Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 15239 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 15239 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 30/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso 18538-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ , domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante ‘ pro tempore ‘, domiciliata presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dall’ AVV_NOTAIO;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 449/2020 della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, depositata il 14/05/2020;
Oggetto
INDEBITO ARRICCHIMENTO
Inammissibilità del ricorso
R.G.N. 18538/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 10/01/2024
Adunanza camerale
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 10/01/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, ‘RAGIONE_SOCIALE‘) ricorre, sulla base di due motivi, per la cassazione della sentenza n. 449/20, del 14 maggio 2020, della Corte d’appello di RAGIONE_SOCIALE, che -nel respingerne il gravame avverso la sentenza n. 2898/16, del 6 ottobre 2016, del Tribunale di RAGIONE_SOCIALE -ha confermato il rigetto dell’opposizione, dalla stessa proposta, avverso il decreto ingiuntivo consegu ito, per l’importo di € 15.246,00, dalla società RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, ‘RAGIONE_SOCIALE ruppo COGNOME‘).
Riferisce, in punto di fatto, l’ odierna ricorrente di essersi opposta al provvedimento monitorio, conseguito dalla RAGIONE_SOCIALE quale subappaltatrice di lavori per la realizzazione di opere stradali, commissionati ad essa COGNOME dal RAGIONE_SOCIALE. In particolare, l’allora opponente deduceva che il suddetto contratto di subappalto non prevedeva l’anticipazione del pagamento di quanto dovuto al RAGIONE_SOCIALE, rispetto al momento in cui l’amministrazione comunale avrebbe dovuto provvedere a rem unerare la prestazione resa dall’appaltatrice , e, inoltre, che il RAGIONE_SOCIALE, per effetto del piano di stabilità, aveva disatteso i pagamenti. Pertanto, essa COGNOME -su richiesta del RAGIONE_SOCIALE -aveva ceduto al medesimo il proprio credito verso l’ente municipale, che aveva autorizzato la cessione.
Per effetto della stessa, tuttavia, l’odierna ricorrente aveva introitato una somma inferiore, avendone dovuto scontare il costo -pari a € 4.750,00 oltre alle spese notarili (ammontanti a € 994,00). Inoltre, la propria esposizione debitoria verso la RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE si era ulteriormente ridotta -rispetto a quanto risultante dal provvedimento monitorio -in ragione dell’acquisto di un credito ‘ pro soluto ‘, dell’importo di € 4.320,00, vantato da tale società RAGIONE_SOCIALE nei confronti del RAGIONE_SOCIALE.
L’opposizione, ciononostante, veniva rigettata, sul rilievo che, essendosi l’opponente limitat a ad eccepire in compensazione un proprio controcredito, la documentazione prodotta non si era rivelata, però, idonea a dimostrare né l’esistenza di un accordo fra le parti, per scomputare i costi sopportati dalla società RAGIONE_SOCIALE dal credito dell’opposta, né l’avvenuto pagamento degli stessi da parte dell’attrice in opposizione.
Proposto gravame dalla società RAGIONE_SOCIALE, lo stesso veniva rigettato.
Avverso la sentenza della Corte bresciana ha proposto ricorso per cassazione la società RAGIONE_SOCIALE, sulla base -come già detto -di due motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -‘omesso esame circa fatti decisivi per il giudizio’, lamentando la ricorrente l’illegittimità della sentenza, per non aver ammesso le prove testimoniali da essa richieste e per non aver tenuto conto del contenuto del contratto di subappalto, esibito in secondo grado, nel quale era prevista la clausola ‘ if and when ‘. In base ad essa, infatti, avendo ‘latitato il pagamento del committente’, sarebbe di tutta evidenza che la subappal tatrice ‘non poteva reclamare il proprio avere’ da essa società RAGIONE_SOCIALE.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -violazione dell’art. 1260 cod. civ.
La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello non ha considerato che la cessione del credito non necessita del consenso
del debitore ceduto, sicché il solo fatto che essa società RAGIONE_SOCIALE si fosse resa cessionaria del credito di RAGIONE_SOCIALE verso il RAGIONE_SOCIALE l’abilitava ad opporre lo stesso in compensazione con quello oggetto del provvedimento monitorio.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, il RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile (anche in relazione al difetto di idonea procura speciale) o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
La controricorrente ha presentato memoria.
Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare, va disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, per nullità della procura speciale, formulata dalla parte controricorrente sul rilievo che la sottoscrizione del soggetto conferente per conto della società ‘ è illeggibile, priva di timbro’, oltre che ‘palesemente diversa da quella apposta all’opposizione a decreto ingiuntivo’.
8.1. Invero, la procura -inserita ‘nel corpo’ del ricorso, che risulta proposto dalla ‘società RAGIONE_SOCIALE‘, in ‘persona del suo legale rappresentante pro tempore ‘ (senza , però, che ne sia indicato il nominativo) -reca una firma, per vero
illeggibile, non preceduta dall’indicazione dattiloscritta delle generalità del suddetto rappresentante legale.
Nondimeno, deve farsi applicazione del principio secondo cui la ‘illeggibilità della firma del conferente la procura alla lite, apposta in calce od a margine dell’atto con il quale sta in giudizio una società esattamente indicata con la sua denominazione, è irrilevante, non solo quando il nome del sottoscrittore risulti dal testo della procura stessa o dalla certificazione d’autografia resa dal difensore ‘ ( evenienze che non ricorrono nel caso di specie), ‘ovvero dal testo di quell’atto , ma anche quando detto nome sia con certezza desumibile dall’indicazione di una specifica funzione o carica’ (tale ultima è la fattispecie ‘ de qua ‘), ‘che ne renda identificabile il titolare per il tramite dei documenti di causa o delle risultanze del registro delle imprese’ (Cass. Sez. Un., sent. 7 marzo 2005, n. 4810, Rv. 579587-01).
Nondimeno, il ricorso va dichiarato inammissibile, in ciascuno dei due motivi in cui si articola.
9.1. Il primo motivo di ricorso è, infatti, inammissibile.
9.1.1. La censura relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è proposta -oltretutto, non correttamente -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 ), cod. proc. civ., mentre secondo la giurisprudenza di questa Corte ‘il provvedimento reso sulle richieste istruttorie è censurabile con ricorso per cassazione per violazione del diritto alla prova, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. allorquando il giudice di merito’ oltre a rilevare preclusioni o decadenze insussistenti -‘affermi l’inammissibilità del mezzo di prova per motivi che prescindano da una valutazione della sua rilevanza in rapporto al tema controverso ed al compendio delle altre prove richieste o già
acquisite, nonché per vizio di motivazione in ordine all’attitudine dimostrativa di circostanze rilevanti ai fini della decisione, con la conseguenza che è inammissibile il ricorso che non illustri la decisività del mezzo di prova di cui si lamenta la mancata ammissione’ (Cass. Sez. 3, ord. 6 novembre 2023, n. 30810, Rv. 669452-01).
Nella specie, l’odierna ricorrente che pure riproduce in ricorso i capitoli di prova dei quali aveva chiesto l’ammissione, ma non anche i nominativi dei testi da escutere, né ‘le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare’ (ciò che inficia l’ammissibilità delle censura, atteso che tali ragioni si palesano necessarie ‘a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto’ al pari della ‘prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce’; cfr., in motivazione, Cass. Sez. 2, sent. 23 aprile 2010, n. 9748, Rv. 612575-01; in senso conforme, più di recente, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 4 aprile 2018, n. 8204, Rv. 647571-01) -non illustra neppure le ragioni della decisività delle richieste testimonianze, limitandosi ad affermare che la loro ammissione ‘avrebbe potuto imprimere al giudizio una direzione difforme da quella effettivamente presa’.
Quanto, invece, alla censura relativa all’omesso esame della clausola ‘ if and when ‘, ammesso soltanto in ipotesi -che essa possa intendersi riferita al ‘fatto naturalistico’ risultante da tale clausola (giacché tale è la nozione di ‘fatto’ rilevante ai fini e agli effetti di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.; cfr. Cass. Sez. 5, sent. 8 ottobre 2014, n. 21152, Rv. 632989-01; Cass. Sez. Un., sent. 23 marzo 2015, n. 5745, non massimata), ovvero, che il subappaltatore non potesse pretendere la remunerazione della propria attività fino a quando il committente non avesse pagato quanto dovuto all’appaltatore, l’ammissibilità della
censura resta, comunque, preclusa a norma dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ.
Al riguardo va, innanzitutto, segnalato che -risalendo la sentenza resa in prime cure, e gravata con impugnazione dall’odierna ricorrente, al 6 ottobre 2016 l’atto di appello allora proposto risulta, per definizione, risalire ad un ricorso depositato o una citazione di cui sia stata richiesta la notificazione posteriormente all’11 settembre 2012.
Orbene, siffatta circostanza determina l’applicazione ‘ ratione temporis ‘ dell’art. 348 -ter , ultimo comma, cod. proc. civ. (cfr. Cass. Sez. 5, sent. 18 settembre 2014, n. 26860, Rv. 633817-01; in senso conforme, Cass. Sez. 6-Lav., ord. 9 dicembre 2015, n. 24909, Rv. 638185-01, nonché Cass. Sez. 6-5, ord. 11 maggio 2018, n. 11439, Rv. 648075-01), norma che preclude, in un caso -qual è quello presente -di cd. ‘doppia conforme di merito’, la proposizione di motivi di ricorso per cassazione formulati ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ., salvo che la parte ricorrente non soddisfi l’onere, ciò che nella specie non risulta avvenuto, ‘di indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza d i rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse’ (Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2016, n. 26774, Rv. 643244-03; Cass. Sez. Lav., sent. 6 agosto 2019, n. 20994, Rv. 654646-01; Cass. Sez. 3, ord. 28 febbraio 2023, n. 5947, Rv. 667202-01).
Nel caso in esame, per contro, la ricorrente non offre tale dimostrazione, limitandosi ad affermare come il fatto oggetto della clausola ‘non sia stato tenuto in considerazione dai giudicanti di merito’.
Ciò comporta, pertanto, l’inammissibilità pure di tale censura, a corroborare la quale vale pure il rilievo che essa non è articolata conformemente al l’art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ., atteso che l’odier na ricorrente non ha neppure precisato in quale
sede (e in che termini) tale questione sia stata sottoposta al vaglio del giudice di merito.
9.2. Il secondo motivo -peraltro, proposto ai sensi del n. 5) del comma 1 dell’art. 360 cod. proc. civ. (sebbene prospetti violazione di ‘norma di diritto’ ) -è anch’esso inammissibile.
9.2.1. La censura non coglie l’effettiva ‘ ratio decidendi ‘ della sentenza impugnata (donde la sua inammissibilità; cfr. Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, n. 20910, Rv. 645744-01; in senso conforme Cass. Sez. 6-3, ord. 3 luglio 2020, n. 13735, Rv. 658411-01), atteso che essa non consiste nel l’inopponibilità della cessione del credito, ma nella carenza di prova della correlazione esistente tra il corrispettivo dovuto alla RAGIONE_SOCIALE e i costi della cessione stessa.
Di qui, pertanto, l’inammissibilità della censura, in applicazione del principio secondo cui il motivo di ricorso ‘è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo’, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione ‘tale
nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.’ (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564-01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01).
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
A carico della ricorrente, stante la declaratoria di inammissibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P. Q. M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, condannando la società RAGIONE_SOCIALE a rifondere, alla società RAGIONE_SOCIALE, le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 2 .500,00, più € 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della