Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 8649 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 8649 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 01/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso 31042-2021 proposto da:
NOME, NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura Centrale dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 143/2021 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 11/05/2021 R.G.N. 654/2019;
Oggetto
Previdenza
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud.17/01/2025
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17/01/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
RILEVATO IN FATTO
che, con sentenza depositata l’11.5.2021, la Corte d’appello di Firenze ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva rigettato la domanda con cui NOME e NOME, lamentando che l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE avesse disposto la loro cancellazione dalla Gestione mezz adri e l’iscrizione nella Gestione coltivatori diretti sulla scorta di una sentenza con cui il Tribunale di Grosseto aveva dichiarato la nullità di un contratto di mezzadria precorso con tale NOME COGNOME, avevano chiesto dichiararsi l’illegittimità di tale iscrizione, anche per violazione della legge n. 241/1990, e il ripristino della situazione quo ante , anche ex art. 8, d.P.R. n. 818/1957, con condanna dell’ente previdenziale al risarcimento dei danni;
che avverso tale pronuncia NOME NOME NOME hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo nove motivi di censura;
che l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE ha depositato delega in calce al ricorso notificato; che, chiamata la causa all’adunanza camerale del 17.1.2025, il Collegio ha riservato il deposito dell’ordinanza nel termine di giorni sessanta (articolo 380bis .1, comma 2°, c.p.c.);
CONSIDERATO IN DIRITTO
che, con il primo motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa interpretazione degli artt. 115, 184, 244, 253 e 421 c.p.c., nonché violazione del principio dispositivo, per avere i giudici di merito deciso la controversia sulla scorta di un’indagine istruttoria autonoma consistita nell’audizione di un funzionario dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE del tutto avulsa dai capitoli di prova testimoniale che erano stati dedotti dall’ente previdenziale;
che, con il secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione degli artt. 210 e 213 c.p.c. per essersi i giudici di merito avvalsi in modo irrituale della prova testimoniale per introdurre nell’istruttoria informazioni scritte, atti e documenti al di là de lle ipotesi previste dall’ordine di esibizione alla parte e dalla richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione;
che, con il terzo motivo, i ricorrenti si dolgono di violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 62 c.p.c. per avere i giudici territoriali basato la propria decisione sulla deposizione del predetto funzionario, ancorché questi non potesse essere considerato né un testimone né un consulente tecnico;
che, con il quarto motivo, i ricorrenti deducono violazione degli artt. 112 e 132 c.p.c. per non avere la Corte di merito esaminato le doglianze dell’appello concernenti la violazione della legge sul procedimento amministrativo;
che, con il quinto motivo, i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione dell’art. 8, d.P.R. n. 818/1957, e dell’art. 132 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ritenuto che il principio secondo cui, decorsi cinque anni dal versamento, i contributi rimangono definitivamente acquisiti alla gestione presso la quale sono stati versati, si applica anche alle gestioni dei lavoratori autonomi;
che, con il sesto motivo, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. per avere la Corte di merito ritenuto che il precorso giudizio tra loro e il concedente COGNOME avesse rilevanza anche nei confronti dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE;
che, con il settimo motivo, i ricorrenti si dolgono che i giudici di merito non abbiano compensato le spese di lite per non aver ritenuto applicabile l’art. 152 att. c.p.c.;
che, con l’ottavo motivo, i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 17, l. n. 228/2012, per avere la
Corte territoriale disposto l’obbligo a loro carico di pagare il raddoppio del contributo unificato, ancorché nessuna condanna sia in tal senso possibile da parte del giudice;
che, con il nono motivo, i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 91 c.p.c. e 152 att. c.p.c. per avere la Corte di merito statuito la condanna alle spese legali in loro danno nonostante che l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE fosse stato assistito in entrambi in gradi del giudi zio da funzionari suoi dipendenti;
che i primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in considerazione della stretta connessione delle censure, e sono inammissibili ex art. 360bis , n. 1, c.p.c., essendo consolidato il principio di diritto secondo cui gli ampi poteri di cui dispone il giudice del lavoro ex art. 421, comma 2°, c.p.c. ben possono consentirgli di ammettere di ufficio prove dirette a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie ritualmente acquisite agli atti del giudizio (cfr., tra le numerose, Cass. nn. 28021 del 2013, 18924 del 2012, 2379 del 2007, 8220 del 2003);
che il terzo motivo è del pari inammissibile, atteso che giudizio di attendibilità, sufficienza e congruenza delle testimonianze si colloca interamente nell’ambito della valutazione delle prove che è estranea al giudizio di legittimità (cfr. per tutte Cass. n. 25166 del 2019);
che egualmente inammissibile è il quarto motivo, avendo la sentenza impugnata rilevato la ‘genericità delle doglianze degli appellanti sui vizi e sulle relative conseguenze’ della ‘asserita illegittimità, in violazione della l. n. 241/1990, del procedimento amministrativo avviato dall’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE all’indomani della sentenza che aveva dichiarato la nullità del contratto di mezzadria’ e non rinvenendosi nel ricorso per cassazione né alcuna trascrizione, per la parte d’interesse, del ricorso in appello, né alcuna
indicazione del luogo processuale in cui esso, in atto, si troverebbe, in spregio al disposto di cui all’art. 366 nn. 4 e 6 c.p.c.;
che parimenti inammissibile, ex art. 360bis , n. 1, c.p.c., è il quinto motivo, essendo consolidato il principio di diritto secondo cui la disposizione contenuta nell’art. 8, d.P.R. n. 818/1957 (secondo la quale debbono essere accreditati agli effetti del diritto alle prestazioni assicurative i contributi indebitamente versati allorché l’accertamento dell’indebito versamento intervenga dopo oltre cinque anni) ha carattere eccezionale e presuppone sempre, per la sua applicabilità, l’esistenza di un valido rapporto di assicurazione generale obbligatoria con l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, onde essa non può essere invocata al di fuori della possibilità di istituire regolarmente o protrarre legittimamente un tale rapporto (presupponente a sua volta la sussistenza di un rapporto di lavo ro assicurabile in detta forma), quand’anche abbia avuto luogo per qualsiasi causa un versamento di contributi all’indicato istituto (Cass. n. 13919 del 2001, cui hanno dato seguito, tra le più recenti, Cass. nn. 15079 del 2008, 64 del 2009 e 18314 del 2019);
che altrettanto inammissibile, ex art. 360bis , n. 1, c.p.c., è il sesto motivo, essendo del pari consolidato il principio di diritto secondo cui ben può l’ente previdenziale avvalersi di giudicati inter alios che abbiano accertato la sussistenza e/o l’insussistenza di presupposti di fatto rilevanti per l’obbligazione contributiva (cfr. Cass. n. 2137 del 2014 e, più di recente, Cass. n. 1328 del 2025);
che il settimo motivo è parimenti inammissibile, non potendo la decisione giudiziale di non compensare le spese essere censurata per cassazione (Cass. n. 24502 del 2017 e, da ult., Cass. n. 20904 del 2023);
che non meno inammissibile è l’ottavo motivo, difettando l’interesse ad impugnare una pronuncia che non reca alcuna condanna al pagamento dell’ulteriore somma a titolo di contributo unificato, ma semplicemente dà atto, in ragione della reiezione dell’appel lo, che ne sussistono i presupposti processuali (cfr. ult. pag. della sentenza impugnata);
che inammissibile, infine, è il nono motivo, atteso che la qualità di dipendenti dell’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE dei difensori dell’RAGIONE_SOCIALE nei gradi di merito è questione di fatto di cui la sentenza nulla dice e, non precisando il ricorso quando e come essa sarebbe stata veicolata nei gradi di merito, non può essere per la prima volta proposta in questa sede di legittimità (così, fra le più recenti, Cass. n. 32804 del 2019);
che il ricorso, conclusivamente, va dichiarato inammissibile, nulla statuendosi sulle spese di lite per non avere l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE svolto alcuna apprezzabile attività difensiva al di là del deposito della procura in calce al ricorso notificatogli;
che , in considerazione della declaratoria d’inammissibilità del ricorso, va dichiarata la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso;
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale del 17.1.2025.