Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 18560 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 18560 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 16107/2024 R.G. proposto da:
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro, COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO) che li rappresenta e difende
-ricorrenti-
Contro
COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dagli avvocati NOME (CODICE_FISCALE) NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrenti- avverso il DECRETO di CORTE D’APPELLO di LECCE n. 90/2022 depositata il 18/01/2024.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/05/2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 143, comma 11 del D.lgs. n. 267/2000, il Ministero dell’interno chiedeva l’incandidabilità di COGNOME NOME Vittorio e COGNOME NOME, rispettivamente, ex Sindaco ed ex Presidente del Consiglio comunale di Carovigno, Comune sciolto con decreto del Presidente della Repubblica del 12 gennaio 2021, ai sensi dell’art. 141, comma 1, lettera b), n. 3, del D.lgs. 18 agosto 2000, n. 267. Si deduceva la sussistenza di ingerenza della criminalità organizzata che ha esposto l’amministrazione a pressanti condizionamenti, con un processo penale in corso (operazione RAGIONE_SOCIALE).
Il Tribunale ha respinto il ricorso. Il Ministero ha proposto appello.
La Corte d’appello ha respinto il gravame osservando che il GUP del Tribunale di Lecce, con la sentenza in data 21.1.2022 ha assolto COGNOME e COGNOME dal delitto di concorso esterno nell’associazione mafiosa dei COGNOME, per insussistenza di tale associazione, stante l’assenza negli atti di indagine di qualsiasi legame fra l’attività economica dei COGNOME e l’ipotizzata consorteria mafiosa; altresì il GUP ha ritenuto che «gli elementi acquisiti dall’attività di indagine escludono qualsivoglia collegamento tra gli interessi economici del Saponaro e le decisioni amministrative assunte dagli imputati dopo la loro elezione, anzi, come si è evidenziato, le loro decisioni possono ritenersi decisamente in contrasto con gli interessi economici del Saponaro ».
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Ministero dell’interno affidandosi ad un motivo. COGNOME e COGNOME si sono difesi con contro ricorso ed hanno depositato memoria.
Alla pubblica udienza del 13 maggio 2025 il Procuratore Generale ha concluso per il rigetto del ricorso come da requisitoria scritta e la causa è stata discussa come da verbale.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Preliminarmente si esamina l’eccezione di inammissibilità proposta dai controricorrenti i quali deducono che prima del passaggio in giudicato del provvedimento che dichiari (in ipotesi) l’incandidabilità, sono stati nuovamente eletti nel 2023 quindi « L’intervenuta elezione prima del provvedimento definitivo determina la sopravvenuta carenza di interesse del Ministero ricorrente all’esito del presente giudizio che non potrebbe influire su un’elezione già avvenuta ».
L’eccezione è infondata.
La circostanza che, nonostante la richiesta del Ministero, non vi fosse un provvedimento di declaratoria di incandidabilità passato in giudicato al momento in cui sono state indette le nuove elezioni ha fatto sì che i controricorrenti potessero concorrere ed anche essere eletti, ma non per questo priva di interesse del Ministero a fare accertare la dedotta incandidabilità. L’avvenuta elezione non può considerarsi sanante di una situazione di incandidabilità, che, ove positivamente accertata, la invaliderebbe.
2. -Con il primo e unico motivo del ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 143, comma 11 del D.lgs. 18.8.2000, n. 267 in relazione all’art. 360 (TUEL), comma 1, n. 3 c.p.c. Si lamenta che la Corte d’appello, nel respingere i primi due motivi del reclamo, abbia erroneamente applicato l’art. 143 co. 11 d.lgs. n. 267 del 2000, ritenendo non provati i condizionamenti sull’attività amministrativa o comunque i collegamenti fra i predetti amministratori e la criminalità organizzata di stampo mafioso, in quanto i condizionamenti o i collegamenti ipotizzati sarebbero stati posti in essere da soggetti, sì appartenenti alla criminalità
organizzata, ma dei quali non era stata dimostrata l’appartenenza ad associazioni criminali di stampo mafioso o similari. La Corte d’appello, nell’evidenziare che « nessuno dei due amministratori ha avuto rapporti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare, ma solo con soggetti pluripregiudicati: circostanza questa insufficiente a giustificare il provvedimento impugnato », richiama la sentenza di assoluzione pronunciata dal GUP del Tribunale di Lecce il 21 gennaio 2022. Secondo parte ricorrente ciò sarebbe in contrasto con contrasto con quanto esplicitato dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, con sentenza n. 1747/2015 per la quale l’art. 143, comma 11 del TUEL non richiede che la condotta dell’amministratore integri gli estremi dell’illecito penale di partecipazione ad associazione mafiosa o di concorso esterno nella stessa; perché si verifichi l’incandidabilità alle elezioni rileva la responsabilità dell’amministratore nel grave stato di degrado ammnistrativo che è stato causa di scioglimento del consiglio comunale, quindi, è sufficiente che sussista anche soltanto per colpa dello stesso amministratore, una situazione di cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze esterne e asservita alle pressioni inquinanti delle associazioni presenti sul territorio. Il ricorrente deduce che il giudice di secondo grado ha minimizzato la portata indiziaria di molte delle vicende, illustrate negli atti difensivi, poste a base dello scioglimento dalle quali è emersa una fitta rete di relazioni, dirette ed indirette, nonché di frequentazioni di alcuni amministratori con esponenti della criminalità organizzata e di presenze nelle liste a sostegno della coalizione di soggetti legati ad esponenti della criminalità organizzata. Così facendo il giudice di seconde cure ha ignorato la idoneità dei comportamenti colposi riscontrati negli odierni resistenti a favorire l’ingerenza della consorteria criminale e a consentire la proliferazione degli interessi a questa ricollegabili a
fronte di una pretermissione di controlli in capo a chi aveva l’obbligo di esercitarli.
3. -Il Procuratore Generale, nel concludere per il rigetto del ricorso così si esprime nella sua requisitoria scritta: « se è vero che vi si afferma la sufficienza, ai fini della incandidabilità, della colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta all’ingerenza delle associazioni criminali operanti sul territorio, è altrettanto vero che, per espressa previsione normativa, tali associazioni criminali debbono rivestire le caratteristiche previste dall’art. 416 -bis c.p.; fatto incontrastabilmente escluso dal giudice; l’incandidabilità ha come presupposto che tale associazione mafiosa, o similare, esista».
4. -Il motivo è infondato.
La censura non si confronta adeguatamente con la ragione decisoria.
Il comma 1 dell’art. 143 d.lgs. n. 267 del 2000 (TUEL) dispone che « Fuori dai casi previsti dall’articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell’articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.»
Come precisato dalle sezioni unite di questa Corte, il procedimento giurisdizionale per la dichiarazione di incandidabilità
ex art. 143, è autonomo rispetto a quello penale, e diversi ne sono i presupposti, in quanto la misura interdittiva elettorale non richiede che la condotta dell’amministratore dell’ente locale integri gli estremi del reato di partecipazione ad associazione mafiosa o concorso esterno nella stessa, essendo sufficiente che egli sia stato in colpa nella cattiva gestione della cosa pubblica, aperta alle ingerenze e alle pressioni delle associazioni criminali operanti sul territorio (Cass., Sez. U, n. 1747 del 30/01/2015).
In sede di dichiarazione di incandidabilità non si discute della sussistenza del reato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, ma di ingerenze inquinanti delle associazioni criminali capaci di asservire l’amministrazione comunale ai loro interessi, il che giustifica da un lato lo scioglimento del consiglio comunale, dall’altro la sanzione di incandidabilità temporanea degli amministratori che con le loro condotte hanno dato causa allo scioglimento.
Vi è però differenza tra il fatto materiale della esistenza sul territorio di associazioni criminali di tipo mafioso, protese anche ad inquinare l’andamento della amministrazione comunale e l’accertamento che uno o più amministratori non siano stati in grado di impedire le infiltrazioni criminali.
Come osserva il Procuratore Generale, per espressa previsione normativa, tali associazioni criminali debbono rivestire le caratteristiche previste dall’art. 416 -bis c.p.; fatto qui incontrastabilmente escluso dal giudice penale, deputato ad accertare il fatto; l’incandidabilità ha come presupposto che emergano « concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all’articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi …» e il giudice penale ha escluso, con riferimento al caso di specie, che ricorresse un’
associazione mafiosa, stante l’assenza negli atti di indagine di qualsiasi legame fra l’attività economica dei COGNOME e l’ipotizzata consorteria mafiosa.
La Corte d’appello non ha escluso l’incandidabilità per avere (erroneamente) ritenuto necessario che, ai fini della applicazione dell’art. 143 del TUEL si dovesse accertare che gli amministratori fossero concorrenti nel reato, ma rilevando che, pur se essi avevano frequentazioni e contatti con i pregiudicati, non si trattava, per come emerso dagli atti del processo penale, di organizzazioni criminali di stampo mafioso, ed in tal senso ha correttamente interpretato l’art. 143 del TUEL nella sua attuale formulazione.
La dichiarazione di incandidabilità deriva dall’accertamento che l’amministratore, pur non concorrendo nel reato, di fatto ‘ non sia riuscito a contrastare efficacemente ingerenze e pressioni delle organizzazioni criminali operanti nel territorio ‘ (Cass. 8056/2022) quindi è necessario che vi sia una organizzazione criminale operante con metodo mafioso, e cioè avvalendosi della forza intimidatrice del vincolo qualunque sia la denominazione di esso organizzazione criminale, che eserciti pressioni sull’amministrazione comunale.
Le norme che regolano le cause di esclusione dell’elettorato passivo sono da interpretarsi in senso stretto poiché costituiscono una eccezione alla regola dell’esercizio di un diritto fondamentale (Corte Cost 141/1996); l’articolo 143 del TUEL risponde alla specifica finalità di escludere dalla amministrazione candidatura gli amministratori che non hanno resistito ai condizionamenti di tipo mafioso (Cass. 3024/2019) e non ad altro genere di condizionamento, fermo restando le sanzioni penali e la responsabilità civile derivante da cattiva gestione della cosa pubblica o anche dalla commissione di reati di altro genere.
Nella specie, il fatto storico della insussistenza di una organizzazione criminale di stampo mafioso operante sul territorio è stato positivamente escluso con sentenza passata in giudicato, sicché non poteva il giudice civile diversamente accertare il fatto.
Né diversamente si trae dalla ordinanza di questa Corte n. 34425/2024, invocata da parte ricorrente, perché relativa al diverso caso di contatti tra amministratori e soggetti pregiudicati che erano stati condannati per reati comuni e non per associazione a delinquere di stampo mafioso; se la sussistenza di una associazione mafiosa non sia stata oggetto di accertamento da parte del giudice penale, il giudice civile è libero di valutare gli elementi portati a sua conoscenza, anche eventualmente diversi da quelli già portati alla attenzione del giudice penale. Diversamente invece se la procedura per la dichiarazione di incandidabilità nasca da una indagine penale che ha portato all’accertamento in positivo della insussistenza della associazione di stampo mafioso asseritamente condizionante, dato di fatto da cui non si può prescindere, atteso che l’art. 143 TUEL richiede espressamente: a) che vi sia una associazione criminale b) che si tratti di associazione di stampo mafioso; c) collegamenti diretti o indiretti degli amministratori con tale organizzazione determinante mala gestio della cosa pubblica.
Oltre a ciò, si deve evidenziare che la Corte d’appello ha valorizzato un altro accertamento in punto di fatto operato dal giudice penale, che aveva escluso qualsivoglia collegamento tra gli interessi economici del soggetto asseritamente condizionante (COGNOME) e le decisioni amministrative assunte dagli imputati, che anzi hanno assunto decisioni in contrasto con gli interessi economici di costui. Le ulteriori censure sul giudizio così formulato della Corte d’appello sono inammissibili in quanto censure di merito.
Ne consegue il rigetto del ricorso. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo in euro 5.000,00 per compensi oltre euro 200,00 per spese non documentabili.
Nulla sul pagamento del doppio contributo unificato, posto che parte ricorrente è una amministrazione statale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alle spese del giudizio in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 5.000,00 per compensi oltre euro 200,00 per spese non documentabili, rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 13/05/2025.