Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 4015 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 4015 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 14/02/2024
ORDINANZA
nel ricorso R.G. n. 8710/2018
vertente tra
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , elettivamente domiciliata in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, che la rappresenta e difende in virtù di procura speciale in atti;
ricorrente
e
NOME COGNOME e NOME COGNOME ;
intimate
avverso: 1) sentenza non definitiva della Corte di appello di Napoli n. 3/2012, depositata in data 05/01/2012, resa nel procedimento R.G. n. 3697/2008; 2) sentenza definitiva della Corte di appello di Napoli n. 2524/2017, pubblicata il 07/06/2017, notificata il 16/01/2018, resa nello stesso procedimento;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Cons. NOME COGNOME;
letti gli atti del procedimento in epigrafe;
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME ed NOME COGNOME citavano in giudizio la RAGIONE_SOCIALE per ottenere il pagamento delle indennità di occupazione e di esproprio ad esse spettanti, in quanto proprietarie di terreni interessati dalla procedura ablativa, finalizzata alla realizzazione del polo interportuale di Marcianise -Maddaloni, che si era conclusa con l’adozione del decreto di esproprio n. 6 del 14/11/2008.
Con sentenza non definitiva n. 3/2013, la Corte di appello di Napoli ha rigettato l’eccezione preliminare di merito, sollevata dalla convenuta RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi, per brevità, ISE), che aveva eccepito l’inammissibilità della domanda per essere intervenuta tra le parti la cessione volontaria delle aree.
La decisione veniva subito impugnata per cassazione dalla ISE, ma questa Corte ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, in applicazione dell’art. 360, comma 3, c.p.c., perché riguardava una pronuncia relativa a questioni preliminari che non aveva definito, neppure parzialmente, il giudizio (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 22582 del 27/09/2017).
La causa proseguiva davanti alla Corte di appello, la quale, dopo gli accertamenti peritali, pronunciava la sentenza definitiva n. 2524/2017, con la quale determinava l’importo della giusta indennità di espropriazione in € 272.790,00 e l’importo della giusta indennità di occupazione legittima in € 39.917,02.
Avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione la ISE, affidato a tre motivi di impugnazione.
Le intimate, che hanno depositato in atti una procura speciale notarile, non si sono difese con controricorso.
La ISE ha depositato memoria ex art. 380 bis .1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., in relazione all’art. 12 l. n. 865 del 1971 e con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3
c.p.c., per avere la Corte di appello, nella sentenza non definitiva n. 3/2012, erroneamente interpretato come cessione volontaria un atto correttamente qualificabile come mera accettazione dell’indennità di esproprio.
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 245 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., avendo la Corte di appello, nella sentenza non definitiva n. 3/2012, ritenuto che la ISE avesse rinunciato alla richiesta di ammissione della prova per testi formulata in comparsa di risposta volta a dimostrare l’insussistenza del diritto delle intimate all’indennità di occupazione, essendo rimaste nella detenzione e nel godimento del bene fino all’emissione del decreto di esproprio – in ragione del fatto che, nella memoria ex art. 183 c.p.c., la RAGIONE_SOCIALE aveva insistito per la fissazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, mentre avrebbe dovuto considerare che, in comparsa conclusionale, la stessa aveva richiamato la comparsa di costituzione e risposta, ove era stata formulata la prova per testi e erano state indicate le persone da escutere.
Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della legge n. 865 del 1971, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., con riguardo alla data di riferimento per la determinazione della indennità di esproprio, ed anche la falsa applicazione dei principi in materia di estimo.
Secondo la ISE, la Corte di appello, nella sentenza definitiva n. 2524/2017, non si è resa conto che i consulenti tecnici non avevano fornito adeguate risposte ai quesiti posti con l’ordinanza della Corte territoriale del 02/04/2015, aggiungendo che, come pure aveva eccepito nelle proprie conclusionali, avevano determinato il valore dei suoli, che avrebbe dovuto essere rapportato alla data del decreto di esproprio (2001), e non alla data dell’instaurazione del giudizio (2008). La ISE ha formulato numerose critiche al criterio di stima impiegato, riportando gli
argomenti che aveva speso in proposito rilevando il mancato utilizzo del corretto metodo sintetico-comparativo, con conseguente ottenimento di una valutazione non corrispondente alla realtà.
Occorre prima di tutto rilevare che parte ricorrente non risulta avere depositato alcuna copia della sentenza non definitiva n. 3/2012 della Corte di appello di Napoli in questa sede censurata con il primo e il secondo motivo di ricorso, così violando l’art. 369, comma 2, c.p.c.
Come già precisato da questa Corte, tuttavia, non è configurabile la improcedibilità parziale del ricorso per cassazione in quanto, trattandosi di una conseguenza di natura sanzionatoria, derivante dal mancato compimento di un atto necessario della sequenza di avvio del processo, anche impugnatorio, non può che riguardare l’atto introduttivo del giudizio nel suo complesso, anche se la causa di improcedibilità afferisca solo a taluno dei motivi di impugnazione (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 5964 del 23/02/2022).
Rispetto all’attività introduttiva del processo ed alla legittimità di esercizio del correlato potere, l’improcedibilità non può pertanto che aversi con riferimento all’atto introduttivo del giudizio, anche di impugnazione, nel suo complesso inteso, senza che vengano in considerazione i singoli motivi destinati a rilevare, invece, a definizione della diversa categoria della inammissibilità, da difetto di autosufficienza, ad esempio, nel rapporto tra la censura proposta, il documento su cui la prima si fonda e l’allegazione e la trascrizione in ricorso ex art. 366, primo comma, nn. 4 e 6 c.p.c.
Il primo motivo di ricorso è comunque inammissibile, poiché la ricorrente censura la statuizione della sentenza non definitiva n. 3/2012, senza depositare la decisione impugnata e senza riportarne in modo specifico il contenuto, deducendo, inoltre, quale errore interpretativo, la valutazione in fatto delle risultanze di causa operata dalla Corte territoriale, solo genericamente richiamata, in quanto diversa da quella propria, considerata come
corretta, così risolvendosi il motivo in una inammissibile richiesta di riesame nel merito della valutazione dei fatti di causa.
Anche il secondo motivo di ricorso è inammissibile, poiché la ricorrente censura statuizioni della sentenza non definitiva n. 3/2012, senza neppure depositare la decisione impugnata e senza riportare il testo della decisione riguardante la mancata ammissione delle prove orali, limitandosi la parte a rappresentare le proprie ragioni, secondo le quali non poteva ritenersi implicitamente rinunciata tale richiesta istruttoria, senza neppure dedurre di avere reiterato la richiesta in sede di precisazione delle conclusioni definitive che hanno portato alla decisione definitiva n. 2524/2017 della medesima Corte d’appello.
5. Anche il terzo motivo è inammissibile.
Il motivo si sostanzia in plurime critiche alla CTU, recepita nella decisione impugnata, di cui però non è riportato il tenore e le argomentazioni, rilevandosi la censura in una mera illustrazione delle ragioni di parte in violazione, del principio di specificità sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c.
In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata non essendosi le intimate difese con controricorso.
In applicazione dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello spettante per l’impugnazione proposta, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso;
dà atto che, ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , d.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento da
parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione