Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 202 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 202 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 04/01/2024
1. E’ impugnata per cassazione l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Roma, rigettandone il gravame, ha respinto tutte le domande proposte dalla RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE ed intese a conseguire, in relazione all’appalto da questa conferitole per la realizzazione di gallerie lungo linea ferroviaria ad Alta Velocità Roma-Napoli, la condanna della COGNOME al pagamento delle riserve formalizzate per anomalo andamento dei lavori, per mancata contabilizzazione di lavorazioni extra contratto, per errata liquidazione delle spettanze contrattuali ed, ancora, al pagamento degli interessi per ritardato pagamento dei compensi e del premio per anticipata consegna dei lavori.
Ricusando il proposto atto di gravame la Corte territoriale ha primamente respinto le doglianze appellanti in punto all’inapplicabilità alla specie delle Condizioni Generali di contratto, previste per le opere ricadenti nel realizzando collegamento ferroviario, in particolare negando, nell’ordine, che l’invalidità di esse fosse stata deliberata dal collegio arbitrale, atteso che questo, già a suo tempo investito della questione, si era limitato a dichiarare solo la propria incompetenza senza pronunciarsi altrimenti sulle clausole in parola; che nel divisarne l’applicabilità alla specie assumesse rilevanza il preteso errore ermeneutico imputato al decidente di prime cure, trattandosi non già di interpretarne il dettato, ma di stabilirne l’efficacia; e che esse fossero soggette ad approvazione specifica a mente degli artt. 1341 e 1341 cod. civ., non essendo destinate a regolare un’indistinta generalità di rapporti, ancorché la loro approvazione fosse stata poi documentata dal contratto.
Ha quindi respinto le doglianze in punto ai pretesi vizi della CTU, giudicando insussistente la pretesa lesione del contraddittorio per non aver il CTU replicato alle osservazioni dei CTP, limitandosi solo a rielaborare in via definitiva l’originario testo della CTU, in quanto il deposito, insieme al testo finale, anche di quello originario e delle relazioni di parte non poteva intendersi quale violazione del principi del contraddittorio e di equidistanza del CTU; le doglianze riferite alla clausola riportata all’art. 17 delle citate Condizioni Generali, disciplinante le modalità di formalizzazione delle riserve, giudicando, queste, rispondenti alla finalità di notiziare tempestivamente il committente ed escludendone la contrarietà con la corrispondente disciplina degli appalti pubblici, anch’essa regolante l’esternazione delle riserve in termini analoghi; le doglianze afferenti alle riserve accampate dall’appellante in relazione all’andamento dei lavori (riserve al gruppo A), a taluni ritardi (riserve del gruppo B) e al mancato pagamento di talune lavorazioni (riserve del gruppo C, del gruppo D e riserve 11, 15 e 24), reputando che le contestazioni sollevate al riguardo in relazione alle analoghe determinazioni adottate dalla sentenza di primo grado non fossero meritevoli di condivisione o perché non fondate o non dimostrate ovvero, ancora, perché del tutto generiche; le doglianze in ordine al preteso ritardo con cui si era proceduto al collaudo, rilevando, a fronte del fatto che l’opera era stata collaudata e fosse da tempo in esercizio, che non era stata allegata la data di rilascio del cantiere e che non era dunque determinabile il dato temporale utilizzato per la quantificazione del danno, escludendo a questo fine che potesse farsi ricorso ad una stima equitativa, giustificabile solo in presenza di un danno accertato; le doglianze circa il mancato riconoscimento dell’indebito arricchimento in relazione alle riserve non accolte, risultando nella specie carente il requisito della sussidiarietà di cui all’art. 2042 cod. civ.
Per la cassazione di detta sentenza la RAGIONE_SOCIALE si affida a diciassette motivi di ricorso seguiti da memoria, cui resiste la COGNOME con controricorso.
Requisitorie scritte del PM che ha concluso per il rigetto del ricorso.
La causa, inizialmente chiamata in trattazione all’adunanza camerale del 17.11.2022, è stata rinviata con ordinanza interlocutoria 12013/23 all’odierna udienza pubblica in considerazione dell’avvenuto fallimento della parte ricorrente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Va dato atto che nel giudizio inizialmente incardinato dalla società in bonis si è costituito, di seguito al suo fallimento, con procura speciale rilasciata dal curatore fallimentare, il RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, sicché il contraddittorio risulta ora costituito, in virtù della successione realizzatasi nel giudizio, tra il Fallimento e COGNOME.
3.1. Ciò detto, i primi tre motivi di ricorso hanno ad oggetto il capo della decisione impugnata che ha ritenuto applicabili nella specie tutte le disposizioni contenute nelle richiamate Condizioni Generali di contratto.
Si sostiene, con il primo motivo, che la Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 2909 cod. civ. poiché l’applicabilità di che trattasi risulta «irrefutabilmente» esclusa dal lodo arbitrale a cui le parti avevano fatto acquiescenza; con il secondo motivo che la Corte d’Appello sarebbe incorsa nell’omesso esame di circostanze decisive ravvisabili nel fatto che, declinando la propria competenza, gli arbitri non si erano limitati a constatare la nullità della clausola compromissoria, ma ne avevano verificato l’estraneità all’assetto negoziale impresso al rapporto, posto che il documento in cui la clausola era presente non poteva ritenersi vincolante, né opponibile alle parti in quanto
privo delle loro sottoscrizioni; con il terzo motivo che la Corte d’Appello sarebbe incorsa nell’omesso esame di circostanze decisive, nonché nella violazione degli artt. 1362, comma 2, e 1366 cod. civ., vero, sotto la prima angolazione, che non si era tenuto conto delle difese di controparte -che in sede arbitrale aveva escluso che l’art. 3 del contratto potesse essere interpretato nel senso di far comunque salva l’applicabilità delle Condizioni Generali di contratto -e, sotto la seconda angolazione, che non si era interpretata la norma in parola alla stregua del comportamento complessivo delle parti.
3.2. Tutti i sopradetti motivi si prestano ad un preliminare rilievo di inammissibilità.
Inammissibile è invero il primo motivo di ricorso, poiché, laddove invoca sic et simpliciter , senza null’altro aggiungere, l’autorità del giudicato discendente dalla pronuncia arbitrale omette di misurarsi con le ragioni della decisione, che ha, al contrario, ritenuto che il giudicato conseguente alla definitività del lodo poteva fare stato solo nei limiti delle affermazioni compiute dagli arbitri, vale a dire solo nei limiti dell’incompetenza dai medesimi dichiarata, escludendo di conseguenza che sulla questione della validità del citato capitolato contrattuale si fosse formato alcun giudicato.
Inammissibili sono perché, primariamente, la specie ricade ratione temporis sotto il vigore dell’art. 348ter , comma 5, cod. proc. civ. il secondo motivo di ricorso e la prima allegazione di cui al terzo motivo di ricorso, posto che la Corte d’Appello nel motivare le ragioni di rigetto del gravame avanti a sè ha reiterato le medesime ragioni già ostese dal giudice di primo grado.
Inammissibile è infine anche la seconda allegazione di cui al terzo motivo perché notoriamente l’attività interpretativa è compito
riservato al giudice di merito ed integra un accertamento di fatto insuscettibile di controllo in questa sede.
4.1. Il quarto ed il quinto motivo di ricorso hanno ad oggetto il capo della decisione impugnata che ha ritenuto applicabili nella specie tutte le disposizioni vessatorie contenute nelle richiamate Condizioni Generali di contratto, ivi compreso l’art. 17.
Si sostiene, con il quarto motivo di ricorso, che la Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. in quanto nel motivare il rigetto del motivo di gravame concernente il difetto di specifica approvazione delle clausole vessatorie contenute nel richiamato capitolato di contratto, ed, in particolare, tra esse, dell’art. 17, ha citato a proprio conforto un precedente non esattamente afferente al caso in disamina, così incorrendo in un vizio di motivazione apparente; con il quinto motivo di ricorso, che la Corte d’Appello avrebbe violato gli artt. 1341 e 1342 cod. civ., poiché nel giudicare vincolanti le citate Condizioni Generali di contratto non avrebbe «dato peso» al secondo comma dell’art. 1341 cod. civ., che esclude categoricamente la possibilità di ritenere vincolanti le clausole vessatorie.
4.2. Anche i predetti motivi, esaminabili congiuntamente in quanto strettamente avvinti, sono affetti da pregiudiziale inammissibilità.
Ne è, per vero, evidente il difetto di specificità poiché entrambi omettono di confrontarsi con le ragioni della decisione, posto che la vincolatività riconosciuta alle condizioni contrattuali -e dunque anche a quelle ipoteticamente vessatorie, secondo la ricorrente -trova nella motivazione del giudice d’appello anche la diversa giustificazione che alle pagg. 30 e 31 del contratto di appalto le clausole in parola avevano formato oggetto di specifica approvazione da parte del contraente, di talché, conclude il giudice di appello,
anche la previsione contenuta nell’art. 17 è stata fatta oggetto di specifica approvazione, ratio , questa, non oggetto di censura.
5.1. Il sesto ed il settimo motivo di ricorso hanno ad oggetto il capo della decisione impugnata con cui è stata disattesa l’eccezione di nullità della CTU e l’istanza intesa alla sua rinnovazione.
Si sostiene, con il sesto motivo di ricorso, che la Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. 118 disp. att. cod. in quanto, nel motivare il rigetto del motivo di gravame concernente la denunciata nullità della CTU per le irregolarità commesse dal CTU, avrebbe dovuto esporre le ragioni per le quali a suo avviso, le circostanze a tale riguardo rappresentante nei propri scritti difensivi dalla deducente non fossero state ritenute rilevanti; con il settimo motivo di ricorso, che il processo sarebbe infirmato da nullità perché la Corte d’Appello, non disponendo la rinnovazione della CTU, non avrebbe posto riparo alla dedotta violazione del contraddittorio.
5.2. Il sesto motivo di ricorso non ha pregio.
E’ principio saldamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte che «al fine di adempiere all’obbligo della motivazione, il giudice del merito non è tenuto a valutare singolarmente tutte le risultanze processuali ed a confutare tutte le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo aver vagliato le une e le altre nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il proprio convincimento, dovendosi ritenere disattesi, per implicito, tutti gli altri rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata» (Cass., Sez. I, 15/04/2011, n. 8767).
Nel caso di specie il decidente del grado si è esattamente attenuto a questo insegnamento perché, una volta recepite le contestazioni
della parte in ordine alle modalità di espletamento dell’ufficio peritale, ha conclusivamente ritenuto che non risultassero perciò lesi né il principio del contraddittorio né quello della terzietà del consulente, con ciò assolvendo puntualmente il mandato motivazionale.
5.3. Il settimo motivo di ricorso è invece inammissibile ancora per difetto di specificità poiché non si confronta con le ragioni della decisione, avendo questa esclusa la pretesa violazione del contraddittorio sulla considerazione, rispetto alla quale la doglianza qui in disamina resta del tutto estranea, che «non determina una violazione dei principi del contraddittorio e della equidistanza del CTU dalle parti, la riformulazione dell’elaborato in risposta ai quesiti, una volta che sia stata resa disponibile al giudice anche la relazione originariamente inviata alle parti, e quindi tutti i passaggi seguiti dal consulente per giungere ad una modifica o ad una conferma delle proprie conclusioni, alla luce delle osservazioni delle parti».
6.1. L’ottavo motivo di ricorso ha ad oggetto il capo della decisione impugnata attinente all’interpretazione del già ricordato art. 17 delle Condizioni Generali di contratto.
Si sostiene, con il detto motivo, che la Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ. non spiegando, se non a mezzo di un giudizio immotivato o affetto da un vizio di motivazione apparente, come le modalità di esternazione delle riserve disciplinate dalla richiamata norma negoziale potessero rendersi compatibili con la contabilizzazione dei lavori, posto che le riserve debbono essere iscritte all’atto della presentazione del SAL corrispondente ai lavori “riservati” e non all’atto del SAL precedente, a nulla rilevando il ritardo nella presentazione dei SAL.
6.2. Premesso che la declinata doglianza, come rettamente annotato dal decidente del grado, non si allinea al principio di tempestività che governa la materia in guisa del quale l’iscrizione della riserva va effettuata appena il fatto lesivo risulta percepibile con la normale diligenza, consentendosi solo in successivo tempo la quantificazione delle relative ragioni, il motivo è in ogni caso affetto da un preliminare vizio di inammissibilità, vuoi, perché le categorie giuridiche qui azionate della mancanza di motivazione e della motivazione apparente sono richiamate in modo inappropriato -il giudizio censurato è accompagnato da una motivazione, che in disparte dall’adesione o meno al suo contenuto, risulta congrua ed adeguata -vuoi perché la censura evidenzia al più un vizio logico della decisione -sicché esso sfugge al vaglio richiesto per la riduzione al minimo costituzionale del controllo di legittimità sulla motivazione -vuoi, infine, perché esso esprime solo un disaccordo motivazione che non è denunciabile in questa sede.
7.1. Il nono, il decimo, l’undicesimo e il dodicesimo motivo hanno ad oggetto il capo della decisione impugnata con cui sono state disattese le pretese esternate dalla ricorrente con riferimento alle riserve del gruppo A.
Si sostiene, con il nono motivo, che la Corte d’Appello, esaminando le riserve 1, 2 e 3 di questo gruppo e rigettandole, avrebbe violato i principi dell’ermeneutica contrattuale rendendo un’interpretazione dell’art. 18 del contratto applicato nella specie contrario alla lettera di esso, alla comune intenzione delle parti e alla sua finalità; con il decimo motivo, che la Corte d’Appello, esaminando la riserva 4 e rigettandola, avrebbe violato l’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., poiché, nel ritenere che il motivo a tal fine sollevato avanti a sé non avesse alcuna attinenza al dictum tribunalizio, avrebbe espresso un giudizio immotivato ed arbitrario,
non spiegando, a fronte delle ragioni sviluppate al riguardo nell’atto di appello, perché non fosse possibile coglierne il contenuto critico; con l’undicesimo motivo, che la Corte d’Appello, esaminando le riserve 10, 12 e 16 di questo gruppo e rigettandole sul presupposto che i diritti riguardo ad essi erano stati rinunciati dalla ricorrente ai sensi dell’art. 1664 cod. civ., avrebbe violato i criteri dell’ermeneutica contrattuale in quanto trattandosi di appalto a misura «la disposizione non può essere interpretata ( rectius forzata) sino al punto di sostenere che la rinuncia dell’Appaltatore si sia estesa anche (addirittura) al corrispettivo delle maggiori lavorazioni “effettivamente” eseguite»; con il dodicesimo motivo, che la Corte d’Appello, esaminando tali ultime riserve e rigettandole sul presupposto che della loro riferibilità al rischio geologico, avrebbe violato l’art. 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., perché nel motivare nei riferiti termini, avrebbe espresso un giudizio immotivato ed arbitrario, non esponendo in base a quali fatti i convincimenti esternati si potessero giustificare.
7.2. Tutti i sopradetti motivi si prestano ad un comune rilievo di inammissibilità.
Inammissibili sono, intanto, le censure formulate con riferimento ai principi o ai canoni dell’ermeneutica contrattuale (nono ed undicesimo motivo) a cagione della loro evidente genericità e, segnatamente, -in disparte dalla considerazione che la doglianza ermeneutica declinata con l’undicesimo motivo sembrerebbe riguardare l’interpretazione di una norma di legge se la locuzione “disposizione” che vi compare senza altri dettagli è da intendersi riferita all’art. 1664 cod. civ. poco prima citato -per totale negligenza dello statuto di censurabilità per cassazione dell’errore ermeneutico, che postula, notoriamente, la chiara indicazione del
canone interpretativo violato, nonché del punto e del modo in cui ne sarebbe avvenuta la violazione da parte della sentenza impugnata.
Inammissibili sono, poi, le doglianze di ordine motivazionale (decimo e dodicesimo) non incrociando esse categorie giuridiche aventi una qualche rilevanza cassatoria ed incarnando, al più, la vuota espressione di un dissenso argomentativo non denunciabile in questa sede.
8.1. Il tredicesimo motivo di ricorso ha ad oggetto il capo della decisione impugnata con cui è stata disattesa la pretesa esternata dalla ricorrente con riferimento alla riserva del gruppo B.
Si sostiene che la Corte d’Appello avrebbe violato gli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. e sarebbe, altresì, incorsa nell’omessa considerazione dei rilievi a tal riguardo contenuti nell’atto di appello, perché, esaminando la riserva 9, l’unica di questo gruppo, e rigettandola, aveva condiviso il conclusivo responso del CTU insieme alle conformi determinazioni del giudice di prima istanza in ordine alla mancata prova della relativa pretesa, ancorché le conclusioni sul punto del CTU si dovessero ritenere abnormi e non si fosse tenuto conto delle allegazioni documentali a tal fine operate dalla ricorrente e della mancata contestazioni di esse da parte della COGNOME.
8.2. Tutte le censure emergenti dal motivo in disamina non meritano seguito.
Non la prima (abnormità della CTU), per vero, poiché il fatto che la Corte d’Appello abbia sposato le conclusioni del CTU, già condivise dal Tribunale, in punto alla mancanza di prova della riserva in discussione è ordinaria espressione del sindacato decisorio affidato al giudice della controversia, sicché in ciò non è ravvisabile alcun aspetto di abnormità che si comunichi alla decisione per aver
condiviso solo una delle rationes decidendi valorizzate dal giudice di prime cure, e la doglianza ancora una volta si mostra afflitta da un evidente difetto di specificità che ne preclude lo scrutinio richiesto; non la seconda (omesso esame di argomentazioni o fatti decisivi), poiché la statuizione, nel primo caso, non è censurabile per quanto già si è innanzi precisato circa l’obbligo del giudice di esaminare tutte le difese della parte, nel secondo finisce sotto la preclusione dell’art. 348ter , comma 5, cod. proc. civ.; non la terza (non contestazione), non allineandosi essa al contenuto della decisione sul punto, ove si è, di contro al rilievo, annotato che «la COGNOME ha esteso la contestazione nel merito per difetto di prova a tutte le maggiori pretese economiche della impresa fatte oggetto di riserve».
9.1. Il quattordicesimo motivo ha ad oggetto il capo della decisione impugnata con cui sono state disattese le pretese esternate dalla ricorrente con riferimento alle riserve dei gruppi C e D.
Si sostiene che la Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., poiché, esaminando le riserve di cui ai predetti gruppi e rigettandole perché intempestive, aveva a tal riguardo rilevato che la corrispondente censura era «priva di riferimento specifico a ciascuna riserva e alla statuizione che lo riguardava», esprimendo in tal modo un giudizio immotivato ed arbitrario, non spiegando, cioè, con il detto motivo, a fronte delle ragioni sviluppate al riguardo nell’atto di appello, perché non fosse possibile coglierne il contenuto critico.
9.2. Il motivo è inammissibile, primamente perché privo di autosufficienza, giacché non si riproducono le argomentazioni sviluppate nell’atto di appello in guisa delle quali, il giudizio in questione risulterebbe immotivato ed arbitrario; poi, perché la doglianza non incrocia categorie giuridiche aventi una qualche
rilevanza cassatoria; ed infine perché essa è al più espressione di un dissenso argomentativo non denunciabile in questa sede.
10.1. Il quindicesimo motivo di ricorso ha ad oggetto il capo della decisione impugnata con cui sono state disattese le pretese esternate dalla ricorrente con riferimento alla riserve 11, 15 e 24.
Si sostiene che la Corte d’Appello avrebbe violato l’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., poiché, esaminando le riserve in parola e rigettandole, sulla base della CTU, perché generiche, avrebbe ignorato la «sorprendente» modifica a cui aveva dato luogo sul punto il CTU nel passare dalla relazione in bozza alla relazione definitiva, nonché le argomentazioni difensive svolte dalla ricorrente a riprova del proprio assunto.
10.2. Il motivo è inammissibile.
Esso, laddove critica gli esiti della CTU e l’adesione prestatavi dai decidenti di merito, oblitera manifestamente i principi che governano il contraddittorio processuale e lamenta come anomalia insanabile ciò che è null’altro che fisiologico sviluppo del confronto dialettico che ha luogo nel processo, non costituendo, all’evidenza un fatto esecrabile che il CTU, confrontando la propria iniziale opinione con quella dei CTP, possa aver modificato il proprio iniziale pensiero, in questo senso dovendo per l’appunto intendersi la scansione procedurale delineata dall’art. 195 cod. proc. civ. Il motivo, poi, manca di specificità poiché si limita a richiamare, senza neanche assolvere l’onere dell’autosufficienza, le medesime ragioni di difesa che non hanno impedito al decidente del grado di esprimersi nei termini qui censurati. Infine, non diversamente da quanto già si è osservato per l’innanzi, incarna l’espressione di un mero dissenso motivazionale che non trova alcun riscontro cassatorio e non è perciò denunciabile in questa sede.
11.1. Il sedicesimo motivo di ricorso ha ad oggetto il capo della decisione impugnata con cui è stata disattesa la pretesa esternata dalla ricorrente con riferimento ai maggiori oneri sostenuti a causa del mancato collaudo dell’opera.
Si sostiene che la Corte d’Appello, rigettando la doglianza sul punto, sarebbe pervenuta ad una conclusione arbitraria ed irrazionale, posto che, pur riconoscendo il danno ne avrebbe tuttavia negato la risarcibilità, asserendo che sarebbe stato complicato procedere alla sua liquidazione.
11.2. Il motivo è inammissibile.
Anche per esso vale rilevare previamente il vizio di specificità con lo infirma, non confrontandosi minimamente con le ragioni che hanno indotto la Corte d’Appello a negare la fondatezza della pretesa. Ragioni che non attengono al profilo qui denunciato, bensì, da un lato, al rilievo, in fatto, non censurato dalla ricorrente, che del danno non vi era prova non essendo stata provata la data di rilascio del cantiere -«con ciò intendendosi evidenziare», registra la sentenza, «che non è suffragato da alcun elemento probatorio il dato temporale utilizzato nella quantificazione del danno» -; e, dall’altro, alla considerazioni in diritto che la liquidazione del danno anche ai sensi dell’art. 1226 cod. civ. ne presuppone l’esistenza, nonché la prova, in difetto del che non è perciò riconoscibile alcuna provvidenza risarcitoria.
12.1. Il diciassettesimo motivo di ricorso ha ad oggetto il capo della decisione impugnata con cui è stata disattesa la pretesa esternata dalla ricorrente in punto alla responsabilità per indebito arricchimento della controparte in relazione alle riserve disconosciute da costei, ma riconosciute in suo favore dalla stazione appaltante.
Si sostiene che la Corte d’Appello, rigettando la doglianza sul punto, avrebbe violato l’art. 2042 cod. civ. e sarebbe incorsa nell’omesso esame di un fatto decisivo, vero, al contrario di quanto da essa affermato, che il fatto legittimante la pretesa in parola era per l’appunto rinvenibile nell’arricchimento conseguito dalla COGNOME per le riserve da essa disconosciute, ma concernenti lavorazioni per le quali la COGNOME era stata comunque compensata dalla stazione appaltante.
12.2. Premesso che quanto alla denuncia di omesso esame di un fatto decisivo, vige, a tacer d’altro, come si è detto per l’innanzi la preclusione in ogni caso dell’art. 348ter , comma 5, cod. proc. civ., la doglianza in diritto si mostra ancora una volta priva di specificità omettendo di confrontarsi con le ragioni della decisione, che ha infatti, al fine di giustificare il rigetto della pretesa sul punto, fatto leva sul radicamento negoziale della domanda ricorrente, in tal modo escludendo, per il difetto del requisito della sussidiarietà ai sensi dell’art. 2042 cod. civ., la tutelabilità di essa a mente dell’art. 2041 cod. civ. Né, per vero, è appena il caso di dirlo, il fondamento de quo può venire meno se la pretesa esercitata in forza di esso sia stata disconosciuta per il mero fatto che l’asserita analoga pretesa abbia altrove trovato riconoscimento.
Il ricorso va dunque conclusivamente respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in
euro 14200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il