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Incapacità a testimoniare della madre: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7171/2024, ha stabilito che la madre non è affetta da incapacità a testimoniare nella causa promossa dalla figlia maggiorenne contro il padre biologico per il risarcimento dei danni derivanti dal tardivo riconoscimento. La Corte ha chiarito che l’interesse della madre è solo di fatto e non giuridico, non potendo essere chiamata a rispondere in solido per la violazione di obblighi che, nel caso specifico, erano contestati solo al padre. Di conseguenza, è stata cassata la sentenza d’appello che aveva escluso la testimonianza della madre, con rinvio per un nuovo esame del merito.

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Capacità a testimoniare della madre: la Cassazione si pronuncia

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 7171 del 18 marzo 2024, affronta una questione delicata e cruciale nell’ambito del diritto di famiglia e processuale: l’incapacità a testimoniare della madre in una causa intentata dalla figlia maggiorenne contro il padre biologico. La pronuncia chiarisce i confini dell’interesse che rende un teste incapace ai sensi dell’art. 246 c.p.c., distinguendo nettamente tra un interesse giuridico, che legittima la partecipazione al giudizio, e un mero interesse di fatto, che non preclude la testimonianza. Questa decisione ha importanti implicazioni per le azioni di risarcimento del danno da mancato o tardivo riconoscimento di paternità.

I Fatti di Causa: Il Lungo Percorso per il Riconoscimento Paterno

La vicenda giudiziaria ha origine dalla richiesta di una donna, nata nel 1987 in costanza di matrimonio della madre con un altro uomo, di ottenere il risarcimento del danno dal proprio padre biologico. La donna aveva scoperto la vera identità del padre solo nel 2005 e ne aveva ottenuto il riconoscimento formale nel 2012. La figlia citava quindi in giudizio il padre naturale, chiedendo il pagamento di un assegno di mantenimento per il passato e il risarcimento del danno biologico ed esistenziale subito a causa della privazione del rapporto genitoriale.

Il Tribunale di primo grado accoglieva la domanda di risarcimento, condannando il padre al pagamento di una cospicua somma, ritenendo provato che egli fosse a conoscenza della paternità fin dalla nascita della figlia.

La Decisione della Corte d’Appello e l’Incapacità a Testimoniare della Madre

In sede di appello, la decisione veniva ribaltata. La Corte territoriale, accogliendo i motivi del padre, rigettava la domanda di risarcimento del danno. Il punto cruciale della decisione era la valutazione della prova della conoscenza della paternità da parte del padre. La Corte d’Appello riteneva inammissibile, per incapacità a testimoniare ai sensi dell’art. 246 c.p.c., la deposizione della madre della ragazza. Secondo i giudici di secondo grado, la madre era titolare di un interesse personale e concreto alla causa, in quanto coobbligata al mantenimento della figlia e potenzialmente soggetta a un’azione analoga a quella intentata contro il padre. Di conseguenza, privata di quella che era considerata una prova chiave, la Corte concludeva che non vi era dimostrazione della consapevolezza del padre e, pertanto, nessun illecito endofamiliare risarcibile.

Le Motivazioni della Cassazione: Quando la Madre Può Testimoniare?

La Suprema Corte ha accolto il ricorso della figlia, cassando la sentenza d’appello. Il ragionamento dei giudici di legittimità si concentra sulla corretta interpretazione dell’art. 246 c.p.c. L’incapacità a testimoniare sussiste solo quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto che lo legittimerebbe a partecipare al giudizio per far valere un proprio diritto o per contestare quello altrui.

Nel caso specifico, l’oggetto del giudizio era esclusivamente la violazione degli obblighi morali e materiali derivanti dalla filiazione, riferiti al rapporto tra padre e figlia. La domanda della figlia era rivolta unicamente contro il padre, accusandolo di un comportamento omissivo personale. La madre non era stata chiamata in causa, né la figlia le aveva mosso alcuna accusa. Pertanto, l’interesse della madre all’esito del giudizio era, secondo la Cassazione, solo un interesse di fatto, non un interesse giuridico che la legittimasse a intervenire nel processo.

La Corte ha stabilito il seguente principio di diritto: «In tema di incapacità a testimoniare nel processo civile, tale incapacità sussiste quando il teste è titolare di un interesse personale, attuale e concreto, che lo coinvolga nel rapporto controverso […], sicché nel giudizio volto all’accertamento del pregiudizio lamentato dal figlio, oramai maggiorenne, conseguente al consapevole tardivo riconoscimento della paternità da parte del padre biologico, va esclusa l’incapacità a testimoniare dalla madre, ove oggetto del giudizio sia la violazione degli obblighi morali e materiali derivanti dalla filiazione, riferiti esclusivamente al rapporto tra padre e figlio».

Le Conclusioni della Suprema Corte

In conclusione, la Cassazione ha ritenuto errata la decisione della Corte d’Appello di dichiarare la madre incapace di testimoniare. L’eventuale coinvolgimento emotivo o morale della madre non si traduce in un interesse giuridico rilevante ai fini dell’art. 246 c.p.c. quando l’azione è specificamente diretta a sanzionare la condotta di un solo genitore. La sentenza impugnata è stata quindi annullata con rinvio alla Corte d’Appello di Firenze, in diversa composizione, che dovrà riesaminare il caso tenendo conto della testimonianza della madre e applicando il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte.

La madre può testimoniare nella causa intentata dal figlio maggiorenne contro il padre biologico per danni da tardivo riconoscimento?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la madre non è incapace a testimoniare se l’oggetto del giudizio è la violazione degli obblighi morali e materiali riferiti esclusivamente al rapporto tra padre e figlio, poiché il suo è un interesse di fatto e non un interesse giuridico che la legittimerebbe a partecipare al processo come parte.

Che cos’è l’incapacità a testimoniare secondo l’art. 246 c.p.c.?
È la condizione giuridica che impedisce a una persona di testimoniare in un processo se è titolare di un interesse personale, attuale e concreto che potrebbe legittimarla a partecipare al giudizio stesso come parte (attore, convenuto o interventore), per tutelare un proprio diritto.

Qual è la differenza tra interesse giuridico e interesse di fatto ai fini della testimonianza?
L’interesse giuridico è quello che darebbe al teste il diritto di agire o resistere in giudizio per la stessa controversia; questo interesse determina l’incapacità a testimoniare. L’interesse di fatto, invece, è un semplice interesse morale, affettivo o economico all’esito della causa, che non conferisce al soggetto la qualità di ‘parte’ potenziale e quindi non ne esclude la capacità di testimoniare (anche se il giudice ne terrà conto nel valutare l’attendibilità del testimone).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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