Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 2682 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 2682 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 04/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 31569/2020 R.G. proposto da
COGNOME NOME COGNOME domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore ed elettivamente domiciliata in
Oggetto: bancari
Contratti
R.G.N. 31569/2020
Ud. 23/01/2025 CC
ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che la rappresenta e difende
-controricorrente – avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO NAPOLI n. 1165/2020 depositata il 19/03/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 23/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza n. 1165/2020, pubblicata in data 19 marzo 2020, la Corte d’appello di Napoli, nella regolare costituzione dell’appellata RAGIONE_SOCIALE ha respinto l’appello proposto da NOME COGNOME e COGNOME RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza del Tribunale di Napoli n. 6688/12, pubblicata in data 5 giugno 2012, la quale, a propria volta, aveva respinto le domande proposte dagli appellanti nei confronti di MPS Banca Personale RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE.ARAGIONE_SOCIALEgià Banca 121 Promozione Finanziaria S.P.A.RAGIONE_SOCIALE, successivamente incorporata in RAGIONE_SOCIALE
NOME COGNOME e COGNOME avevano agito per ottenere la declaratoria di nullità del contratto denominato My Way concluso in data 12 luglio 2000 con Banca 121 Promozione Finanziaria S.P.A. e la conseguente condanna della convenuta sia alla ripetizione delle somme percepite in relazione al contratto sia al risarcimento dei danni cagionato con l’iscrizione dei medesimi nella Centrale Rischi.
Costituitasi RAGIONE_SOCIALE il giudice di prime cure, senza espletamento di attività istruttoria, aveva respinto la domanda.
La Corte d’appello di Napoli ha, in primo luogo, disatteso il gravame con il quale gli appellanti si dolevano della mancata ammissione dei mezzi istruttori da parte del giudice di prime cure.
Ha rilevato la Corte che gli appellanti, in sede di precisazione delle conclusioni innanzi al Tribunale, avevano omesso di riproporre le proprie istanze istruttorie, ed ha quindi concluso che le medesime dovevano ritenersi abbandonate e non più riproponibili in appello.
In virtù dell’assenza di riscontri probatori, quindi, la Corte d’appello ha ritenuto infondate le deduzioni degli appellanti concernenti sia la circostanza della conclusione del contratto al di fuori dei locali commerciali sia la sussistenza di un vizio del consenso.
Esaminando le ulteriori doglianze relative al mancato espletamento di consulenza tecnica da parte del giudice di prime cure, la Corte ha rilevato che le argomentazioni sulla cui scorta il Tribunale aveva disatteso anche tale sollecitazione -escludendo, sulla scorta degli elementi documentali disponibili, la nullità del contratto – non erano state efficacemente confutate dagli appellanti nel proprio gravame.
La Corte d’appello ha conseguentemente concluso che, sotto tale profilo, il gravame doveva ritenersi inammissibile ex art. 342 c.p.c., con conseguente passaggio in giudicato della decisione di primo grado, nella parte in cui la stessa aveva escluso la nullità del contratto, risultando quindi preclusa ogni ulteriore questione sulla validità del contratto medesimo.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Napoli ricorrono NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1, c.p.c.
I ricorrenti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è affidato a sei motivi.
1.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto per inesistenza e/o inadeguatezza delle argomentazioni del Giudice di merito in relazione agli artt. 115, 116, 177, 187, 188, 189 e 244 cpc.’ .
I ricorrenti impugnano la decisione dalla Corte d’appello, nella parte in cui la stessa ha ritenuto rinunciate le istanze istruttorie formulate nel giudizio di primo grado.
Argomentano che in sede di udienza di precisazione delle conclusioni innanzi al giudice di prime cure ‘si riportavano agii scritti difensivi già depositati, insistendo, in particolare sulla ammissione di CTU già richiesta nella memoria depositata ai sensi dell’art. 183 co. 6 n. 2 c.p.c.’ , reiterando le relative deduzioni nella comparsa conclusionale.
Deducono, quindi, che le istanze istruttorie non potevano intendersi rinunciate, dovendo tenere conto ‘di eventuali elementi sintomatici di segno contrario’ , come le deduzioni svolte negli scritti difensivi conclusivi.
1.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto per inesistenza e/o inadeguatezza delle argomentazioni del Giudice di merito in relazione agli artt. 187 co. 1 e 188 cpc.’ .
Si censura la decisione della Corte d’appello per aver omesso di valutare la rilevanza delle prove, sebbene fosse stata evidenziato il thema decidendum e la conseguente rilevanza delle prove.
1.3. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto per inesistenza e/o inadeguatezza delle argomentazioni del Giudice di merito in relazione agli artt. 187 co. 1, 188 e 191 cpc’ .
Le censure sono questa volta rivolte nei confronti della decisione della Corte territoriale di non dare corso a consulenza tecnica d’ufficio, evidenziando i ricorrenti che, per la natura della controversia, l’accertamento peritale risultava imprescindibile , con la conseguenza che la sentenza impugnata sarebbe viziata per avere la Corte d’appello, da un lato, negato il ricorso alla consulenza e, dall’altro lato, ritenuto ‘indimostrati i fatti che, per effetto della consulenza stessa, si sarebbero potuti, inv ece, provare’ .
1.4. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ‘violazione e falsa applicazione di norme di diritto per inesistenza e/o inadeguatezza delle argomentazioni del Giudice di merito in relazione all’art. 1322 c.c.’ .
I ricorrenti censurano la decisione impugnata nella parte in cui quest’ultima ha ritenuto che l’atto di appello non contenesse adeguata confutazione delle conclusioni cui era pervenuto il giudice di prime cure nell’affermare la validità del contratto concl uso con la controricorrente.
Argomentano che ‘l’intero giudizio è stato caratterizzato dalla richiesta di pronuncia di non meritevolezza dello schema contrattuale in base ai principi generali dell’ordinamento giuridico ai sensi dell’art. 1322 co. 2 c.c.’ e che ‘anche nell’atto di appello non vi è stato un riferimento generico o, come in modo colorito la Corte ritiene “en passant”, alle deduzioni del Tribunale’ , deducendo per contro di avere ampiamente argomentato i ‘punti di criticità del contratto in relazione alla normativa in materi a di trasparenza bancaria e finanziaria’ , con ampi richiami di giurisprudenza.
1.5. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto per inesistenza e/o inadeguatezza delle argomentazioni del Giudice di merito in relazione all’art. 342 co. 1 cpc’ .
Si impugna la declaratoria di inammissibilità ex art. 342 c.p.c. del gravame avverso il rigetto della domanda dei ricorrenti, contestandosi, da parte di questi ultimi, che vi fosse stata ‘alcuna acquiescenza’ alla decisione del giudice di prime cure.
Si deduce, per contro, che ‘del tutto chiara nell’atto di appello è difatti la censura della sentenza di primo grado relativamente alla qualificazione giuridica data dal Tribunale alla fattispecie contrattuale posta alla sua attenzione’ ; che ‘i motivi specifici di appello erano soprattutto quelli attinenti alla mancata attività istruttoria’ ; che ‘vi è comunque nell’atto di appello il riferimento alla asserita nullità del contratto oggetto del giudizio per il mancato rispetto da parte della banca proponente il piano finanziario delle più elementari norme in materia le quali si estrinsecano essenzialmente nella violazione dei doveri di diligenza e di buona fede per omessa informazione sui prodotti tale da determinare una situazione apparente ed indurre in errore l’altro contraente’ .
1.6. Con il sesto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio da parte del Giudice di merito in relazione all’art. 132 cpc’ .
I ricorrenti chiedono ‘che la Suprema Corte adita effettui un controllo di legalità della decisione in riferimento all’applicazione delle norme di diritto che regolano l’accertamento dei fatti e la formazione del convincimento giudiziale’ , denunciando l’omesso esame di fatti storici -‘rappresentati da: l’avvenuta stipula del contratto fuori dai locali commerciali (che avrebbe fondato il giudizio di nullità stante la
mancata previsione della clausola di salvaguardia inerente la facoltà di recesso), la mancata comunicazione di ogni informazione relativa ai rischi contrattuali, il riempimento di moduli in un momento successivo al raccoglimento della sottoscrizione degli aderenti, la mancanza di qualsiasi comunicazione tra la banca stipulante ed i contraenti aderenti in ordine alle tipologie di investimenti del denaro in prodotti finanziari’ -che ‘se esaminati, avrebbero determinato un esito diverso della controversia in quanto da essi sarebbe emerso il comportamento contra legem della società convenuta’ .
Il ricorso è, nel suo complesso, inammissibile.
2.1. L’inammissibilità dei primi due motivi da esaminare congiuntamente, considerata la correlazione che li caratterizza -discende dal mancato rispetto, da parte dei ricorrenti, del canone di specificità di cui all’art. 366, n. 6), c.p.c.
I due motivi -come in realtà il complesso del ricorso -procedono infatti ad un diffuso ma del tutto generico richiamo agli atti processuali, senza tuttavia operarne una adeguata riproduzione – eccezion fatta per la riproposizione dell’atto di appello nelle premesse del ricorso -svolgendo, poi, una serie di deduzioni caratterizzate da marcata genericità.
Si deve, anzi, osservare che lo stesso ricorso non contiene alcuna concreta contestazione in ordine a quella che costituisce circostanza fondamentale valorizzata dalla decisione impugnata, e cioè che in sede di precisazione delle conclusioni nel giudizio di primo grado non fossero state ripresentate le istanze istruttorie.
Risulta, poi, non specificato il comportamento processuale dei ricorrenti dal quale si sarebbe dovuta la mancanza di rinuncia alle istanze istruttorie, comportamento che, non solo non viene concretamente individuato e -soprattutto -fatto oggetto di
riproduzione e localizzazione negli atti processuali ma anche -a ben vedere – non risulta dedotto neppure ne ll’atto di appello per come riprodotto nelle premesse del ricorso, atteso che anche in tale atto ci si limitava alla generica deduzione della tempestività delle istanze istruttorie ed alla necessità di emulare altri giudizi nei quali similari domande erano state oggetto di istruzione probatoria ma non si impugnava concretamente il giudizio di implicita rinuncia alle istanze istruttorie operato dal giudice di prime cure.
Risultano, in secondo luogo, non specificate le istanze istruttorie di cui i ricorrenti lamentano il mancato accoglimento da parte del giudice di prime cure -eccezion fatta per la sollecitazione a svolgere consulenza tecnica d’ufficio non senza rilevare che le doglianze dei ricorrenti, nell’insistere sulla rilevanza delle istanze stesse, non intercettano neppure la ratio alla base della decisione della Corte d’appello -e cioè l’implicita rinuncia alle istanze medesime per mancata riproposizione ratio rispetto alla quale ogni deduzione di rilevanza risulta, evidentemente, recessiva.
2.2. Sempre ad un inadeguato inquadramento della ratio decidendi della decisione impugnata si deve l’inammissibilità del terzo motivo di ricorso, riferito al mancato espletamento di consulenza tecnica d’ufficio.
Infatti, la ragione fondamentale del rigetto di tale sollecitazione da parte della Corte territoriale è da ricondursi al giudizio di inammissibilità ex art. 342 c.p.c. che la stessa Corte ha formulato in ordine al motivo di appello col quale si impugnava il rigetto, da parte del giudice di prime cure, della domanda di accertamento della nullità del contratto, avendo, quindi, la Corte di merito ritenuto che il profilo dell’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio fosse assorbito dal
giudicato sceso sulla sentenza di primo grado per effetto della inammissibilità del gravame.
Questa Corte, del resto, deve ribadire che:
-la consulenza tecnica d’ufficio è un atto compiuto nell’interesse generale di giustizia e, dunque, nell’interesse comune delle parti, trattandosi di un ausilio fornito al giudice da un collaboratore esterno e non di un mezzo di prova in senso proprio (Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 11068 del 10/06/2020; Cass. Sez. 3 -Ordinanza n. 3717 del 08/02/2019), risultando esso sottratto alle preclusioni che concernono le istanze istruttorie delle parti (Cass. Sez. 2 Ordinanza n. 26709 del 24/11/2020), in quanto lo stesso è rimesso alla valutazione del giudice del merito e non è subordinato ad una ‘istanza’ delle parti, le quali possono solo sollecitare il giudice ad esercitare il proprio potere officioso, senza che sul punto possano assumere rilevanza i principi che regolano le istanze istruttorie delle parti;
-conseguentemente, il giudizio sulla necessità e utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica d’ufficio è rimesso esclusivamente al potere discrezionale del giudice di merito (Cass. Sez. L – Sentenza n. 25281 del 25/08/2023; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 7472 del 23/03/2017);
-altrettanto conseguentemente, la consulenza tecnica d’ufficio non può essere utilizzata al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume, ed è quindi legittimamente negata qualora la parte tenda con essa a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o offerte di prova, ovvero di compiere una indagine esplorativa alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n.
10373 del 12/04/2019; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 30218 del 15/12/2017; Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 3130 del 08/02/2011), risultando, pertanto, incensurabile la decisione -anche implicita – del giudice di merito di non procedere a consulenza tecnica d’ufficio , una volta constatata l’inadeguatezza delle allegazioni e delle prove offerte dalla parte.
2.3. L’inammissibilità del quarto motivo di ricorso discende invece dalla considerazione per cui l’impugnazione della declaratoria di inammissibilità del motivo di appello ex art. 342 c.p.c. da parte della Corte territoriale avrebbe dovuto essere operata -come in effetti è in parte avvenuto nel quinto motivo che si esaminerà in seguito -mediante la formulazione di censura di error in procedendo ex art. 360, n. 4), c.p.c. in relazione all’art. 342 c.p.c., e non certo denunciando la violazione di una norma sostanziale -l’art. 1322 c.c. di cui la Corte d’appello non ha fatto governo alcuno, essendosi limitata a ritenere che l’inammissibilità del gravame determinasse il formarsi del giudicato di rigetto sulla decisione assunta dal prime cure, senza quindi scendere nel merito della domanda.
Viene, quindi, ad operare il principio per cui nel giudizio di cassazione, i motivi che, a fronte della dichiarazione di inammissibilità del gravame, attingano direttamente l’apprezzamento di merito operato dal giudice d’appello, senza censurare l’ error in procedendo cui questi è incorso, così da rimuovere la ragione in rito che aveva impedito la valutazione nel merito delle censure mosse con l’atto di appello, determinano l’inammissibilità del ricorso (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 24550 del 11/08/2023).
2.4. È col quinto motivo che i ricorrenti vengono ad impugnare direttamente -seppur invocando l’art. 360, n. 3), c.p.c. la
declaratoria di inammissibilità ex art. 342 c.p.c. dell’appello e tuttavia, in questo caso, non può che ravvisarsi ancora una volta un mancato rispetto dell’art. 366, n. 6), c.p.c., risolvendosi il motivo di ricorso in una succinta serie di anodine considerazioni indirizzate, in gran parte, alle determinazioni assunte dal giudice di prime cure, senza in alcun modo operare una critica concreta e specifica della valutazione espressa dalla Corte d’appello.
2.5. Quanto al sesto ed ultimo motivo, si deve osservare che, essendo stato instaurato il giudizio di appello nel 2013, trova applicazione il disposto di cui all’art. 348 -ter c.p.c., dal momento che la decisione della Corte d’Appello non risulta in alcun modo essersi distaccata dal ragionamento del giudice di primo grado, né parte ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. Sez. L – Sentenza n. 20994 del 06/08/2019; Cass. Sez. 1 – Sentenza n. 26774 del 22/12/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5528 del 10/03/2014).
A tale constatazione – che già di per sé vale ad evidenziare l’inammissibilità del motivo si può poi aggiungere che i ‘fatti’ di cui si lamenta l’omesso esame non sono ‘fatti storici’, ma gli stessi ipotetici elementi costitutivi dell ‘originaria domanda, ritenuti non adeguatamente provati da due gradi di merito.
Il ‘controllo di legalità’ che i ricorrenti vengono a reclamare con il motivo di gravame, allora, altro non è se una sollecitazione ad operare un inammissibile giudizio sul merito della vicenda, dovendosi pertanto ribadire il principio per cui è inammissibile il ricorso per cassazione che, dietro l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei
fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. Sez. U – Sentenza n. 34476 del 27/12/2019; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8758 del 04/04/2017), atteso che il ricorso per cassazione non introduce un terzo grado di giudizio tramite il quale far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi, invece, come un rimedio impugnatorio, a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti (Cass. Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016; Cass. Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013).
Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna dei ricorrenti alla rifusione in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate direttamente in dispositivo.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della “sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto” , spettando all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (Cass. Sez. U, Sentenza n. 4315 del 20/02/2020).
P. Q. M.
La Corte, dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di Cassazione, che liquida in € 4.200,00 , di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima