Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 28940 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 28940 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 02/11/2025
comunali appartenenti all’Area Tecnico-manutentiva sarebbe comunque cessato anche se il ricorrente non fosse stato sospeso.
Riporta il decreto del Commissario straordinario che nella parte finale prevede la durata per un periodo comunque non superiore alla durata del mandato del commissario, fatto salvo il regime di prorogatio di diritto finché non fosse intervenuta la nuova nomina.
Assume che la nomina alla quale il provvedimento fa riferimento è quella del Sindaco, e non quella di un nuovo e diverso incaricato, e ne trae la conseguenza che l’incarico doveva cessare alla data del 23 giugno 2004, sicché, essendo proseguito, la revoca era dipesa unicamente dalla sospensione cautelare, come evidenziato anche nello stesso provvedimento del 6 maggio 2005.
Argomenta poi sulla disciplina della revoca anticipata delle posizioni organizzative e sostiene che in difetto delle condizioni previste dal contratto l’incarico sarebbe proseguito fino alla scadenza del mandato del nuovo sindaco.
Il motivo è inammissibile.
La Corte territoriale ha interpretato il decreto commissariale di nomina del 5.3.2004 nel senso che la protrazione dell’incarico di responsabile di area tecnica e manutentiva dopo la durata del mandato del Commissario sarebbe avvenuta in regime di prorogatio di diritto fino alla nomina del nuovo responsabile di area tecnica.
La censura, che denuncia solo formalmente e senza nemmeno argomentare, la violazione dei canoni ermeneutici, è tutta incentrata sulla diversa interpretazione dell’atto di conferimento dell’incarico, e sollecita dunque un giudizio di merito attraverso una diversa lettura del decreto commissariale di nomina del 5.3.2004.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di norme di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio o di omessa pronuncia miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un
nuovo, non consentito, terzo grado di merito (vedi, per tutte: Cass. S.U. 27 dicembre 2019, n. 34476 e Cass. 14 aprile 2017, n. 8758).
In particolare, in relazione all’interpretazione del contratto, dell’atto unilaterale ed anche del provvedimento amministrativo, è stato precisato che la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica esige una specifica indicazione in iure , ossia la precisazione delle ragioni giuridiche, non fattuali, per le quali deve essere ravvisata l’anzidetta violazione, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione di un’interpretazione diversa da quella criticata (cfr. fra le più recenti Cass. nn. 946 e 995 del 2021 nonché Cass. n. 28319 del 2017).
L’inammissibilità del terzo motivo assorbe la quarta censura, con la quale il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 27, comma 8, del CCNL Comparto Enti Locali del 22.1.2004, per non avere la Corte territoriale riconosciuto che la restitutio in integrum avrebbe dovuto ricomprendere anche l’indennità di posizione organizzativa e l’indennità di risultato.
Il ricorso va complessivamente rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
10 . Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per parte ricorrente, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
P. Q. M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso spese generali nella misura del 15% e accessori di legge;
dà atto della sussistenza dell’obbligo per parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione, il 14 ottobre 2025.
La Presidente NOME COGNOME