Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12236 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12236 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13284/2024 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso da ll’ Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale allegata al ricorso
– ricorrente
–
contro
MINISTERO dell’ INTERNO, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato (NUMERO_DOCUMENTO
– controricorrente –
avverso il decreto della Corte d’appello di Catania n. 926/2024 depositato il 6/3/2024;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/2/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Catania, con decreto in data 31 maggio 2023, dichiarava l’insussistenza dei presupposti di incandidabilità previsti dall’art. 143 d. lgs. 267/2000 nei confronti di NOME COGNOME, ex sindaco del Comune di Calatabiano.
La Corte d’appello di Catania, a seguito del reclamo presentato dal Ministero dell’Interno, ravvisava, invece, tali
presupposti e dichiarava NOME COGNOME incandidabile ai sensi dell’art. 143, comma 11, d. lgs. 267/2000.
La Corte distrettuale, in particolare, rilevava che l’Intelisano non si era limitato a favorire il mantenimento di rapporti di lavoro tra la società affidataria del servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani nel Comune di Calatabiano ed alcuni soggetti pregiudicati, ma, proprio in ragione dei rapporti personali intrattenuti con tali soggetti, riconosciuti come appartenenti a una consorteria mafiosa della zona, aveva favorito il mantenimento dell’affida mento del servizio in proroga alla società per cui gli stessi lavoravano in cambio del loro appoggio elettorale, contribuendo in questo modo a determinare una chiara alterazione della formazione della volontà dell’amministrazione comunale e, nel contempo, a realizzare un’infiltrazione del clan nel settore i n questione.
Constatava , inoltre, che l’Intelisano aveva affidato la gestione di un parcheggio comunale ad associazioni locali di volontariato i cui membri, almeno in parte, risultavano collegati con la locale criminalità organizzata, per essere stati arrestati per reati di mafia oppure per essere stretti congiunti di affiliati, e che avevano commesso numerose irregolarità, perseguendo un proprio scopo di lucro ed anche retribuendo i cc.dd. ‘volontari’ .
Riteneva che in questo modo il sindaco avesse tenuto una condotta « inefficiente, disattenta ed opaca », idonea a riflettersi « sulla cattiva gestione della cosa pubblica », dato che il sistema prescelto non solo era stato caratterizzato da un’estrema inefficienza, ma aveva pure costituito il mezzo attraverso il quale appartenenti alla locale criminalità organizzata si erano ingeriti nell’espletamento di servizi pubblici anche acquisendo ampie possibilità di maneggio di denaro destinato alle casse del Comune.
Osservava che, malgrado l’Intelisano fosse stato assolto dalle accuse di concorso esterno in associazione e voto di scambio politicomafioso, il fatto (accertato in sede penale) che il medesimo fosse,
all’inizio degli anni 2000, « soggetto che manteneva rapporti di familiarità con appartenenti di spicco di una consorteria mafiosa, gradito quale sindaco al capo di essa ed a altri affiliati, destinatario di aspettative di comportamento che non ledessero gli interessi del clan, e disponibile ad agevolare, entro i limiti della propria discrezionalità politica, talune delle persone ad esso vicine » rientrava nel paradigma della situazione in presenza della quale l’art. 143 d. lgs. 267/2000 imponeva la declaratoria di incandidabilità dell’amministratore.
Sottolineava, infine, che i fatti esaminati nel processo penale si saldavano con le vicende più recenti e valevano a dare loro una plausibile spiegazione, dimostrando come l’Intelisano, collocandosi nell’ambito di una linea di continuità pluriennale di rapporti, avess e inteso agevolare soggetti affiliati o vicini a un clan mafioso.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione di questo decreto, pubblicato in data 6 marzo 2024, prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso il Ministero dell’Interno.
Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso, nel denunciare la violazione e falsa applicazione dell’art. 143 d. lgs. 267/2000, sostiene, quanto ai rapporti intrattenuti dall’Intelisano con i tre dipendenti della società incaricata della raccolta dei rifiuti solidi urbani, che il reclamato, allegando alla memoria di replica l’intera comparsa di costituzione in primo grado, aveva ripreso gli argomenti svolti avanti al tribunale, così come aveva contestato la valenza probatoria delle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia.
Il motivo assume, quanto alla gestione del parcheggio comunale, che la proposta di affidare la gestione del parcheggio alle associazioni
non era stata formulata dall’COGNOME, ma dalla segretaria comunale dell’epoca.
La censura aggiunge infine, quanto alla valorizzazione della sentenza di assoluzione dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio politico-mafioso, che la dichiarazione di incandidabilità dell’amministratore non poteva conseguire in via automatica dallo scioglimento del consiglio comunale, ma doveva trovare fondamento ne ll’accertamento di concreti, univoci e rilevanti elementi di collegamento, diretto o indiretto, con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori, ovvero su forme di condizionamento degli stessi ad opera della medesima criminalità.
Non poteva concorrere a dimostrare questi elementi la sentenza di assoluzione resa in sede penale per vicende risalenti alla fine degli anni Novanta, che non potevano essere messe, in alcun modo, in relazione con le sindacature dell’Intelisano, risalenti a l 2012 e al 2017.
5. Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, non evidenzia alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, deducendo un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e ponendo un problema interpretativo della stessa, ma esprime u n mero dissenso rispetto all’apprezzamento di fatto compiuto dalla Corte di merito all’esito dell’esame de lla congerie istruttoria, apprezzamento che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte.
In questo modo la censura in esame deduce, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dalla Corte distrettuale, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito (cfr. Cass. 5987/2021, Cass.,
Sez. U., 34476/2019, Cass. 29404/2017, Cass. 19547/2017, Cass. 16056/2016).
Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. e sostiene che, una volta accolto il ricorso, la decisione impugnata deve essere di conseguenza riformata anche in punto di spese di lite.
Il motivo è inammissibile.
Esso, infatti, non muove alcuna critica alla statuizione impugnata, come il ricorso per cassazione deve necessariamente fare, ma si limita ad auspicare che dall’accoglimento del ricorso conseguano gli effetti di cui all’art. 336 cod. proc. civ..
In virtù delle ragioni sopra illustrate il ricorso deve essere
dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in € 5.000 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 11 febbraio 2025.