscendo l’importanza delle questioni sollevate e la loro rilevanza ‘nomofilattica’ – ossia la necessità di fornire un’interpretazione chiara e uniforme della legge a livello nazionale – ha ritenuto il caso troppo complesso per essere deciso in camera di consiglio. I giudici supremi hanno evidenziato la necessità di valutare attentamente l’applicabilità dei principi della direttiva europea al rapporto dirigenziale pubblico e di chiarire la portata delle norme nazionali sulla durata degli incarichi. La presenza di precedenti giurisprudenziali non perfettamente allineati su casi simili (relativi al Servizio Sanitario Nazionale e agli enti locali) ha ulteriormente convinto il Collegio a optare per una trattazione in pubblica udienza, dove il dibattito potrà essere più ampio e approfondito.

Conclusioni

L’ordinanza della Corte di Cassazione lascia in sospeso il giudizio sul caso specifico, ma segnala l’alta attenzione della giurisprudenza sul tema degli incarichi dirigenziali a termine nel settore pubblico. La futura sentenza, che seguirà alla pubblica udienza, è attesa con grande interesse perché potrebbe stabilire principi fondamentali sulla gestione del personale dirigenziale, bilanciando le necessità operative delle amministrazioni con la tutela dei lavoratori contro l’abuso del lavoro precario.

È possibile per la Pubblica Amministrazione utilizzare una successione di contratti a termine per incarichi dirigenziali che coprono esigenze stabili e permanenti?
L’ordinanza non fornisce una risposta definitiva, ma evidenzia che questo è il cuore della controversia. Mentre le corti di merito lo hanno ritenuto legittimo in base alla natura fiduciaria del ruolo, la Corte di Cassazione ha riconosciuto la complessità della questione e la necessità di un approfondimento in pubblica udienza per stabilire se ciò costituisca un abuso vietato dalla normativa europea e nazionale.

La durata minima di tre anni prevista per gli incarichi dirigenziali si applica anche a quelli conferiti a soggetti esterni alla Pubblica Amministrazione?
Anche questo è un punto controverso che la Corte di Cassazione dovrà chiarire. I ricorrenti sostengono di sì, in base all’art. 19, comma 2, del D.Lgs. 165/2001. La Corte d’Appello ha invece ritenuto applicabile il comma 6 dello stesso articolo, che non fissa una durata minima. La decisione finale su questo punto sarà cruciale per definire le regole di questi incarichi.

Qual è stata la decisione della Corte di Cassazione in questo caso?
La Corte di Cassazione non ha deciso il caso nel merito. Con questa ordinanza interlocutoria, ha disposto il rinvio della causa a una pubblica udienza per una discussione più approfondita, data la particolare importanza delle questioni giuridiche sollevate che richiedono un intervento chiarificatore (funzione nomofilattica).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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