Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 503 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 503 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 08/01/2024
sul ricorso 76/2021 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliata in Roma, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende -ricorrente –
contro
COMUNE DI COGNOMENOME, domiciliato ex lege in Roma, presso la cancelleria della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di POTENZA n. 246/2020 depositata il 22/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/12/2023 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
NOME COGNOME ricorre a questa Corte onde sentir cassare sulla base di due mezzi, ai quali resiste il Comune intimato con controricorso, l’impugnata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Potenza, accogliendo il gravame del Comune di Castronuovo Sant’Andrea, ha proceduto a riformare la decisione che in primo grado aveva condannato l’appellante al pagamento in favore della ricorrente delle somme dovute in esecuzione di un contrato di appalto avente ad oggetto la sistemazione di una strada comunale.
Riguardo al proposto ricorso il Consigliere delegato dal Presidente della Sezione ha formulato la seguente proposta di definizione accelerata del giudizio ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.:
«Con il primo motivo, proposto ex art.360, comma 1, n.3, c.p.c. la sig.ra COGNOME denuncia violazione delle regole ermeneutiche di cui agli artt. 1362, 1363, 1366, 1368, 1369, 1371 c.c. e lamenta che la Corte di appello abbia fornito una interpretazione in contrasto con i principi sopra citati e ciò con riferimento alla riserva apposta dalla ditta appaltatrice in calce allo stato finale del 7.9.1999.
Il motivo presenta plurimi profili di inammissibilità.
In primo luogo, la ricorrente prospetta la violazione dei canoni ermeneutici in modo del tutto generico e svincolato da specifici passaggi della sentenza impugnata in cui l’uno o altro criterio interpretativo sarebbe stato violato o mal applicato e scivola perciò inevitabilmente in una censura di merito, con la quale rimprovera alla Corte territoriale di aver adottato una interpretazione del contratto diversa da quella sostenuta dalla parte ricorrente.
Inoltre la denunzia della violazione dei canoni legali in materia d’interpretazione del contratto non può costituire lo schermo,
attraverso il quale sottoporre impropriamente al giudizio di legittimità valutazioni che appartengono in via esclusiva al giudizio di merito (Sez.2, n.30686 del 25.11.2019); non è quindi certamente sufficiente la mera enunciazione della pretesa violazione di legge, volta a rivendicare il risultato interpretativo favorevole, disatteso dal giudice del merito, ma è necessario, per contro, individuare puntualmente e specificamente il canone ermeneutico violato, correlato al materiale probatorio acquisito.
L’opera dell’interprete mira a determinare una realtà storica ed obiettiva, ossia la volontà delle parti espressa nel contratto, e pertanto costituisce accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 cod. civ. e segg., oltre che per vizi di motivazione nella loro applicazione. Perciò, per far valere la violazione di legge, il ricorrente per cassazione deve non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali asseritamente violati; di conseguenza ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso, non è idonea la mera critica del convincimento espresso nella sentenza impugnata mediante la mera contrapposizione d’una difforme interpretazione, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (ex multis, Sez. 3, n. 13603 del 21.5.2019; Sez. 3, n. 11254 del 10.5.2018; Sez. 1, n. 29111 del 5.12.2017; Sez. 3, n. 28319 del 28.11.2017; Sez. 1, n. 27136 del 15.11.2017; Sez. 2, n. 18587, del 29.10.2012; Sez. 6-
3, n. 2988, del 7.2.2013).
In terzo luogo, ciò che rileva è che si discute di approvazione dello stato finale a cui è stata apposta la riserva e poco importa che in quella sede la ricorrente abbia sostenuto la perdurante efficacia anche del secondo SAL visto che aveva accettato lo stato finale e il correlativo importo riservandosi di agire per il maggior avere per gli interessi sui SAL e il risarcimento per ritardato pagamento.
Ciò è più che sufficiente per rendere applicabile il regime contrattuale dello stato finale e non degli stati avanzamento quanto alle conseguenze del mancato rispetto della regolarità contributiva, cui ha dato ingresso la Corte.
Non è neppur quindi questione di corretta interpretazione della riserva ma di esatta considerazione del contesto in cui essa era stata manifestata.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia omesso esame di fatto decisivo discusso tra le parti ex art. 360 n. 5 c.p.c. con riferimento alle risultanze della c.t.u.
Il motivo è inammissibile.
Il mezzo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. per vizio di omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, deve essere interpretato, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, nel senso della riduzione al «minimo costituzionale» del sindacato di legittimità sulla motivazione; secondo tale formula, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione
apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Sez. un., 7.4.2014, n. 8053; Sez. un., 22.9.2014, n. 19881; Sez. un., 22.6.2017, n. 15486).
Inoltre, secondo le Sezioni Unite, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il «fatto storico», il cui esame sia stato omesso, il «dato», testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
Il mezzo de quo (è da) intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storiconaturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni (cfr., anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 395 del 2021; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), sicché sono inammissibili le censure che irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo (Cass. n. 2195 del 2022; Cass. n. 595 del 2022; Cass. n. 4477 del 2021; Cass. n. 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017).
Inoltre: i) non costituiscono, ‘fatti’, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., gli
elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico da essi rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); ii) il ‘fatto’ il cui esame sia stato omesso deve, inoltre, avere carattere ‘decisivo’, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia. Tale decisività, in quanto correlata all’interesse all’impugnazione, si addice innanzitutto a quel fatto che, se scrutinato, avrebbe condotto il giudice ad una decisione favorevole al ricorrente, rimasto soccombente nel giudizio di merito. Poiché l’attributo si riferisce al ‘fatto’ in sé, la ‘decisività’ asserisce, inoltre, al nesso di causalità tra la circostanza non esaminata e la decisione: essa deve, cioè, apparire tale che, se presa in considerazione, avrebbe portato con certezza il giudice del merito ad una diversa ricostruzione della fattispecie (non bastando, invece, la prognosi che il fatto non esaminato avrebbe reso soltanto possibile o probabile una ricostruzione diversa: si vedano già Cass. n. 22979 del 2004; Cass. n. 3668 del 2013; la prognosi in termini di ‘certezza’ della decisione diversa è richiesta, ad esempio, da Cass., SU, n. 3670 del 2015); iii) lo stesso deve essere stato ‘oggetto di discussione tra le parti’: deve trattarsi, quindi, necessariamente di un fatto ‘controverso’, contestato, non dato per pacifico tra le parti; iv) la parte ricorrente deve indicare -nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ. e 369, comma 2, n. 4), cod. proc. civ. – il fatto storico, il cui esame sia stato omesso, il dato, testuale (emergente dalla sentenza) o extratestuale (emergente dagli atti processuali), da cui ne risulti l’esistenza, il come ed il quando (nel quadro processuale) tale fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014)».
La proposta è stata ritualmente comunicata alle parti e la parte ricorrente, a mezzo del suo difensore munito di nuova procura speciale, ha chiesto la decisione.
E’ stata, quindi, fissata l’odierna adunanza in camera di consiglio.
Ha depositato memoria la parte intimata.
All’esito dell’odierna trattazione in camera di consiglio il collegio reputa di dover definire il giudizio in conformità alla riportata proposta.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
Poiché il giudizio è stato definito in conformità alla proposta formulata si applica a mente dell’art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ. l’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ., con conseguente condanna della parte soccombente al pagamento: (a)di una somma equitativamente determinata a favore della controparte; (b) di un’ulteriore somma di denaro, stabilita nel rispetto dei limiti di legge, in favore della Cassa delle Ammende, somme che si liquidano come in dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento in favore di parte resistente delle spese del presente giudizio che liquida in euro 7700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge, nonchè dell’ulteriore somma di euro 7.500,00, a norma dell’art. 96, comma 3, cod. proc. civ.; condanna, inoltre, parte ricorrente al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di euro 2.500,00 Euro, a norma dell’art. 96, comma 4, cod. proc. civ.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il