Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 11499 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 11499 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 01/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18423/2021 R.G. proposto da :
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOMECOGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., elettivamente domiciliate in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l e rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME COGNOME;
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MILANO n. 180/2021 depositata il 22/03/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 07/02/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME con atto di citazione per querela di falso ha convenuto in giudizio, dinanzi al Tribunale di Milano, RAGIONE_SOCIALE Rappresentanza Generale per l’Italia e RAGIONE_SOCIALE
Ha contestato la validità di alcuni documenti utilizzati in un precedente giudizio, in cui era stata riconosciuta la giusta causa del suo licenziamento da parte della compagnia. Quest’ultima aveva risolto il rapporto di agenzia imputandogli gravi inadempimenti, tra cui: a) la falsificazione, da parte dei suoi subagenti (sui quali avrebbe dovuto vigilare), degli attestati di rischio relativi a circa 600 polizze; b) la stipulazione di contratti assicurativi al di fuori della sua area di competenza.
COGNOME ha quindi richiesto che il Tribunale dichiarasse la falsità del contratto di agenzia; del verbale del 10 gennaio 2000, relativo al rilascio dei documenti attestanti il suo incarico agenziale; delle sottoscrizioni delle 600 polizze contestate.
Tutti questi documenti erano stati utilizzati nel giudizio precedente, che aveva già sancito la legittimità del recesso da parte della compagnia con efficacia di giudicato.
Con il deposito di una successiva «comparsa di intervento», quindi, COGNOME chiese fosse dichiarata la falsità dei 600 attestati di
rischio prodotti dalle convenute società nel procedimento precedentemente instaurato.
Con sentenza n. 168272016, il Tribunale di Milano ha rigettato tutte le domande;
Con sentenza n. 4752/2018, la Corte d’ Appello di Milano ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME ritenendo inammissibile per sua formulazione il motivo di impugnazione relativo alla falsità del contratto di agenzia, nonché inammissibile per difetto di interesse la querela di falso proposta per le 600 polizze e, quanto della falsità dei relativi 600 attestati di rischio, l’irritualità della proposizione della relativa domanda;
Il 6 maggio 2019, NOME COGNOME ha proposto impugnazione per revocazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Milano, sostenendo che il giudice di secondo grado aveva erroneamente ritenuto mancanti nel fascicolo processuale numerosi documenti che, invece, erano stati regolarmente prodotti. Secondo COGNOME, tale errore percettivo avrebbe inciso in maniera determinante sull’esito del giudizio d’appello, rendendo la decisione erronea.
3.1. Tuttavia, con sentenza n. 1280 del 22 aprile 2021, la Corte d’Appello di Milano ha dichiarato inammissibile il ricorso per revocazione, ritenendo che: a) la sentenza impugnata si basasse su vizi strutturali dell’atto di appello e sull’originaria inammissibilità della querela di falso; b) l’asserita lacuna documentale non avesse avuto alcun effetto causale sul rigetto dell’appello, configurandosi al più come un obiter dictum (affermazione non determinante ai fini della decisione); c) mancasse un nesso diretto e chiaro tra l’errore di fatto lamentato e la decisione adottata.
Per tali motivi, la corte ha dichiarato inammissibile la revocazione.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il COGNOME propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi, illustrati da memoria.
RAGIONE_SOCIALERappresentanza generale per l’Italia e RAGIONE_SOCIALE resist ono con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
5.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 395 n. 4, del c.p.c., in relazione all’art. 360 cpc, n.4, e travisamento del fatto. Si duole che la corte di merito abbia dichiarato inammissibile il ricorso basando la propria motivazione sul fatto che: a) la sentenza impugnata si basasse su vizi strutturali dell’atto di appello e sull’originaria inammissibilità della querela di falso; b) l’asserita lacuna documentale non avesse avuto alcun effetto causale sul rigetto dell’appello, configurandosi al più come un obiter dictum (affermazione non determinante ai fini della decisione); c) mancasse un nesso diretto e chiaro tra l’errore di fatto lamentato e la decisione adottata.
5.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 395 n. 4, del c.p.c., in relazione all’art. 360 cpc, n. 5, e travisamento del fatto.
Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto che, a causa della tardività della nota di trattazione scritta contenente la rassegna delle sue conclusioni, le istanze di sospensione e rimessione in istruttoria formulate nel corso del procedimento e sulle quali il giudice si era riservato di pronunciare in sede di decisione, dovessero considerarsi rinunciate o, in ogni caso, assorbite nella decisione finale.
Lamenta che la corte di merito ha erroneamente: a) escluso l’ammissibilità della revocazione ordinaria e della domanda nel merito, in assenza di prove o senza ammettere le prove richieste dall’appellante sia in primo grado che in secondo grado, e successivamente riproposte e reiterate nella fase di revocazione; b) non ammesso i mezzi istruttori richiesti, pur avendo riservato la decisione su di essi al momento della pronuncia finale, dovendo
invece valutarli per accertare la fondatezza della querela di falso principale; c) erroneamente interpretato il successivo invito a precisare le conclusioni, considerando tale atto come una rinuncia implicita ai mezzi istruttori, quando invece essi non erano stati né espressamente rinunciati né formalmente rigettati.
Secondo COGNOME la Corte avrebbe dovuto ammettere e valutare le prove prima di pronunciarsi sulla fondatezza della querela di falso, anziché dichiararle implicitamente assorbite o rinunciate.
5.3. Con il terzo motivo denuncia ‘violazione e falsa applicazione dell’art. 91 e dell’art. 96 del c.p.c., in relazione all’art. 360 cpc, n.4. C ensura la statuizione con cui la Corte d’Appello lo ha condannato al pagamento di una somma in favore delle controparti, ai sensi dell’art. 96, 3° comma, c.p.c., ritenendo che il giudizio instaurato integrasse un’abusiva reiterazione di iniziative giudiziarie fondate sui medesimi fatti e promosse contro le stesse parti.
Lamenta che la ricostruzione e l’ interpretazione fornite dalla corte d’ appello sono erronee rispetto alla finalità dell’art. 96, 3° comma, c.p.c., impropriamente trasformato in uno strumento di repressione del dissenso giuridico, con compressione del diritto di difesa in assenza di un effettivo intento dilatorio o pretestuoso.
Esclude pertanto che vi sia stata mala fede o colpa grave nel promuovere il giudizio, rivendicando la legittimità della propria iniziativa processuale.
Infine, precisa che la prova testimoniale richiesta non era finalizzata a dimostrare il contenuto di un atto negoziale bilaterale, ma unicamente a provare un fatto storico: la coincidenza temporale tra la redazione del documento e la sottoscrizione, come indice di autenticità dell’atto medesimo.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati per la loro connessione, sono inammissibili.
Essi risultano anzitutto formulati in violazione del requisito a pena d’inammissibilità prescritto all’art. 366, 1° comma n. 6, c.p.c., in quanto non risultano debitamente riportati nel ricorso gli atti e i documento del giudizio di merito posti a fondamento delle mosse censure.
Inoltre, la critica del ricorrente si limita ad un’inammissibile rivalutazione dei fatti e delle prove, già vagliati nei precedenti gradi.
Va al riguardo ribadito che il presupposto necessario per poter configurare la violazione di legge è la deduzione di un’erronea ricognizione, da parte dei giudici di merito, della fattispecie astratta disciplinata dalla norma, da cui deriva quindi un problema di interpretazione della stessa norma. Tutt’altro, nel caso in esame, dove quel che si censura è la pretesa erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che, per sua natura, è esterna alle questioni interpretative della norma, inerendo il potere di valutazione del giudice di merito, notoriamente sottratto al sindacato di legittimità (v., Cass. civ., Sez. III, Ord., 23 febbraio 2024, n. 4955; Cass. civ., Sez. III, Ord., 6 febbraio 2024, n. 3399; Cass. civ., Sez. I, Ord., 15 gennaio 2024, n. 1398; Cass. civ., Sez. I, Ord., 3 novembre 2023, n. 30660; Cass. civ., Sez. I, Ord., 10 ottobre 2023, n. 28369; Cass. civ., Sez. I, Ord., 18 agosto 2023, n. 24820; Cass. civ., Sez. lav., 25 luglio 2023, n. 22391; Cass. civ., Sez. V, Ord., 7 giugno 2023, n. 16134).
Le spese del giudizio di cassazione liquidato come in dispositivo in favore delle controricorrenti, seguono la soccombenza. Va altresì disposta la condanna del ricorrente al pagamento di somma ex art. 96, 3° comma, c.p.c., liquidate come in dispositivo, ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore delle controricorrenti: delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 8.200,00, di cui euro 8.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 8.000,00 ex art. 96, 3 co., c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza