Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29806 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29806 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 12/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 20589/2024 r.g. proposto da:
COGNOME NOMENOME rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata al ricorso, da ll’AVV_NOTAIO, presso il cui studio elettivamente domicilia in Fossò (VE), alla INDIRIZZO.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Fara Vicentino (INDIRIZZO), alla INDIRIZZO, in persona del responsabile dell’Ufficio Contenzioso NOME COGNOME, elettivamente domiciliata in RAGIONE_SOCIALE, alla INDIRIZZO , presso lo studio dell’AVV_NOTAIO che la rappresenta e difende giusta procura speciale allegata al controricorso.
-controricorrente – avverso la sentenza, n. cron. 1048/2024, della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA depositata in data 30/05/2024;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 06/11/2025 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 2171/2022, il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE respinse l’opposizione promossa , ex art. 645 cod. proc. civ., da NOME COGNOME avverso il decreto ingiuntivo n. 2791/2020, emesso dal medesimo tribunale, su richiesta di Banca San Giorgio Quinto Valle Agno RAGIONE_SOCIALE Cred. RAGIONE_SOCIALE, per la somma di € 144.910,17, in forza della fideiussione omnibus del 26 febbraio 2016 e della fideiussione specifica del 10 giugno 2019, rilasciate dal l’opponente a garanzia dell’adempimento RAGIONE_SOCIALE obblighi da lui assunti, nei confronti della banca, da RAGIONE_SOCIALE, di cui egli era socio al 50% e che era stata dichiarata fallita il 29 febbraio 2020.
Il gravame interposto avverso la descritta sentenza dal COGNOME fu respinto dall’adita Corte di appello di Venezia, con sentenza del 30 maggio 2024, n. 1048, pronunciata nel contraddittorio con BCC RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE –RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, già BCC di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE
In estrema sintesi, quella corte ritenne che: i ) « La fideiussione per cui è causa resta pienamente valida ed efficace, sebbene depurata dalle sole clausole riproduttive di quelle dichiarate nulle dalla Banca d’Italia, poiché anticoncorrenziali, in conformità a quanto stabilito dall’art. 1419 c.c., non risultando comprovata agli atti una diversa volontà delle parti, nel senso dell’essenzialità – per l’assetto di interessi divisato – della parte del contratto colpita da nullità, essenzialità di cui la parte interessata all’estensione della nullità ha l’onere di fornire adeguata dimostrazione »; ii ) « La dichiarazione con cui il fideiussore, nell’intesa del 10.06.2019, ha riconosciuto il credito avversario impegnandosi a soddisfarlo, è idonea ad impedire la decadenza ai sensi dell’art. 2966 c.c., secondo il quale la decadenza è impedita dal riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto soggetto a decadenza ».
Per la cassazione di questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidandosi a due motivi. Ha resistito, con controricorso, BCC RAGIONE_SOCIALE, già BCC di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, eccependo, pregiudizialmente la tardività dell’impugnazione di controparte perché tardivamente proposta.
Il 4/10 gennaio 2025, il consigliere delegato ha depositato una proposta di definizione anticipata del giudizio ex art. 380bis cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Con istanza del l’11 /12 febbraio 2025, il COGNOME ha chiesto la decisione del suo ricorso. La sola controricorrente ha depositato memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione e/o falsa applicazione di legge RAGIONE_SOCIALE artt. 1957 e 1175 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1 , n. 3, c.p.c.» . Si ascrive alla corte territoriale di non avere « affatto considerato che se è verissimo che le clausole della fideiussione riproducevano esattamente le clausole nr. 2, 6 e 8 dello schema ABI, in particolare la nr. 6, dichiarate nulle perché anticoncorrenziali (v. pag. 6 da quartultimo rigo sentenza d’appello), non altrettanto vero e giuridicamente corretto è l’assunto che l’obbligo contrattualmente assunto di ‘pagare a semplice richiesta scritta’ esoneri dal proporre domanda giudiziale entro sei mesi a pena di decadenza, in deroga all’art. 1957 c.c. . La sentenza di appello pertanto contiene, , una palese violazione della ratio di cui all’art. 1175 c.c. in quanto esonera in questo modo il creditore dall’obbligo di correttezza e buona fede »;
II) « In via subordinata, violazione e/o falsa applicazione di legge RAGIONE_SOCIALE artt. 1957 e 1419 comma 1 c.c. in relazione all’art. 360, comma 1 , n. 3, c.p.c. ». Si sostiene che « La Corte veneziana, anche ammesso e non concesso che la clausola di ‘pagamento a prima richiesta o simili’ esoneri dall’onere di proporre domanda giudiziale entro sei mesi a pena di decadenza, ha fatto comunque mal governo delle indicate disposizioni normative di cui all’art. 1957 in combinato disposto con l’art. 1419, comma 1, c.c. ».
Va rilevato, in primis , che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« 1. Ancor prima di procedere allo scrutinio dei formulati motivi, va rilevato, in via pregiudiziale, che l’odierno ricorso risulta inammissibile, perché tardivamente proposto, rivelandosi fondata la corrispondente eccezione formulata dalla controricorrente.
1.1. Quest’ultima, infatti, ha dedotto e documentato che, diversamente da quanto affermato dal COGNOME, la sentenza oggi impugnata è stata notificata, a mezzo pec , in data 7 giungo 2024, (cfr. le prodotte ricevute di accettazione e di avvenuta consegna), – ai fini del decorso del termine breve d’impugnazione ex art. 325 cod. proc. civ. su istanza dell’AVV_NOTAIO (difensore della parte ivi appellata), all’AVV_NOTAIO, procuratore e domiciliatario dell’appellante/ricorrente.
1.2. Ne deriva, quindi, la evidente tardività della notificazione del ricorso del COGNOME , avvenuta solo il 25 settembre 2024 (cfr. la relativa relata), ben oltre la scadenza del termine breve d’impugnazione di cui all’art. 325, comma 2, cod. proc. civ., coincidente -tenuto conto anche della sospensione feriale dei termini dall’1 al 31 agosto 2 024 -con la data del 6 settembre 2024 (venerdì) ».
Fermo quanto precede, rileva il Collegio che , nell’istanza di cui al novellato art. 380bis , comma 2, cod. proc. civ. dell’11/12 febbraio 2025, la difesa del ricorrente ha dedotto e documentato che, allorquando la sentenza n. 1084/2024 della Corte di appello di Venezia, oggi impugnata, era stata notificata, a mezzo pec , al difensore del COGNOME costituito in sede di gravame, AVV_NOTAIO, del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, in data 7 giugno 2024, quel legale risultava essere già stato sospeso dall’RAGIONE_SOCIALE dellRAGIONE_SOCIALE, anche se solo in via amministrativa, fin dal 16 ottobre 2023 ed a tempo indeterminato ( cfr . l’allegata copia della comunicazione dell’RAGIONE_SOCIALE del 13 gennaio 2025), con provvedimento ancora efficace alla data del 7 giugno 2024, come verificato da questa Corte mediante accesso all’RAGIONE_SOCIALE .
Il COGNOME, dunque, al momento in cui il legale di controparte notificò la sentenza oggi impugnata al suddetto AVV_NOTAIO, era sostanzialmente sprovvisto di difensore, sicché il legale medesimo, usando la particolare e qualificata diligenza del difensore, avrebbe dovuto verificare la posizione soggettiva dell’ AVV_NOTAIO e, conseguentemente, per far decorrere il termine breve per impugnare la suindicata sentenza n. 10148/2024 della corte lagunare ex art. 325 cod. proc. civ., avrebbe dovuto notificarla a ll’odierno ricorrente personalmente.
Orbene, da quanto appena riportato emerge che la menzionata sentenza è stata pubblicata il 30 maggio 2024, allorquando, dunque, l’AVV_NOTAIO già risultava essere stato sospeso, in via amministrativa, dall’RAGIONE_SOCIALE. Egli, dunque, durante il periodo di sospensione predetto doveva astenersi dal compiere, oltre agli atti strettamente giudiziali, anche tutti quelli da qualificarsi comunque come riservati alla categoria forense, rientranti nell’attività professionale forense. Pertanto, l’ avvenuta notificazione di quella decisione al medesimo legale, avvenuta il 7 giugno 2024 su istanza del difensore della odierna controricorrente, siccome eseguita a chi aveva perduto -sia pur solo temporaneamente -lo status di avvocato e, quindi, la capacità di rappresentare adeguatamente la parte ( cfr . Cass. n. 21359 del 2020. In senso sostanzialmente conforme, benché riferita alla notificazione di un atto di impugnazione nei confronti di un difensore nella stessa condizione, vedasi Cass. nn. 13221 e 19659 del 2024), è da ritenersi nulla, giacché indirizzata ad un soggetto non più abilitato a riceverla, con conseguente inidoneità della stessa a far decorrere il termine per l’impugnazione.
In tale ipotesi, allora, la notifica della sentenza alla parte personalmente costituiva l’unico mezzo per far decorrere il termine breve dell’art. 325 cod. proc. civ., poiché la parte difesa dall’avvocato sospeso, radiato o deceduto sarebbe stata posta in condizione di informarsi del perché aveva ricevuto la notifica e del perché non era stata eseguita al difensore ed era, quindi, nella possibilità di rivolgersi ad altro professionista per proporre una tempestiva impugnazione.
Alla stregua delle suesposte considerazioni, ne consegue che, nella specie, non risultando documentata una notificazione della sentenza impugnata (successiva a quella eseguita nei confronti dell’AVV_NOTAIO il 7 giugno 2024) avvenuta al COGNOME personalmente, l’odierno ricorso per cassazione di quest’ultimo avverso la medesima sentenza, notificato il 25 settembre 2024 ( cfr . la relativa relata) deve considerarsi tempestivo, essendo stato proposto entro il termine semestrale (cd. lungo) di cui all’art. 327, comma 1, cod. proc. civ. ( cfr . Cass. n. 11298 del 2018).
4. La descritta proposta di definizione anticipata ex art. 380bis cod. proc. civ., allora, non può essere qui confermata. Ciò malgrado, il ricorso del COGNOME si rivela comunque inammissibile, stante l’evidente violazione dell’art. 366, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., non assolvendo, in modo idoneo, al raggiungimento dello scopo che detto requisito di contenuto-forma deve soddisfare.
Invero, la sua struttura è priva di un ‘adeguata descrizione, seppure sintetica, riguardante la concreta vicenda processuale, i fatti giuridici costitutivi della domanda proposta innanzi al giudice di prime cure ed il contenuto della decisione adottata dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE n. 2171/2022, nulla spiegando, anche solo sommariamente, quanto alle ragioni di quest’ultima statuizione (certo non bastando le generiche argomentazioni riportate quali contenuto delle prospettate doglianze).
Tanto premesso, rileva il Collegio che l’esposizione sommaria dei fatti prescritta, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., essendo considerata dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso stesso, deve consistere in una esposizione che garantisca alla Suprema Corte di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa decisione impugnata ( cfr ., anche nelle rispettive motivazioni, Cass., SU, n. 11653 del 2006; Cass. n. 5640 del 2018, Cass. n. 23015 del 2019; Cass. n. 24432 del 2020; Cass. n. 3172 del 2021; Cass. n. 7743 del 2021, Cass. n. 22080 del 2023). La prescrizione del
requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato ( cfr . Cass., SU., n. 2602 del 2003).
Stante tale funzione, per soddisfare il suddetto requisito è necessario, come statuisce la prima delle decisioni evocate, che il ricorso per cassazione contenga, sebbene in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la decisione impugnata ( cfr . anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 7743 del 2021 e Cass. n. 22080 del 2023).
Orbene, la sopra ricordata struttura del ricorso non rispetta tali necessari contenuti, perché non indica i fatti storici che hanno occasionato la controversia, né individua le ragioni giuridiche sulla base delle quali la domanda dell’odierno ricorrente er a stata introdotta in primo grado, né espone, pur sinteticamente, le argomentazioni giustificative della sentenza impugnata. L’esposizione del fatto è, pertanto, del tutto carente (e, come tale, evidentemente inidonea al raggiungimento dello scopo suo proprio), donde la inammissibilità del ricorso, ricordandosi, peraltro, che, secondo la Corte EDU, il diritto di accedere al giudice di ultima istanza non è assoluto e, sulle condizioni di ricevibilità dei ricorsi, gli Stati hanno un sicuro margine di apprezzamento, potendo prevedere restrizioni a seconda del ruolo svolto dai vari organi giurisdizionali e dell’insieme delle regole che governano il processo ( cfr . Corte EDU, 15/09/2016, Trevisanato c. Italia; Cass., SU. n. 30996 del 2017, § 2.3).
5. In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, restando a suo carico le spese di questo giudizio di legittimità sostenute dalla costituitasi controricorrente.
Poiché il giudizio è definito sulla base di argomentazioni affatto differenti da quella rinvenibile nella proposta ex art. 380bis cod. proc. civ., ritiene il Collegio che sia possibile non disporre la condanna ulteriore della parte istante a norma dell’art. 96, commi 3 e 4, cod. proc. civ. ( cfr ., in motivazione, Cass., SU, n. 36069 del 2023 e Cass. n. 26386 del 2024), mentre deve darsi atto -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto da NOME COGNOME e lo condanna al pagamento, in favore della costituitasi controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, che liquida in € 7.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi, liquidati in € 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del COGNOME, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 6 novembre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME