Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16198 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16198 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5833/2022 R.G., proposto da
SOCIETÀ RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME e COGNOME RAGIONE_SOCIALE, COGNOME NOME e COGNOME NOME, in proprio e quali legali rappresentanti della prima, rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME domiciliati ex lege come da indirizzo pec indicato nella memoria di costituzione del 3.12.2024,
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME , in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 3265/2021 della CORTE d’APPELLO di Bologna pubblicata il 30.7.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18.2.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Locazione uso diverso -Sfratto per morosità -Opere eseguite dal conduttore Compensazione -Eccedenza Domanda
La società RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Luigi e COGNOME RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti indicata come RAGIONE_SOCIALE), COGNOME Luigi e COGNOME NOME, in proprio e quali suoi legali rappresentanti, ricorrono per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Bologna, pubblicata il 30.7.2021, con cui è stata confermata la sentenza del Tribunale di Forlì, pubblicata il 5.12.2019.
Tale pronuncia è stata resa a seguito dell’avvio da parte della Fondazione Livio RAGIONE_SOCIALE NOME COGNOME (d’ora in avanti indicata come la Fondazione) , proprietaria e locatrice dell’immobile ubicato in Forlì, INDIRIZZO di un procedimento di sfratto per morosità per il mancato pagamento da parte della conduttrice (RAGIONE_SOCIALE) dei canoni di locazione per complessivi euro 348.166,22 (43 mensilità a far tempo dal luglio 2011). La ricorrente, oltre alla convalida dello sfratto, in quella sede chiedeva l’emissione dell’ingiunzione di pagamento per l’importo indicato a carico di RAGIONE_SOCIALE e dei so ci illimitatamente responsabili COGNOME e COGNOME. Emessa ordinanza di rilascio ex art. 665 c.p.c. ed espletato senza esito il disposto procedimento di mediazione, il Tribunale di Forlì, all’esito dello svolgimento del giudizio di cognizione piena, in cui espletava una C.T.U. sui lavori svolti dalla conduttrice tra il 2003 ed il 2013, rigettò le domande riconvenzionali svolte.
Al ricorso proposto da RAGIONE_SOCIALE, COGNOME Luigi e COGNOME NOME, sulla base di tre motivi, ha resistito con controricorso la Fondazione.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
I ricorrenti hanno depositato memoria, sottoscritta da nuovo difensore previo deposito di atto di costituzione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso si espone ad un preliminare e assorbente rilievo di inammissibilità perché carente del requisito di contenutoforma prescritto dall’art. 366, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Il ricorso si compone nel complesso di 44 pagine e all’interno di esso le pagine da 3 a 25 (fino alla riga 25) sono dedicate al l’antefatto e al lo svolgimento
del processo. In tale sezione è racchiusa una lunga ed inintelligibile sequenza di affermazioni, al cui interno sono mescolati elementi di carattere eterogeneo senza consentire, se non attingendo direttamente alla lettura degli atti del processo, di comprendere: i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate; le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria; l’andamento della v icenda giudiziaria e le questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa; le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, le difese svolte dalle parti in appello e, infine, il tenore della sentenza impugnata. Il tutto al fine di permettere di intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato.
Il ricorso a partire da pagina 3 contiene una sezione intitolata ‘La storia e il fatto’ che arriva sino a pagina 1 1 (riga 2), dove è dapprima riportata la sintesi fattuale operata dal giudice del primo grado (da pagina 3 a pagina 5 fino alla riga 5) e successivamente da pagina 5 (riga 6) a pagina 11 (riga 2) sono indicati gli antefatti della vicenda processuale:
-la necessità di dar corso a lavori di adeguamento impiantistico e di manutenzione straordinaria della struttura sin dal 1997;
-la trattativa per la rinegoziazione del contratto rimasta incompiuta; la redazione di una scrittura del 2003 per l’effettuazione di lavori per euro 1.190.000 secondo un computo metrico redatto dal geom. COGNOME e di altra del 2004, nella quale la Fondazione rinunciava alla facoltà del diniego di rinnovazione del contratto alle scadenze 31.12.2005, 31.12.2014 e 31.12.2023 a fronte dell ‘assunzione da parte della conduttrice delle opere contemplate nel computo metrico del geom. COGNOME;
-la scelta della Fondazione di dar corso ai lavori nelle sole 32 camere;
-la lacunosità delle indicazioni del computo metrico-estimativo e il successivo incremento del costo delle opere;
-le ricadute negative sul funzionamento della struttura alberghiera e le conseguenti perdite di clientela e i danni arrecati nel corso dei lavori di ristrutturazione;
-la sopportazione della spesa di euro 70.000 per l’adeguamento dell’impianto elettrico e per l’ottenimento del certificato prevenzione incendi.
A partire da pagina 11 (riga 3) i ricorrenti procedono al racconto dello svolgimento del processo. Si apprende che la Fondazione nel 2015 intimava sfratto per morosità nel pagamento di 43 mensilità pari ad euro 348.166,22, chiedendo la convalida dello sfratto e l’emissione dell’ingiunzione di pagamento nei confronti della conduttrice e dei soci illimitatamente responsabili. Dopo un generico richiamo alle difese svolte dai resistenti (pag. 11), che non dice alcunché sul tenore di esse, si riporta che il Tribunale convalidava lo sfratto, disponendo l’avvio del procedimento di mediazione . A pagina 12 è riportato il quesito posto al C.T.U. (fino alla riga 20), mentre da pagina 12 (riga 21) a pagina 14 (fino alla riga 23) sono riportate le risposte al quesito da parte del consulente d’ufficio e una sintesi della relazione integrativa.
Manca del tutto, pertanto, a fronte di elementi non necessari rispetto all’esigenza di esposizione chiara e sintetica del fatto sostanziale e processuale prescritta dal testo del n. 3 dell’art. 366 c.p.c. applicabile al giudizio, la rappresentazione della prospettazione difensiva svolta dagli odierni ricorrenti, il che impedisce di cogliere la rilevanza del riferimento alla c.t.u.
L’assoluta mancanza di individuazione delle difese svolte dai ricorrenti impedisce, poi, di comprendere i termini di quanto si espone in prosieguo con riferimento alla sentenza del primo grado (da pagina 14, ultimo capoverso, a pagina 19 fino a riga 7). Tanto perché ci si limita nelle ultime due righe della pag. 18 a dire che «sulla base delle motivazioni di cui sopra, il Giudice respinge la domanda dell’Hotel della Città di condanna al pagamento delle ulteriori indennità » e, quindi, a dire che «il giudice di primo grado respinge poi tutte le nostre ulteriori domande formulate di fronte al Tribunale di Forlì: – quella di risarcimento dei danni ulteriori individuati nelle difficoltà di gestione di 25 camere, rifiutate dai clienti, assumendo che non è sufficientemente determinata; – quella di danni conseguenti alla mancata esecuzione dei lavori di straordinaria manutenzione, facendo propria a riguardo la soluzione del C.T.U.; – quella relativa alla indennità di avviamento commerciale». In particolare, posto che da quanto si richiama
precedentemente si apprende solamente che è stata affrontata una questione di compensazione tra crediti a fronte dell’esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria eseguiti dalla conduttrice e autorizzati dalla locatrice, restano assolutamente oscuri i fatti costitutivi della domande evocate.
Di seguito, da pagina 19 (riga 12) a pagina 22 (fino a riga 15), il ricorso -ferma l’esiziale carenza di cui si è detto – dovrebbe illustrare il contenuto dei motivi di appello, ma non lo fa, salvo chiarire che il Tribunale, una volta operata la compensazione tra quantità corrispondenti, avrebbe dovuto condannare la Fondazione al pagamento di euro 504.122,68.
Parimenti in modo scarsamente intelligibile, al fine di comprendere il tenore della sentenza oggi impugnata, è quanto riportato da pagina 23 (penultimo capoverso) a pagina 25 (fino al penultimo capoverso), da cui emerge solamente che tutti gli appelli sono stati rigettati e che RAGIONE_SOCIALE non avrebbe mai chiesto prima la condanna della Fondazione al pagamento della somma eccedente la disposta compensazione.
Appare, dunque, incontestabile l’inosservanza dell’onere imposto dall’art. 366, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Il ricorso per cassazione deve essere redatto in conformità ai principi di chiarezza e sinteticità espositiva, occorrendo che il ricorrente selezioni i profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice posti a fondamento delle doglianze proposte, in modo da offrire al giudice di legittimità una concisa rappresentazione dell’intera vicenda giudiziaria e delle questioni giuridiche prospettate e non risolte o risolte in maniera non condivisa, per poi esporre le ragioni delle critiche nell’ambito della tipologia dei vizi elencata dall’art. 360 cod. proc. civ. L’inosservanza di tali doveri, tuttavia, può condurre ad una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione soltanto quando si risolva in una esposizione oscura o lacunosa dei fatti di causa o pregiudichi l’intelligibilità delle censure mosse alla sentenza gravata, così violando i requisiti di contenuto-forma stabiliti dai nn. 3 e 4 dell’art. 366 cod. proc. civ. (v. Cass., sez. un., 30 novembre 2021, n. 37552; sez. V, 30 aprile 2020, n. 8425; sez. I, 3 novembre 2020, n. 24432; sez. III, 14 marzo 2022, n. 8117; 12 gennaio 2024, n. 1352).
La prescrizione normativa risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e/o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass., sez. un., 20 febbraio 2003, n. 2602).
Per soddisfare tale requisito occorre che il ricorso per cassazione contenga, in modo chiaro e sintetico, l’indicazione delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello e, infine, del tenore della sentenza impugnata (v. Cass. 1352/2024, cit.).
La legittimità di tale requisito di accesso al giudizio di legittimità non può essere messa in dubbio in relazione al diritto di difesa delle parti, o a quello al giusto processo, tutelati dagli artt. 24 e 111 Cost., ovvero dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali (firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata -in uno al protocollo aggiuntivo firmato a Parigi il 20 marzo 1952 -con legge 4 agosto 1955, n. 848, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 221 del 24 settembre 1955 ed entrata in vigore il 10 ottobre 1955).
Come osservato da Cass. 1352/2024 cit.:
‘Sotto questo profilo, in particolare, giova ribadire che il requisito di contenuto -forma in questione è imposto in modo chiaro e prevedibile, non è eccessivo per il ricorrente e risulta funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte e segnatamente all’esigenza di «consentire alla Corte di cassazione di conoscere dall’atto, senza attingerli aliunde , gli elementi indispensabili per una precisa cognizione dell’origine e dell’oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni in esso assunte dalle parti» (Cass. Sez. U. 10/09/2019, n. 22575; Id. 16/05/2013, n. 11826). Mette conto, altresì, ancora una volta rammentare che la Corte europea, con la sua sentenza 15 settembre 2016, in
causa COGNOME c/ Italia (i cui principi sono stati ribaditi nella recente sentenza, depositata il 31 marzo 2021, nel caso Oorzhak c. Russia), ha riaffermato -perfino riconoscendo l’astratta ammissibilità del pure abrogato sistema del c.d. «filtro a quesiti» per l’accesso in cassazione -il basilare principio della piena legittimità di un sistema anche rigoroso di requisiti formali per l’accesso al giudizio di legittimità e per la redazione dei ricorsi introduttivi: il quale non solo non viola l’art. 6 CEDU, ma anzi è funzionale alla tutela del ruolo nomofilattico della Corte di legittimità e quindi al conseguimento dei valori fondamentali, benché non espressamente codificati nella Convenzione, della certezza del diritto e della buona amministrazione della giustizia; solo dovendo la compresente esigenza di tutela del diritto del singolo trovare un contemperamento, così che ogni soluzione possa superare il consueto vaglio di proporzionalità tra fine perseguito e mezzi impiegati (così, in motivazione, Cass. n. 26936 del 2016). A tale contesto ermeneutico di riferimento non apporta significative novità la pronuncia della Corte Edu 28/10/2021, Succi RAGIONE_SOCIALE: questa richiama anzi espressamente, confermandone i principi, tra le altre, la propria sentenza 15/09/2016, RAGIONE_SOCIALE. Essa ha bensì riscontrato la violazione dell’art. 6 § 1 della Convenzione con riferimento ad uno dei tre casi al suo esame (nel quale venivano in rilievo i diversi requisiti di ammissibilità di cui ai nn. 4 e 6 dell’art. 366 c od. proc. civ.), ma ciò ha fatto considerando, all’esito di un esame in punto di fatto degli atti ivi considerati, non certo che quei requisiti rispondessero di per sé e in astratto a inammissibile formalismo fine a sé stesso ma che nel caso in esame, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di cassazione, fossero stati in realtà rispettati (e, peraltro, lo si nota sommessamente, vi sarebbe da interrogarsi sul se la censura effettuata dalla CEDU non fosse in realtà prospettabile con il rimedio interno de ll’art. 391 -bis cod. proc. civ.). Quel che dunque è stata in quella sede censurata è la concreta applicazione delle formalità previste dall’ordinamento nazionale, che occorre osservare all’atto della proposizione del ricorso, in quanto nel caso esaminato r itenuta (l’applicazione, non le formalità) in contrasto con il diritto di accesso ad un tribunale perché di fatto ispirata ad eccessivo formalismo e tale, dunque, da impedire il pur possibile esame nel merito del ricorso proposto
dall’interessato. In tale prospettiva, la Corte EDU con la medesima pronuncia ha invece escluso la violazione della detta norma convenzionale in un altro caso contestualmente esaminato in cui veniva in considerazione proprio il requisito dell’art. 366 n. 3 cod. proc. civ. (ritenuto in quel caso non rispettato dalla S.C. per l’utilizzo della tecnica redazionale del c.d. assemblaggio), osservando in particolare che:
-l’interpretazione data all’esposizione sommaria dei fatti è compatibile con l’applicazione del principio dell’autosufficienza del ricorso che esige che la Corte di cassazione, ad una lettura globale del ricorso, sia in grado di comprendere l’oggetto della controversia nonché il contenuto delle censure che dovrebbero giustificare l’annullamento della decisione impugnata e sia in grado di pronunciarsi; -la giurisprudenza della Corte di cassazione prevede procedure chiare e definite (si vedano i paragrafi 17 e 30) per la redazione dell’esposizione dei fatti rilevanti; -la procedura davanti alla Corte di cassazione prevede l’assistenza obbligatoria di un avvocato che deve essere iscritto in un albo speciale, sulla base di determinate qualifiche, per garantire la qualità del ricorso e il rispetto di tutte le condizioni formali e sostanziali richieste; l’avvocato dei ricorrenti era quindi in grado di sapere quali fossero i suoi obblighi al riguardo, sulla base del testo dell’art. 366 e con l’aiuto dell’interpretazione della Corte di cassazione, definita «sufficientemente chiara e coerente». Ciò premesso, occorre quindi ribadire la piena legittimità del requisito in parola e che per soddisfarlo è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, ma anzi chiaro e sintetico, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed infine del tenore della sentenza impugnata (v. Cass. Sez. U. n. 2602 del 2003; ed ancora da ultimo, ex multis, Cass. 08/08/2023, n. 24149; 03/11/2021, n. 31318; 19/10/2021, n. 28929; 08/08/2023, n. 24149)’ .
Requisiti, come già detto, non sussistenti nel caso di specie, perché il ricorso è redatto in modo per nulla chiaro e sintetico, ma al contrario in modo sovrabbondante e oscuro, impedendo di conseguire la conoscenza dello svolgimento del giudizio e dei necessari elementi informativi per l’esame delle doglianze svolte.
Il Collegio rileva, comunque, che, quand’anche fosse possibile per absurdum -prescindere da tale preliminare e assorbente rilievo ed esaminare i motivi, il ricorso andrebbe incontro comunque ad analogo esito per altre ragioni intrinseche al loro contenuto.
3.1 Con il primo motivo è denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., ‘Violazione e falsa applicazione fra gli altri dell’ art. 1241 c.c. e 1362 c.c. e omesso e in ogni caso errato esame della posizione delle parti dal Giudice di appello’.
3.2. Il motivo è inammissibile.
Il motivo, pur nella sua lunga e tortuosa articolazione da pagina 25 a pagina 39 del ricorso, enuncia una critica non lineare, oscillante tra una non ben definita violazione dell’art. 1241 cod. civ. -l’invocazione dell’art. 1362 cod. civ. potrebbe essere riferita a quanto si legge a pagina 33 del ricorso, dove si piega chiaramente verso il riesame del merito – e una omessa pronuncia sulla domanda di condanna al pagamento dell’eccedenza pretesa a titolo di risarcimento del danno per la violazione degli artt. 1575 e 1576 cod. civ. Infine, la censura si trasforma in evidente valutazione del merito, là dove si afferma che in presenza di «compensazione impropria» la condanna al pagamento dell’eccedenza poss a essere disposta d’ufficio anche in appello .
Ad ogni modo, avuto riguardo alle parti della motivazione che i ricorrenti riportano (da pagina 27, riga 13, a pagina 29, riga 10 del ricorso), sia pure omettendo proprio il tenore delle domande su cui la corte bolognese argomenta, al posto del quale si mettono a pagina 27 (del ricorso) i puntini sospensivi, l’illustrazione presenta una pecca esiziale.
I ricorrenti, infatti, omettono di confrontarsi con le espresse e articolate argomentazioni della motivazione, pretendendo di criticarle senza espressamente
assumerle come oggetto della critica, di modo che questa Corte dovrebbe ricercare quali di quelle argomentazioni si intende censurare con i vari passaggi dell’illustrazione. Sicché, il motivo non ha la dignità di critica che esige la specificità necessaria del motivo di ricorso, giusta il consolidato principio di cui a Cass. n. 4741 del 2005, ribadito, ex multis , anche da Cass., Sez. Un., n. 7074 del 2017, in motivazione espressa sebbene non massimata sul punto. È palese che non vi può essere specificità senza individuare in modo specifico la motivazione criticanda.
Deve essere peraltro aggiunto che non si spiega nemmeno come una norma sull’esegesi del contratto possa venire in rilievo ai fini dell’interpretazione dell’atteggiamento processuale dei ricorrenti , che è stato esaminato dalla Corte d’appello sotto il profilo della carenza di domanda di condanna al dipiù, dopo la compensazione. Una discussione al riguardo esigeva l’argomentare su norme processuali, che nemmeno si individuano nell’illustrazione.
Oltre all’assenza di un’adeguata enunciazione della critica alla sentenza impugnata, questa Corte non può evitare di rimarcare la profonda perplessità della denuncia. Carenze, queste ultime, rese viepiù gravi per le rilevate criticità in ordine al requisito di contenutoforma previsto dall’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Con il secondo motivo viene denunciata , ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., ‘violazione specifica di quanto previsto dagli artt. 1575 e 1576 c.c.’
4.1. Il motivo è inammissibile perché del motivo di impugnazione non ha la sostanza. Trattasi di un non-motivo.
I ricorrenti, nel dedurre la violazione degli artt. 1575 e 1576 cod. civ., lamentano che, dato che è pacifico che le opere indicate nella scrittura del 2003 fossero di manutenzione straordinaria, non sarebbe dato comprendere perché, una volta disposta la compensazione pro concurrenti quantitate , la Fondazione non sia stata condannata al pagamento di euro 504.122,68.
Sennonché, anche a prescindere dal carattere meramente assertorio di quanto indicato a pagina 41 (secondo capoverso) a proposito della nozione di
«necessità» (‘Anche in questo caso le considerazioni fatte sul concetto di necessità da giurisprudenza e dottrina sono a nostro favore e confortano la tesi, che, peraltro, è anche del C.T.U. del Tribunale di Forlì e della Corte d’Appello di Bologna sull’esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile’), i ricorrenti alla fine si dolgono della mancata condanna già censurata con il primo motivo, in quanto è essa che non ha dato luogo non tanto al riconoscimento del diritto eccepito in compensazione, ma alla condanna alla sua soddisfazione e ciò per l’assenza di domanda.
Con il terzo motivo viene denunciata ‘Sostanziale omesso esame della risposta del CTU al quesito datogli dal Giudice … (Trib. Forlì) avente ad oggetto l’aumento del valore del fabbricato al momento della restituzione alla NOME NOME e NOME COGNOME rispetto al valore dello stesso alla consegna iniziale al conduttore. Omesso esame ed omessa applicazione dell’art. 204 1 c.c., azione generale di arricchimento ‘.
5.1. Il motivo non deduce alcun specifico paradigma dell’art. 360 cod. proc. civ. Fermo restando che della violazione dell’art. 2041 cod. civ. non v’è nemmeno traccia esplicativa, se si volesse riferire la menzione del l’omesso esame della risposta del c.t.u. al n. 5, nell’illustrazione difetta la rappresentazione del fatto omesso, ma si torna a postulare che quanto accertato dal C.T.U. doveva comportare quella condanna mancata ed inutilmente censurata con il primo motivo.
Il vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. nella sua attuale formulazione presuppone la sussistenza di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, non considerato dal giudice del gravame. I ricorrenti non indicano un fatto, ossia un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico -naturalistico, non assimilabile in alcun modo a “questioni” o “argomentazioni” che, pertanto, risultano irrilevanti, con conseguente inammissibilità delle censure irritualmente formulate (e in tal senso va inteso, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, v., tra le molte, Cass., sez. VI-1, ord., 26 gennaio 2022, n. 2268, il fatto cui fa riferimento il n. 5 dell’art. 360 come novellato).
La giurisprudenza di questa Corte, con indirizzo ormai unanime, ha chiarito come non rientrino nella nozione di fatto: (a) le argomentazioni o deduzioni difensive; (b) gli elementi istruttori in quanto tali, quando il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti; (c) una moltitudine di fatti e circostanze o il vario insieme dei materiali di causa (v. Cass. civ., sez. I, 29 febbraio 2024, n. 5375; Cass., sez. V, 23 febbraio 2024, n. 4942; Cass., sez. III, 15 febbraio 2024, n. 4163; Cass., sez. lav., 22 gennaio 2024, n. 2226; Cass., sez. III, ord., 14 dicembre 2023, n. 35106).
Non avendo indicato i ricorrenti il fatto decisivo pretermesso, tale intendendosi un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), o anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, v. Cass. 24 gennaio 2020, n. 12387; 16 gennaio 2020, n. 791; 8 settembre 2016, n. 1776; 26 luglio 2017, n. 18391.), il motivo si configura come inammissibile.
Quand’anche si volesse ritenere che il fatto omesso sia la rilevazione della stima di incremento di valore indicata dal C.T.U., disattesa dalla Corte d’appello, come già detto, a maggior ragione il motivo è inammissibile perché piega verso un riesame del merito della decisione in ordine al mancato accoglimento della domanda ex art. 2041 cod. civ., ben al di là del possibile controllo della motivazione limitato entro il c.d. «minimo costituzionale» ammesso dalle Sezioni Unite di questa Corte (v. Cass. civ., sez. un., 7 aprile 2014, nn. 8053/8054 ‘ è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della mot ivazione’).
Il ricorso, conclusivamente, deve essere dichiarato inammissibile. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna i ricorrenti alla rifusione solidale, delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 12.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della Corte