Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16000 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16000 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 07/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31781/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO , presso lo studio dell’avvocato prof. COGNOME NOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende giusta procura speciale allegata alla comparsa di costituzione di nuovo difensore.
–
ricorrente – contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME (EMAIL) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME
NOME (EMAIL), giusta procura speciale in calce al controricorso.
–
contro
ricorrente –
nonché contro
COGNOME NOME.
–
intimato – avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma n. 4678/2020 depositata il 02/10/2020. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2024
dal Consigliere dr.ssa NOME COGNOME.
Rilevato che
NOME COGNOME conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Roma la RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità: la RAGIONE_SOCIALE), chiedendo che fosse risolto ovvero dichiarato a lui non opponibile il contratto preliminare stipulato tra la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, avente ad oggetto un immobile in Roma di proprietà della RAGIONE_SOCIALE e condotto in locazione dal COGNOME, con ordine al Conservatore della cancellazione dai Registri Immobiliari e che, per contro, fosse accertata e dichiarata la avvenuta accettazione, da parte della RAGIONE_SOCIALE, della proposta di acquisto da esso COGNOME formulata e che ai sensi dell’art. 2932 cod. civ. la RAGIONE_SOCIALE fosse condannata a vendere l’immobile, al prezzo formulato nella proposta, ad NOME COGNOME; chiedeva inoltre la condanna in solido della RAGIONE_SOCIALE e di NOME COGNOME al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi a causa della loro condotta.
Deduceva a sostegno della domanda di aver formulato proposta di acquisto del suddetto immobile alla RAGIONE_SOCIALE, che l’aveva accettata, salvo tuttavia -pur non avendone l’obbligo -informare dell’operazione il conduttore NOME COGNOME per invitar lo a formulare un’offerta di acquisto al medesimo prezzo offerto da NOME COGNOME, entro uno specifico termine; successivamente la RAGIONE_SOCIALE era addivenuta a stipulare un contratto preliminare di vendita con il COGNOME, accettando quindi la sua proposta, formulata in maniera tardiva ed irrituale, e trascurando di aver già accettato la proposta in precedenza formulata da NOME COGNOME.
1.1. Si costituiva resistendo la RAGIONE_SOCIALE, in particolare deducendo: di aver concesso al COGNOME una prelazione volontaria , perché già conduttore dell’immobile ; di aver sempre precisato all’COGNOME che avrebbe tenuto in sospeso le sue proposte di acquisto, che sarebbero invero state ben tre proposte, succedutesi nei mesi di aprile, giugno e luglio del 2011 (e non soltanto, come riferito dall’COGNOME, un’unica proposta di aprile 2011), senza prima conoscere la volontà del conduttore COGNOME; di prendere in considerazione le proposte dell’RAGIONE_SOCIALE solo se l’inquilino non avesse manifestato la volontà di acquistare.
La RAGIONE_SOCIALE chiedeva quindi il rigetto delle domande di NOME COGNOME, previo accertamento della inesistenza, inefficacia ovvero nullità di qualsiasi suo obbligo a vendergli l’immobile , nonché la condanna di questi al risarcimento dei danni, da quantificarsi in misura ‘non inferiore al rendimento medio dei titoli di Stato pluriennali dalla data del 2 dicembre 2011, prevista per il rogito nel contratto preliminare, sull’importo di euro 520.000,00 (640.000 -120.000) sino al momento in cui sarà incassato il residuo prezzo della vendita’. Chiedeva inoltre che fosse accertata la validità ed efficacia del contratto di
locazione tra essa RAGIONE_SOCIALE ed il conduttore COGNOME e che fosse dichiarato che NOME COGNOME era tenuto a corrispondere ai canoni di locazione o l’indennità di occupazione oltre oneri accessori già venuti a scadere, che non venissero spontaneamente corrisposti.
1.2. NOME COGNOME spiegava intervento volontario autonomo per sentir accertare e dichiarare l’inesistenza ovvero l’inefficacia dell’accettazione da parte della RAGIONE_SOCIALE della proposta di acquisto formulata dall’attore; chiedeva quindi il rigetto della domanda attorea nonché la condanna dell’attore o della convenuta al risarcimento dei danni, pari all’ammontare dei canoni di locazione ancora corrisposti non essendo intervenuta in suo favore la compravendita, nonché per le spese sostenute per ottenere l’erogazione del mutuo fondiario, nonché per la mancata percezione del rendimento delle somme versate a titolo di caparra e di acconto prezzo.
1.3. Con sentenza n. 22490/2016 del 21 dicembre 2016, il Tribunale di Roma rigettava le domande di NOME COGNOME e lo condannava al risarcimento del danno sia in favore della RAGIONE_SOCIALE sia in favore di NOME COGNOME.
Avverso tale sentenza proponeva appello NOME COGNOME; si costituivano resistendo al gravame sia la RAGIONE_SOCIALE sia NOME COGNOME.
2.1. Con sentenza n. 4678/2020 del 5 ottobre 2020 la Corte d’Appello di Roma rigettava l’appello integralmente confermando la sentenza impugnata.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME propone ora ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.
Resiste con controricorso la RAGIONE_SOCIALE.
NOME COGNOME resta intimato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis .1, cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
Parte ricorrente e parte resistente hanno depositato memorie illustrative.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente denuncia ‘violazione degli artt. 111, comma 6 Cost., 112 cod. proc civ., 132, comma secondo n. 4 cod. proc. civ., e 118 delle disposizioni di attuazione del cod. proc. civ. (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.), nullità della sentenza per mancata motivazione (art. 360, primo comma, n. 4 cod. proc. civ.)’.
Lamenta che la corte territoriale lo ha erroneamente condannato al risarcimento dei danni in favore della RAGIONE_SOCIALE, senza tenere in alcun conto che alla RAGIONE_SOCIALE stessa era stato contestualmente riconosciuto il diritto a percepire dal conduttore COGNOME i canoni di locazione dell’appartamento fino alla data dell’atto definitivo di vendita e che esso esponente era altresì stato condannato a risarcire NOME COGNOME in misura pari all’entità dei predetti canoni di locazione.
Deduce quindi il vizio di assenza di motivazione, ovvero di motivazione apparente, e la conseguente nullità della sentenza impugnata.
Con il secondo motivo, dedotto in via subordinata, il ricorrente denuncia ‘violazione degli artt. 2056, 1223 1226 e 2697 del codice civile (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.)’.
Censura l’impugnata sentenza per aver liquidato alla RAGIONE_SOCIALE il danno risarcibile in violazione del disposto dell’art. 1223 cod. civ., richiamando argomentazioni svolte già nel primo motivo, e ne deduce l’ingiustizia anche per la ipotesi, contestata, in cui, in punto esistenza e quantificazione del danno, possa ravvisarsi una motivazione per relationem alla sentenza di primo
grado.
3. Il primo motivo è inammissibile.
Occorre anzitutto premettere che il motivo è dedotto sia come violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., sia come violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., ma, in realtà, l’illustrazione è riconducibile solo alla prima violazione, perché ciò che si lamenta è che la corte territoriale non abbia pronunciato su una parte del motivo di appello che era stato proposto come motivo IV.2, alle pp. 38 e ss. dell’atto di citazione in appello e che, secondo quanto viene prospettato nel ricorso, era finalizzato ad ottenere una modifica della sentenza di prime cure che escludesse l’esistenza di qualsivoglia danno a favore della RAGIONE_SOCIALE.
Tanto premesso, il motivo, come detto riconducibile solo alla deduzione del vizio di violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., là dove pretende di individuare la censura su cui si sarebbe omessa la decisione -presenta un evidente difetto: il passo dell’atto di appello, che si riporta fra virgolette a p. 14 del ricorso, tutto integra tranne che una censura riconoscibile come autonoma e bene individuata. E’ infatti sufficiente osservare che l’incipit inizia con un ‘inoltre, …’, che necessariamente suppone -per comprendere il senso di quanto si deduce -la conoscenza di quello che si è argomentato prima, e che invece non è stato riportato e trascritto, il che non consente di percepire il (solo) passaggio riportato come autonoma e specifica censura.
Inoltre, il passo dell’atto di appello riportato nel ricorso comunque non ha dignità di censura -specie a fronte del disposto dell’art. 342 cod. proc. civ. e del principio di specificità del motivo di appello -per l’assorbente ragione che in esso non c’è alcun benché minimo riferimento alla decisione di primo grado (v. Cass., 18776/2023; Cass., 2320/2023).
Il motivo è inammissibile, dunque, per evidente carenza
nell’individuazione dell’oggetto della lamentata omessa pronuncia e ciò tanto più al lume di una norma come l’art. 360 -bis, n. 2, cod. proc. civ. e dell’onere di cui all’art. 366, n. 6 cod. proc. civ.
3.1. Né tale assenza è rimediata dalla circostanza che nella struttura illustrativa del motivo (v. p. 12 del ricorso) parte ricorrente abbia riportato una parte della motivazione della sentenza di tribunale, dato che l’ha poi fatta seguire non dal passo del motivo di appello di cui si è detto, ma da una enunciazione intermedia rappresentata da una precisazione cui segue un riferimento alla prospettazione assunta da FDC nella comparsa di costituzione in appello (v. p. 13 del ricorso); in base a questa modalità espositiva, questa Corte dovrebbe procedere, assumendo i panni che doveva assumere il ricorrente, ad individuare se e rispetto a che cosa, della riportata motivazione della sentenza di prime cure, il passo riportato nel motivo di ricorso potrebbe costituire critica.
D’altro canto, l’onere di allegazione della parte ricorrente avrebbe dovuto essere particolarmente accurato, giacché dell’ipotetica censura di cui si discorre non v’è traccia nella motivazione della qui impugnata sentenza, che, nel riportare espressamente i motivi di appello dedotti da NOME COGNOME, fa riferimento a questioni sì inerenti al risarcimento del danno, ma affatto attinenti alla doglianza espressa nel motivo qui scrutinato.
Il motivo non è quindi correttamente dedotto e finisce per trascurare i ripetuti insegnamenti di questa Corte, secondo cui ‘Nel giudizio di legittimità, la deduzione del vizio di omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., postula, per un verso, che il giudice di merito sia stato investito di una domanda o eccezione autonomamente apprezzabili e ritualmente e inequivocabilmente formulate e, per altro verso, che tali istanze siano puntualmente riportate nel ricorso per cassazione nei loro esatti termini e non
genericamente o per riassunto del relativo contenuto, con l’indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte, onde consentire la verifica, innanzitutto, della ritualità e della tempestività e, in secondo luogo, della decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto, non essendo detto vizio rilevabile d’ufficio, la Corte di cassazione, quale giudice del “fatto processuale”, intanto può esaminare direttamente gli atti processuali in quanto, in ottemperanza al principio di autosufficienza del ricorso, il ricorrente abbia, a pena di inammissibilità, ottemperato all’onere di indicarli compiutamente, non essendo essa legittimata a procedere ad un’autonoma ricerca, ma solo alla verifica degli stessi’ (Cass., 14/10/2021, n. 28072; Cass., 13/06/2023, n. 16899).
Il secondo motivo, essendo stato dedotto in via subordinata e sempre nel presupposto che fosse stata proposta in appello la censura di cui al primo motivo e che sia stata decisa con motivazione implicita, risente delle stesse ragioni di inammissibilità svolte nello scrutinio del primo motivo.
In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 11.000,00 per compensi, oltre spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi, liquidati in euro 200,00, ed accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall ‘ art. 1, comma 17 della l. n. 228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza