Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 26307 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 26307 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 09/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 24888-2021 proposto da:
NOME, NOME COGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che li rappresenta e difende unitamente agli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ , domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica de i propri difensori, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonché contro
Oggetto
VENDITA
Prelazione agraria termine per esercitare il diritto – Inammissibilità del ricorso
R.G.N. 24888NUMERO_DOCUMENTO2021
COGNOME.
Rep.
Ud. 02/05/2024
Adunanza camerale
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ , domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
– controricorrente –
e contro
COGNOME NOMENOME domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa da ll’AVV_NOTAIO COGNOME;
– controricorrente –
e nei riguardi di
NOME COGNOME;
– intimato –
Avverso la sentenza n. 4070/2021 d ella Corte d’appello di Roma, depositata in data 04/06/2021;
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale in data 02/05/2024 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME e NOME COGNOME ricorrono, sulla base di quattro motivi, per la cassazione della sentenza n. 4071/21, del 4 giugno 2021, della Corte d’appello di Roma, che respingendone il gravame avverso la sentenza n. 661/14, del 28 maggio 2014, del Tribunale di Viterbo -ha rigettato la domanda di retratto agrario dagli stessi proposta nei confronti delle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, ‘RAGIONE_SOCIALE e ‘RAGIONE_SOCIALE COGNOME), nonché di NOME COGNOME.
Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti di essere coltivatori diretti e proprietari di fondi rustici ubicati nei Comuni di Ronciglione e Sutri, confinanti con quello posto in vendita dalla società RAGIONE_SOCIALE.
Essendo stato loro trasmesso -il 20 maggio 2009 -il contratto preliminare di compravendita, concluso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, ricevuta dalla promittente venditrice, il successivo 9 giugno, la dichiarazione dei COGNOME di voler esercitare il diritto di prelazione, si stabilivano ripetuti contatti tra le parti anche in ragione del fatto che il bene alienando risultava gravato da pignoramento in favore di istituto bancario. Incaricato un notaio, alla fine del mese di luglio, della redazione del rogito, le parti concordavano che la stipulazione sarebbe avvenuta nel mese di settembre, salvo, però, scoprire i promissari acquirenti che -in data 16 settembre 2009 -la promittente venditrice, società RAGIONE_SOCIALE, aveva frazionato lo stesso, trasferendone la maggior porzione ad RAGIONE_SOCIALE e la restante parte, consistente in una striscia di terreno confinante con la loro proprietà, alla COGNOME, invocando, in questo caso, una finalità transattiva.
Lamentando la nullità, e comunque l’inefficacia, dell’intera operazione negoziale, in quanto volta ad eludere il loro diritto di prelazione, i COGNOME adivano l’autorità giudiziaria per esercitare il diritto di retratto in relazione all’intero bene, chiedendo , in via di subordine, affermarsi la responsabilità della venditrice per l’inadempimento degli obblighi di alienazione su di essa gravanti, nonché la responsabilità extracontrattuale di RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE per induzione e/o concorso nell’inademp imento.
La loro domanda, tuttavia, veniva respinta dall’adito giudicante, sul presupposto che entro tre mesi dall’esercizio del diritto di prelazione (ovvero, dal 9 giugno 2009), essi avrebbero dovuto provvedere -ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 26
maggio 1965, n. 590 -al pagamento del prezzo, ciò che non era, invece, avvenuto.
Esperito gravame dagli attori soccombenti, il giudice d’appello lo respingeva.
Avverso la sentenza della Corte capitolina hanno proposto ricorso per cassazione i COGNOME, sulla base -come detto -di quattro motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione o falsa applicazione dell’art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590 e dell’art. 7 della legge 14 agosto 1971, n. 817.
I ricorrenti censurano la sentenza impugnata per non aver considerato che il termine trimestrale per il pagamento del prezzo di acquisto decorre non dall’esercizio della prelazione (e, dunque, nella specie, dal 9 giugno 2009), bensì -a norma del suddetto comma 6 dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 ‘dal trentesimo giorno dell’avvenuta notifica da parte del proprietario’, risalente, nell’ipotesi che occupa, al 20 maggio 2020. Di conseguenza, prima che scadesse il termine trimestrale per il pagamento del prezzo, la società RAGIONE_SOCIALE, con le vendite del 16 settembre 2009 in favore di RAGIONE_SOCIALE e della COGNOME, aveva reso impossibile il pagamento del prezzo.
3.2. Il secondo motivo denuncia -sempre ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione o falsa applicazione degli artt. 1359 e 1460 cod. civ.
In particolare, la prima di tali norme risulterebbe violata perché la condizione alla quale l’art. 8, comma 6, della legge n. 590 del 1965 subordina la definitività dell’acquisto in capo al prelazionario (il pagamento del prezzo) non si è verificata per
causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario all’avveramento della condizione, ‘postasi nell’impossibilità di trasferire agli aventi diritto ciò che aveva ormai (illegittimamente ed anzi fraudolentemente) trasferito a terzi’.
La violazione, invece, della seconda delle due norme deriverebbe dal fatto che il rifiuto di un contraente (nel caso in esame, i COGNOME) di eseguire la propria prestazione ‘è perfettamente legittimo se giustificato, come nella specie, dalla circostanza che l’altra parte non ha adempiuto ovvero il che è lo stesso -si è posta nella condizione di non poter adempiere’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -nullità della sentenza e del procedimento per omesso esame dei motivi di appello, segnatamente di quelli con i quali gli odierni ricorrenti avevano lamentato la nullità ex art. 1344 cod. civ. della complessiva operazione negoziale realizzata dalla società venditrice, giacché finalizzata ad eludere il loro diritto di prelazione, con conseguente violazione di una norma di ordine pubblico.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e/o falsa applicazione, sotto altro profilo, dell’art. 8 della legge n. 590 del 1965 e dell’art. 7 della legge n. 817 del 1971, nonché degli artt. 1175, 1176, 1218, 1337, 1375 e 2043 cod. civ.
Si censura la sentenza impugnata perché il rifiuto di vagliare i profili illustrati con il motivo precedente si traduce in violazione delle norme richiamate in rubrica, e segnatamente:
-gli artt. 8 della legge n. 590 del 1965 e 7 della legge n. 817 del 1971, giacché nella sentenza impugnata si coglie la fuorviante conclusione che, pendente il termine riservato al prelazionario per
il pagamento del prezzo, l’alienante può alterare la situazione, frammentando il fondo e trasferendolo a terzi;
-gli artt. 1175 e 1176 cod. civ., per essersi la venditrice resa inadempiente agli obblighi legali di correttezza e buona fede;
-l’art. 1218, per essere stato volato l’obbligo di RAGIONE_SOCIALE di trasferire ai prelazionari la proprietà del fondo sul quale avevano esercitato il loro diritto;
-gli artt. 1337 e 1375 cod. civ., attesa l’evidente malafede della venditrice in ogni fase dell’operazione negoziale;
-l’art. 2043 cod. civ., per avere tutte le convenute dolosamente e fraudolentemente infranto il precetto del neminem laedere .
Hanno resistito all’avversaria impugnazione, con tre distinti controricorsi, le società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nonché NOME COGNOME chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
È rimasto solo intimato NOME COGNOME, anch’egli prelazionario.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
I ricorrenti e tutte le controricorrenti hanno depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile, per una pluralità di ragioni.
9.1. In via preliminare deve osservarsi che esso non rispetta la prescrizione di cui all’art. 366, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., dato che l’esposizione del fatto è totalmente carente, atteso che i ricorrenti omettono di riferire, sebbene sommariamente, le difese dei convenuti, le ragioni della pronuncia di primo grado, le difese degli appellati.
Invero, questa Corte ha più volte affermato che quello della esposizione sommaria dei fatti di causa, ponendosi quale specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una narrazione idonea garantire al giudice di legittimità ‘di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia ed oggetto di impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata’ (Cass. Sez. Un., sent. 18 maggio 2006, n. 11653, Rv. 58876001). Peraltro, la prescrizione di tale requisito ‘risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato’ (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2003 n. 2602, Rv. 560622-01), con la conseguenza che, perché possa ritenersi soddisfatto il requisito ‘ de quo ‘ occorre che il ricorso per cassazione rechi ‘l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito’
(Cass. Sez. 6-3, ord. 3 febbraio 2015, n. 1926, Rv. 634266-01; in senso analogo pure Cass. Sez. 3, ord. 9 marzo 2018, n. 5640, Rv. 648290-01 e Cass. Sez. 1, ord. 3 novembre 2020, n. 24432, Rv. 659427-01).
Resta inteso, poi, che il requisito di ammissibilità del ricorso di cui alla richiamata previsione normativa ‘deve essere assolto necessariamente con il ricorso e non può essere ricavato da altri atti, quali la sentenza impugnata o il controricorso, perché la causa di inammissibilità non può essere trattata come una causa di nullità cui applicare il criterio del raggiungimento dello scopo, peraltro, riferibile ad un unico atto’ (Cass. Sez. 6 -3, ord. 22 settembre 2016, n. 18623, Rv. 642617-01).
Infine, un diverso esito -rispetto a quello sopra indicato -neppure potrebbe giustificarsi alla stregua del principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 111, commi 1 e 2, Cost. e alle fonti sovranazionali in materia di ‘giusto processo’.
Si è evidenziato, invero, da parte di questa Corte come ‘la stessa giurisprudenza della Corte E.D.U. 28 ottobre 2021, ricorso n. 55064/11 e altri 2Succi e altri contro Italia’, abbia di recente chiarito ‘che la ricostruita lettura del « principe d’autonomie du pourvoi en cassation », ovvero dell’art. 366, cod. proc. civ., e in questo caso del numero 3 del primo comma, «garantisce un utilizzo appropriato e più efficace delle risorse disponibili» dall’amministrazione della giustizia, quale conformata dalle nor me nazionali e dal diritto vivente a fronte delle domande ad essa rivolte’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 14 marzo 2022, n. 8117, Rv. 664252-01).
Su tali basi, dunque, si è rimarcato come ‘tale approccio sia attinente alla natura stessa del ricorso per cassazione che protegge, da una parte, l’interesse del ricorrente a che siano accolte le sue critiche contro la decisione impugnata e, dall’altra, l ‘interesse generale alla cassazione di una decisione che rischi di
pregiudicare la corretta interpretazione del diritto’, sicché, anche nell’ottica della Corte EDU, ‘in applicazione del principio di specificità del ricorso per cassazione, ai fini del rispetto del requisito stabilito dall’art. 366, n. 3, cod. proc. civ., d ebbono essere precisate e riferite, con chiara sintesi idoneamente funzionale a elidere dubbi di comprensione, le pretese quali svolte nelle fasi di merito, e le risposte date dai precedenti giudici, così da poter apprezzare la concludenza delle censure a quelle risposte’ (cfr., nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 8117 del 2022, cit .).
9.2. Ciò premesso, il Collegio rileva che se ne fosse possibile l’esame, i singoli motivi di ricorso sarebbero da dire inammissibili.
9.2.1. Quanto, in particolare, al primo motivo, deve rilevarsi come la motivazione della sentenza, fatto oggetto di critica attraverso di esso, non esprima affatto la violazione della norma indicata nel motivo stesso.
Invero, la censura parrebbe inizialmente lamentare che la Corte territoriale abbia, erroneamente, ritenuto mancante il pagamento del prezzo da parte di essi COGNOME, senza considerare che tale pagamento non aveva ragion d’essere perché ‘l’alienante aveva dismesso la proprietà in favore di terzi e essendosi quindi posta nell’impossibilità di soddisfare l’interesse dei prelazionari’; il motivo, però, nel suo svolgimento, assume altra direzione, addebitando ad ambo i giudici di merito di aver ‘ negato ai titolari della prelazione di pagare il prezzo fino all’ultimo giorno loro concesso dalla norma stessa ‘ (cfr. pag. 9 del ricorso). Senonché, fermo restando che la censura diventa, in questo modo, diversa da quella che si sarebbe dovuta enunciare, un simile assunto risulta privo di qualsiasi correlazione con la motivazione, che si è limitata a registrare il mancato pagamento del prezzo, senza
esaminare il problema della giustificazione di tale contegno, questione che pure si dice prospettata con l’ atto di appello (cfr. pag. 7 del ricorso). Ne consegue, pertanto, che parte ricorrente avrebbe dovuto denunciare, al più, omessa pronuncia sull’ipotetico motivo di appello formulato, provvedendo, però, ad esporne il contenuto, ciò che non risulta avvenuto, donde la sussistenza di un ulteriore profilo di inammissibilità (cfr. Cass. Sez. 3, ord. 7 giugno 2023, n. 16028, Rv. 667816-02).
La censura, pertanto, finisce con il rivolgersi verso un’affermazione ‘immaginaria’, non contenuta nella sentenza impugnata, risolvendosi, così, in un ‘non motivo’.
Sul punto, infatti, occorre ribadire che il motivo di ricorso ‘è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, l a decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo’, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione ‘tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.’ (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in
motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01).
9.2.2. Pure il secondo motivo è inammissibile.
Esso, per vero, prospetta questioni -la riconducibilità del contegno della promittente venditrice alla previsione di cui all’art. 1359 cod. civ. e quello dei prelazionari al disposto dell’art. 1460 cod. civ. -non presenti nella sentenza impugnata, delle quali, pertanto, si sarebbe dovuto denunciare, anche in questo caso, l’omesso esame se non l’omessa pronuncia sugli ipotetici motivi di appello che le avrebbero riguardate.
Di qui, pertanto, la necessità di dare seguito al principio secondo cui, ‘ove una determinata questione giuridica che implichi un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare « ex actis » la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa’ (Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02).
9.2.3. Il terzo motivo è , anch’esso, inammissibile.
Nella specie , non è dato riscontrare alcuna ‘omessa pronuncia’, ricorrendo, piuttosto, l’ipotesi del cd. ‘assorbimento improprio’, sussistente ‘quando la decisione assorbente esclude la necessità o la possibilità di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande’, sicché ‘l’assorbimento non comporta un’omissione di pronuncia (se non
in senso formale) in quanto, in realtà, la decisione assorbente permette di ravvisare la decisione implicita anche sulle questioni assorbite, la cui motivazione è proprio quella dell’assorbimento, per cui, ove si escluda, rispetto ad una certa questione proposta, la correttezza della valutazione di assorbimento, avendo questa costituito l’unica motivazione della decisione assunta, ne risulta il vizio di motivazione del tutto omessa’ (Cass. Sez. 1, ord. 12 novembre 2018, n. 28995, Rv. 651580-01; in senso analogo Cass Sez. Lav., sent. 22 giugno 2020, n. 12193, Rv. 658099-01).
9.2.4. Le stesse ragioni da ultimo illustrate comportano l’inammissibilità pure del quarto motivo.
In relazione ad esso, tuttavia, non ci può esimere dal rilevarne pure il difetto di specificità, se è vero che ‘l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura’, non solo ‘di indicare le n orme di legge di cui intende lamentare la violazione’, ma anche ciò che nella specie non è accaduto -‘di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare -con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa’ (Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01).
10. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza, essendo pertanto poste a carico dei ricorrenti e liquidate come da dispositivo.
Non sussistono i presupposti per applicare l’art. 96, comma 3, cod. proc. civ., come da richiesta della controricorrente società RAGIONE_SOCIALE.
11.1. Va premesso, invero, che lo scopo di tale norma è quello di sanzionare una condotta ‘oggettivamente valutabile alla stregua di «abuso del processo»’ (‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 3, sent. 30 marzo 2018, n. 7901, Rv. 648311-01; Cass. Sez. 2, sent. 21 novembre 2017, n. 27623, Rv. 646080-01), e, dunque, nel giudizio di legittimità, di uso indebito dello strumento impugnatorio. Siffatta evenienza, tuttavia, è stata ravvisata in casi – a nessuno dei quali può ricondursi quello presente, almeno in relazione a tutte le censure formulate – o di vera e propria ‘giuridica insostenibilità’ del ricorso (Cass. Sez. 3, sent. 14 ottobre 2016, n. 20732, Rv. 642925-01), ‘non essendo sufficiente la mera infondatezza, anche manifesta, delle tesi prospettate’ con lo stesso (così, Cass. Sez. Un., sent. 20 aprile 2018, n. 9912, Rv. 648130-02), ovvero in presenza di altre condotte processuali – al pari indicative dello ‘sviamento del sistema giurisdizionale dai suoi fini istituzionali’, e suscettibili, come tali, di determinare ‘un ingiustificato aumento del contenzioso’, così ostacolando ‘la ragionevole durata dei processi pendenti e il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione’ – quali ‘la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia o, ancora, fondato sulla deduzione del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., ove sia applicabile, « ratione temporis », l’art. 348ter , comma 5, cod.
proc. civ., che ne esclude l’invocabilità’ (Cass. Sez. 3, ord. 30 aprile 2018, n. 10327, Rv. 648432-01).
A carico dei ricorrenti, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando NOME COGNOME e NOME COGNOME a rifondere, alle società RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, nonché a NOME COGNOME, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate per ognuna di esse € 5.000 ,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 2 maggio 2024.
Il Presidente NOME COGNOME