Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18793 Anno 2024
ORDINANZA
sul ricorso N. 13091/2020 R.G. proposto da:
SOCIETÁ RAGIONE_SOCIALE in liq., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che la rappresenta e difende, come da procura in calce al ricorso, domicilio digitale EMAIL
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME (n.q. di erede di NOME NOME), COGNOME NOME (n.q. di erede di NOME NOME), COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso l o studio dell’avv. NOME COGNOME rappresentat i e difesi dall’ avv. NOME COGNOME come da procura allegata al controricorso, domicilio digitale
– controricorrenti –
e contro
CONDOMINIO INDIRIZZO MESSINA, COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME, COGNOME, COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME, COGNOME, RAGIONE_SOCIALE di COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME, COGNOME NOME COGNOME NOME (quali eredi di COGNOME), DI NOME (erede di NOMECOGNOME, COGNOME NOME COGNOME COGNOME (erede di NOME MAGAZZÙ), NOME (erede di NOME MAGAZZÙ), NOME (erede di NOME MAGAZZÙ)
– intimati – avverso la sentenza della Corte d’appello di Messina, n. 957/2019, depositata il 23.12.2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10.4.2024 dal Consigliere relatore dr. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Dopo aver chiesto al Presidente del Tribunale di Messina un ATP e all’esito del deposito della relazione del nominato CTU, la Società RAGIONE_SOCIALE convenne in giudizio il Condominio INDIRIZZO di Messina, nonché i singoli condomini, chiedendone la condanna all’indennizzo o al risarcimento del danno da illegittima occupazione di 17 posti auto, in tesi abusivamente fruiti dai singoli condomini sin dalla avvenuta costruzione dell’edificio, negli anni ’70, benché detti parcheggi fossero rimasti nell’esclusiva p roprietà di essa società costruttrice. L’adito Tribunale di Messina, con ordinanza
ex art. 702quater c.p.c. emessa il 30.10.2007, rigettò le domande attoree, regolando le spese. La società propose gravame e, con sentenza del 23.12.2019, la Corte d’appello di Messina costituitisi soltanto il Condominio e alcuni condomini – lo accolse solo parzialmente con riguardo al regolamento delle spese, rigettandolo nel resto. Osservò il giudice d’appello che la società appellante non poteva dolersi della mancata conversione nel rito ordinario dinanzi al Tribunale, posto che non aveva prospettato alcuna attività istruttoria da compiersi (oltre a quanto già documentato con la depositata relazione di ATP); che i posti auto effettivamente di proprietà della società appellante erano 13 (e non 17); che la domanda attorea non poteva essere accolta anzitutto perché il danno da occupazione sine titulo non può considerarsi in re ipsa , ma dev’essere allegato e provato dal preteso danneggiato (benché anche per presunzioni); che tanto nella specie doveva ritenersi escluso, quantomeno fino al 14.1.2013, stante il sostanziale abbandono dell’area da parte della società (solo in data 14.1.2013 essa aveva infatti individuato e attribuito ai condomini le specifiche aree loro spettanti giusta i titoli contrattuali); che però, la domanda proposta in questo giudizio inequivocabilmente si collocava temporalmente, quale dies ad quem , fino al 2011 (epoca dello svolgimento dell’ATP), non essendo stato chiesto alcunché per il periodo successivo, sicché non era possibile indagare oltre, pena la violazione del principio della domanda e della devoluzione in appello; che, in considerazione della legittimazione passiva assorbente del Condominio, si giustificava comunque l’integrale compensazione delle spese di entrambi i gradi di merito tra la società appellante e tutti i singoli condomini,
restando a carico dell’appellante le spese del doppio grado in favore del Condominio, oltre a quelle di ATP.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione la RAGIONE_SOCIALE in liq., sulla base di due motivi, cui resistono con controricorso NOME COGNOME e altri. I restanti intimati non hanno svolto difese. Le parti costituite hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 -Con il primo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2055 c.c., nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. La ricorrente si duole della statuizione della Corte peloritana, là dove questa avrebbe ritenuto non configurabile il danno da illegittima occupazione dei posti auto in re ipsa , giacché il danno era stato provato con la relazione di ATP; censura poi la decisione d’appello in relazione al dies a quo , in quanto essa società aveva già promosso una causa circa trent’anni prima, con esito vittorioso , risultando dunque aberrante collocare il termine iniziale solo dal 14.1.2013, come appunto ritenuto dalla Corte territoriale.
1.2 -Con il secondo motivo, si denuncia la violazione e falsa degli artt. 91 e 92 c.p.c., relativamente alle spese di lite, nonché omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5, c.p.c. Rileva la ricorrente che l’estensione del contraddittorio a tutti i condomini era stata chiesta dal Condominio convenuto, che così aveva costretto essa società
ad affrontare le relative spese, sicché non poteva giustificarsi la condanna alle spese del giudizio così come disposta dalla Corte d’appello.
2.1 -Il ricorso è inammissibile per plurime ragioni.
2.2 -Anzitutto, lo è per violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. (nel testo applicabile ratione temporis ).
La società ricorrente ha articolato le proprie doglianze avverso la sentenza della Corte messinese, con una simile tecnica espositiva: a) si omette di individuare i fatti costitutivi della domanda ex art. 702bis c.p.c., tali non potendosi considerare nemmeno i riferimenti che si fanno fino a p. 8, i quali riferiscono solo dell’ATP; b) si riportano, alle pp. 9-10, solo le conclusioni rassegnate al giudice di primo grado; c) si omette di riferire il tenore delle difese svolte da chi si era costituito; d) si omette di riferire le ragioni della decisione di primo grado, riportandosi solo il dispositivo, nonché le ragioni dell’appello ; e) si espone il contenuto della sentenza impugnata in modo talmente laconico che non è possibile comprendere il senso delle censure svolte, rispetto al decisum : e1) che l’appello della società sia stato accolto solo sulle spese lo si può solo desumere a contrario (senza che in ricorso ne siano spiegate neppure le ragioni), tanto da rendere incomprensibile il senso del secondo motivo; e2) che la C orte d’appello abbia individuato , quale limite temporale della domanda, l’anno 2011, è questione pressoché incomprensibile, per come prospettata in ricorso, sicché risulta indispensabile, ai fini della intellegibilità della censura avanzata col primo motivo, la lettura della sentenza e dello stesso controricorso; f) ancora, nel corpo del primo motivo, si fa riferimento ad un precedente giudizio tra le parti, che
dovrebbe -in tesi -rilevare ai fini della soluzione del presente, in quanto conclusosi con esito favorevole per la ricorrente: tuttavia, la società non si cura di fornire la benché minima informazione financo sull’oggetto di detto giudizio .
2.3 -Ora, è appena il caso di precisare che il giudizio di cassazione è un giudizio impugnatorio a critica vincolata, in cui il ricorrente deve rivolgersi alla Corte individuando uno o più specifici vizi di legittimità -che, in tesi, affliggono la decisione impugnata -scegliendoli dal novero di quelli elencati dall ‘ art. 360, comma 1, e nel rispetto, tra l ‘ altro, dei requisiti di contenuto-forma di cui agli artt. 365 e 366 c.p.c.
2.4.1 -In particolare, l’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., nel testo vigente ratione temporis, prevede che il ricorso debba contenere, a pena di inammissibilità, ‘ l’esposizione sommaria dei fatti di causa ‘ (in generale si veda, anche per richiami, Cass. n. 15445/2023); al riguardo, deve anzitutto evidenziarsi che, secondo ormai consolidata giurisprudenza, il fatto deve intendersi nella duplice accezione di fatto sostanziale (ossia, quanto concernente le reciproche pretese delle parti) e processuale (relativo, cioè, a quanto accaduto nel corso del giudizio, alle domande ed eccezioni formulate dalle parti, ai provvedimenti adottati dal giudice, ecc. – v. Cass. n. 1959/2004). Quanto poi alla sommarietà che, secondo la norma in esame, deve caratterizzare l’esposizione, è costante l’insegnamento secondo cui ‘ Per soddisfare il requisito imposto dall ‘ articolo 366 comma primo n. 3 cod. proc. civ. il ricorso per cassazione deve contenere l ‘ esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con
i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamente erronea, compiuta dal giudice di merito ‘ ( così, Cass. n. 7825/2006; Cass. n. 1926/2015) .
La funzione cui assolve il requisito in parola è ben riassunta da Cass. n. 593/2013, laddove si afferma (in motivazione) che esso ‘ serve alla Corte di cassazione per percepire con una certa immediatezza il fatto sostanziale e lo svolgimento del fatto processuale e, quindi, acquisire l ‘ indispensabile conoscenza, sia pure sommaria, del processo, in modo da poter procedere alla lettura dei motivi di ricorso in maniera da comprenderne il senso ‘ .
Inoltre, ai fini della sanzione dell’inammissibilità, non può distinguersi tra esposizione del tutto omessa o meramente insufficiente (così la già citata Cass. n. 1959/2004), occorrendo precisare che, come più recentemente affermato, il ricorso deve considerarsi inammissibile per insufficiente esposizione, ai sensi dell ‘ art. 366, co. 1, n. 3, c.p.c., quando ‘ non consente alla Corte di valutare se la questione sia ancora ‘ viva ‘ o meno ‘ (così, Cass. n. 1296/2017, in motivazione), ossia se dalla mera lettura del ricorso possa evincersi se i motivi di impugnazione proposti siano ancora spendibili, ovvero preclusi dalla formazione del giudicato interno.
Ancora assai di recente, con riguardo al testo previgente della citata disposizione processuale (che è qui applicabile), è stato anche affermato che ‘ Il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. – secondo cui il ricorso per cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti di causa non risponde ad un’esigenza di mero formalismo, bensì a consentire alla S.C. di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde, gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti; per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata ‘ (Cass. n. 1352/2024).
2.4.2 -Ora, così inquadrate le più significative pronunce sul tema in discorso -anche al lume della più recente giurisprudenza sovranazionale (Corte EDU, sentenza 28.10.2021, Succi c. Italia ), nella lettura datane da questa stessa Corte (Cass., Sez. Un., n. 8950/2022; e cfr. pure Cass. n. 12481/2022) -ritiene la Corte che la ricorrente sia evidentemente incorsa in una inadeguata esposizione tale da rendere il ricorso inservibile al suo scopo di introdurre validamente il giudizio di legittimità, avendo adottato una tecnica espositiva (già descritta
supra ) che rende di fatto impossibile la comprensione delle censure, senza acquisire aliunde le necessarie informazioni: ora nella sentenza impugnata, ora nel controricorso . Da qui, dunque, l’inammissibilità del ricorso.
2.5.1 -Le singole censure, poi, sono vieppiù inammissibili per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c. (su cui si veda ancora in generale, anche per richiami, la citata Cass. n. 15445/2023).
Infatti, quanto al primo motivo, è del tutto evidente che la ricorrente non ha colto la ratio decidendi dell’impugnata sentenza. La Corte peloritana, infatti, ha evidenziato che la società non aveva offerto alcuna prova del danno, stante il sostanziale abbandono delle aree (in tesi, abusivamente occupate dai condomini) almeno fino al gennaio 2013, epoca in cui aveva finalmente provveduto ad assegnare specificamente a ciascun condomino le singole aree destinate a parcheggio. Pertanto, ha concluso la Corte territoriale, poiché i danni rivendicati dalla società erano stati quantificati fino al l’anno 2011, essi non potevano affatto riconoscersi.
Ora, la ricorrente non si confronta affatto con la suddetta ratio decidendi, perché si limita a ribadire che i danni da essa subiti erano stati dimostrati con il deposito della relazione di ATP e con l’accertata occupazione dei parcheggi , fermo restando che il danno stesso, in subiecta materia , deve ritenersi sussistente in re ipsa .
In proposito, premesso che tale ultimo assunto risulta smentito dalla più recente giurisprudenza nomofilattica (Cass., Sez. Un., n. 33645/2022), occorre evidenziare che nulla (se non l’aggettivazione della decisione sul punto della
delimitazione temporale del danno come ‘aberrante’) viene dedotto dalla società per confutare il percorso decisionale seguito dal giudice d’appello, evidentemente (e dichiaratamente) fondato sul principio della domanda e su quello della devoluzione in appello . Da qui, dunque, l’inammissibilità della censura.
2.5.2 Considerazioni in tutto analoghe possono svolgersi con riguardo al secondo motivo, che si presenta del tutto avulso dalla motivazione.
Esso è poi inammissibile per violazione dell’art. 366 , comma 1, n. 6, c.p.c., dato che non si indica il preteso atto fondante, cioè il provvedimento del Tribunale e gradatamente non si chiarisce se e dove era stata contestata l’estensione del contraddittorio.
In ogni caso, la doglianza è pure infondata, là dove ignora che la soccombenza verso il Condominio esiste comunque e semmai il problema delle spese per l’evocazione dei singoli condomini -ipoteticamente non dovuta -avrebbe potuto incidere solo sulla parte delle spese eventualmente relativa. Ma il motivo nulla argomenta sul punto.
2.6 -Infine, per entrambi i motivi, risultano inammissibili le doglianze circa presunti vizi motivazionali avanzate sotto l’insegna del previgente art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che com’è noto è stato modificato nel 2012 (per brevità, si vedano, sul punto, Cass., Sez. Un., nn. 8053 e 8054 del 2014).
Non senza dire che, con specifico riguardo al secondo motivo, la censura ignora che il vizio motivazionale non rileva ai fini della deduzione di violazione di norma del procedimento.
3.1 In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti dei controricorrenti. Nulla va disposto con riguardo ai restanti intimati, che non hanno svolto difese.
In relazione alla data di proposizione del ricorso principale (successiva al 30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P. Q. M.
la Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese di lite , che liquida in € 11.0 00,00 per compensi, oltre € 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n.115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il giorno