Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 1645 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 1645 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 24755/19 proposto da:
-) RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
-) COGNOME NOME , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME;
contro
ricorrente e ricorrente incidentale nonché
-) RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore , domiciliato ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
contro
ricorrente e ricorrente incidentale nonché
-) RAGIONE_SOCIALE di NOME. COGNOME e RAGIONE_SOCIALE società semplice; NOME COGNOME;
– intimati – avverso la sentenza della Corte d’appello di Cagliari, RAGIONE_SOCIALE distaccata di Sassari, 8 febbraio 2019 n. 565;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20 novembre 2023 dal AVV_NOTAIO;
Oggetto: inammissibilità per violazione degli oneri di allegazione dei documenti su cui il ricorso si fonda
FATTI DI CAUSA
Nel 2014 la società RAGIONE_SOCIALE (d’ora innanzi, ‘la SC’) convenne dinanzi al Tribunale di Sassari la società RAGIONE_SOCIALE (d’ora innanzi, ‘la RAGIONE_SOCIALE‘), esponendo che:
-) aveva concesso in comodato alla società convenuta un fondo esteso per circa 94 ettari;
-) chiesta la restituzione del fondo, la società comodataria nulla aveva obiettato;
-) tuttavia il fondo risultava ancora occupato da NOME COGNOME, amico ed affine di NOME COGNOME, amministratore della RAGIONE_SOCIALE.
Concluse pertanto chiedendo la condanna della società convenuta alla restituzione del fondo.
La RAGIONE_SOCIALE si costituì nulla opponendo.
Nel giudizio intervenne volontariamente NOME COGNOME, esponendo che:
-) nel 1986 aveva stipulato oralmente sia con la RAGIONE_SOCIALE, sia con la RAGIONE_SOCIALE ( che nell’occasione aveva espresso la volontà negoziale per il tramite di NOME COGNOME), un contratto di soccida;
-) il contratto prevedeva il conferimento: a) da parte della RAGIONE_SOCIALE di un fondo di circa 90 ettari; b) da parte della RAGIONE_SOCIALE, di un fondo di circa tre ettari con sovrastanti costruzioni, oltre la metà del bestiame; c) da parte di NOME COGNOME, la restante metà del bestiame;
-) in virtù di quel contratto, egli aveva diritto di permanere nel possesso dei terreni suddetti;
-) l’iniziativa giudiziaria della SC, e la correlata indefensio della RAGIONE_SOCIALE in realtà costituivano lo strumento concepito dalle due società (i cui rispettivi soci erano membri della medesima famiglia) per estrometterlo dallo sfruttamento del fondo e tenere per sé i (non meglio precisati nel ricorso) ‘contributi europei’;
-) NOME COGNOME dal 2003 non aveva più presentato il rendiconto degli utili da ripartire.
Concluse pertanto chiedendo che:
-) il Tribunale declinasse la propria competenza in favore della RAGIONE_SOCIALE;
-) fosse riconosciuto il suo diritto a permanere nel possesso dei fondi della RAGIONE_SOCIALE e della SC;
-) fossero condannate la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE a rendere il conto e versargli i proventi a lui dovuti derivanti dallo sfruttamento del fondo.
Con ordinanza 27.8.2014 il Tribunale di Sassari dichiarò la propria incompetenza per materia in favore della RAGIONE_SOCIALE del medesimo Tribunale, dinanzi alla quale fu riassunto il giudizio.
Dopo la riassunzione – avvenuta ad iniziativa di NOME COGNOME – la SC si costituì replicando di non avere avuto mai alcun rapporto con NOME COGNOME, e chiedendone in via riconvenzionale la condanna al rilascio del fondo ed al risarcimento del danno, ferme restando le domande già formulate nei confronti della RAGIONE_SOCIALE.
La SC, inoltre, dedusse che NOME COGNOME e NOME COGNOMECOGNOME amministratore della RAGIONE_SOCIALE, avevano costituito una società di persone, la ‘RAGIONE_SOCIALE‘, d e dita all’allevamento di bovini e anch’essa codetentrice dei fondi appartenenti ad essa SC.
Chiese pertanto, ed ottenne, l’autorizzazione a chiamar e in causa la suddetta COGNOME, alla quale estese l’originaria domanda di rilascio del fondo.
Dopo la riassunzione la RAGIONE_SOCIALE si costituì replicando di non avere mai stipulato alcun contratto di soccida né di affitto con NOME COGNOME, col quale aveva avuto solo un rapporto di lavoro dipendente regolarmente remunerato.
Disconobbe, infine, la sottoscrizione e la conformità agi originali dei documenti prodotti in copia da NOME COGNOME.
Con sentenza 10.7.2015 n. 1084 il Tribunale di Sassari, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE:
-) rigettò, ritenendole indimostrate, tutte le domande formulate da NOME COGNOME;
-) condannò la RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME al rilascio dei fondi della RAGIONE_SOCIALE.
La sentenza fu appellata dal soccombente in via principale, dalla RAGIONE_SOCIALE e dalla RAGIONE_SOCIALE in via incidentale.
Con sentenza 8 febbraio 2019 la Corte d’appello di Cagliari, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE distaccata di Sassari, accolse in parte il gravame principale e rigettò gli incidentali.
In particolare la Corte d’appello:
-) ritenne privo di effetti il disconoscimento, da parte della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, dei documenti prodotti da NOME COGNOME, in quanto generico;
-) ritenne di conseguenza dimostrata l’esistenza d’un contratto di soccida tra NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE, in virtù del quale:
–) il soccidante ed il soccidario conferirono un identico numero di capi di bestiame da allevamento;
–) il soccidante ed il soccidario si obbligarono alla divisione in pari misura degli utili e delle spese;
–) la COGNOME legittimamente conferì nella soccida sia il fondo di sua proprietà, sia i 97 ettari di proprietà della SC, che le erano stati concessi in comodato;
–) il contratto di soccida era stato consensualmente risolto nel 2016, sicché era cessata la materia del contendere sulla domanda di rilascio;
–) la sola RAGIONE_SOCIALE era tenuta a pagare a NOME COGNOME il 50% degli utili realizzati e non divisi, quantificati dalla Corte d’appello dapprima in euro 154.090, somma poi corretta con ordinanza ex art. 287 c.p.c. del 21.6.2019 nel minor importo di euro 84.798,85.
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione:
-) dalla SC in via principale, con ricorso fondato su un solo motivo;
-) dalla RAGIONE_SOCIALE con ricorso successivo (da qualificare dunque come ricorso incidentale), fondato su quattro motivi.
NOME COGNOME ha resistito con due separati controricorsi alle due impugnazioni suddette; ha altresì proposto ricorso incidentale (fondato su un solo motivo) ed istanza di correzione di errore materiale della sentenza d’appello nel testo risultante dalla previa correzione.
La RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso al ricorso incidentale di NOME COGNOME, e depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il motivo unico del ricorso SC.
Con l’unico motivo del proprio ricorso la SC censura la sentenza d’appello nella parte in cui ha compensato le spese di tutti e due i gradi di giudizio.
Deduce la violazione degli articoli 91 e 92 del codice di rito, e sostiene che la sentenza da un lato è priva di motivazione, e dall’altro in ogni caso non ricorrevano i presupposti per la compensazione delle spese.
1.1. Va preliminarmente rigettata l’eccezione di giudicato sollevata da NOME COGNOME, con riferimento alla statuizione di compensazione delle spese del primo grado di giudizio (p. 5, secondo capoverso, del controricorso al ricorso principale della SC).
Infatti con l’atto d’appello la SC chiese la condanna di NOME COGNOME al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio, il che impedì la formazione del giudicato sulla regolazione delle spese per come compiuta dal Tribunale.
1.2. Il motivo unico del ricorso della SC è inammissibile ai sensi dell’art. 366, n. 4, c.p.c.. Esso infatti formula una censura non coerente col contenuto effettivo della sentenza impugnata.
Se è vero che l a Corte d’appello di Cagliari ha motivato la decisione di compensare le spese di lite tra la SC e le altre parti ‘ stante l’esito della controversia’ , non è men vero che gli atti giudiziari vanno valutati, qualificati ed interpretati non già estrapolando singoli passi, ma esaminandoli nel loro complesso.
E nel caso di specie, esaminando la motivazione della sentenza d’appello nel suo complesso, si rileva che la Corte d’appello ha ritenuto dimostrato che i
fondi oggetto del contendere fossero legittimamente detenuti da NOME COGNOME, in virtù d’un titolo opponibile alla SC (il contratto di soccida) .
Questo accertamento, nonostante la sopravvenuta cessazione della materia del contendere, a causa del rilascio spontaneo dei fondi, comportò la soccombenza virtuale della SC su almeno due questioni: a) la legittimazione di NOME COGNOME ad intervenire nel giudizio; b) la titolarità in capo a NOME COGNOME d’un titolo opponibile anche alla SC.
Ciò comportò la legittimità del provvedimento di compensazione delle spese, nel presupposto che la decisione nel merito, ove fosse avvenuta, avrebbe negato la fondatezza della prospettazione della SC, basata sull’inesistenza di alcun titolo di godimento a favore del COGNOME, con conseguente situazione di soccombenza sul punto di SC.
Pertanto la valutazione complessiva della sentenza d’appello rivela che questa ha compensato le spese non già immotivatamente, ma facendo applicazione del principio della reciproca soccombenza, e che legittimamente tale regola è stata applicata tanto alle spese del giudizio d’appello, quanto alle spese del primo grado, in quanto la riforma in appello della sentenza di primo grado comportò ope legis , ex art. 336 c.p.c., la caducazione delle statuizioni sulle spese contenute nella sentenza del Tribunale.
Questa reale ed evidente ratio decidendi (la soccombenza reciproca), tuttavia, non viene censurata dal motivo qui ine esame, del quale pertanto va dichiarata l’inammissibilità, come anticipato.
2. Il primo motivo del ricorso RAGIONE_SOCIALE.
Col primo motivo la RAGIONE_SOCIALE prospetta il vizio di nullità della sentenza, ai sensi dell’articolo 132, secondo comma, n. 4, c.p.c..
Sostiene che la sentenza sarebbe nulla a causa d’una insuperabile contraddittorietà.
La contraddittorietà consisterebbe, secondo la ricorrente, in ciò:
-) nella sentenza d’appello a p. 11 si afferma che due dei documenti prodotti da NOME COGNOME (quelli contraddistinti dal n. 8 e dal n. 18, contenenti vari conteggi manoscritti) non erano stati validamente contestati
dalla RAGIONE_SOCIALE, ma solo da NOME COGNOME, nella veste di legale rappresentante della società chiamata in causa RAGIONE_SOCIALE;
-) per contro a p. 8 si afferma che NOME COGNOME si era costituito in giudizio ‘ sia in proprio che quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE ‘. Secondo la ricorrente, tra queste due affermazioni sussisterebbe un insanabile contrasto.
2.1. Il motivo – a prescindere da qualunque giudizio sul corretto assolvimento dell’onere di indicazione ed allegazione, di cui all’art. 366, n. 6, c.p.c. – è inammissibile, in quanto prospetta una contraddizione inesistente, e dunque muove da un erroneo presupposto interpretativo del contenuto della sentenza impugnata . Anch’esso dunque, come il ricorso principale, non si correla all’effettiva motivazione del provvedimento impugnato. La Corte d’appello , in sostanza, ha così ragionato: in giudizio ci sono – oltre NOME COGNOME – tre parti (Su RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE); due di esse non hanno validamente disconosciuto i documenti prodotti da NOME COGNOME, a causa della genericità della contestazione; la terza sì; la parte che ha disconosciuto validamente i documenti, tuttavia, non era destinataria di domande da parte del COGNOME, e il suo disconoscimento non poteva giovare alle altre due.
Il primo motivo del ricorso proposto dalla RAGIONE_SOCIALE, tuttavia, trascurando questa ratio decidendi, discorre di ‘contraddizione’ della sentenza impugnata , prescindendo da quella appena riassunta, che è la effettiva e reale motivazione: di q ui l’inammissibilità della censura.
2.2. Ad abundantiam , reputa tuttavia il Collegio opportuno aggiungere che tra le due affermazioni sopra riportate e ritenute ‘contraddittorie’ dalla RAGIONE_SOCIALE non vi è alcuna contraddizione.
Infatti la circostanza che, in conseguenza della chiamata in causa della società RAGIONE_SOCIALE, il legale rappresentante di questa abbia ritenuto di costituirsi anche ‘in proprio’, ed anche ‘in proprio’ abbia disconosciuto i documenti prodotti da NOME COGNOME, non contraddice la statuizione secondo cui la
contestazione generica formulata dalle restanti parti doveva ritenersi tamquam non esset.
3. Il secondo motivo del ricorso RAGIONE_SOCIALE.
Il secondo motivo del ricorso RAGIONE_SOCIALE contiene plurime censure.
3.1. Con una prima censura la ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe attribuito ‘ un significato del tutto opposto alle prove utilizzate, stravolgendone il valore e giungendo a decisioni insostenibili ‘. T ale censura è spiegata sostenendo che la Corte d’appello avrebbe tratto dai documenti nn. 8 e 18, depositati da NOME COGNOME, conclusioni incoerenti con il loro contenuto oggettivo. Lamenta per tale ragione la violazione degli artt. 2697, 2702, 2712, 2719 c.c., nonché degli artt. 115 e 116 c.p.c..
3.1.1. La censura è manifestamente inammissibile perché, al di là dei non pertinenti riferimenti normativi indicati nella rubrica del motivo, nella sostanza investe la valutazione delle prove.
In ogni caso va ricordato che, per quanto attiene la violazione dell’art. 115 c.p.c., il motivo è inammissibile altresì in quanto la violazione di tale norma può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre. (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, Rv. 640829 – 01);
Allo stesso modo, p er quanto attiene la pretesa violazione dell’art. 116 c.p.c., la violazione di tale norma può dirsi sussistente, e costituire valido motivo di ricorso per cassazione, solo in un caso: quando il giudice di merito attribuisca pubblica fede ad una prova che ne sia priva oppure, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova a valutazione vincolata, come l’atto pubblico (Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016; il principio è stato
altresì ribadito dalle Sezioni Unite di questa Corte, nella decisione pronunciata da Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, al § 14 dei ‘Motivi della decisione’). Per contro, la valutazione delle prove in un senso piuttosto che in un altro, ovvero l’ome ssa valutazione di alcune fonti di prova, non costituisce di per sé violazione dell’art. 116 c.p.c., e quindi un error in procedendo .
3.2. Con una seconda censura la ricorrente sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato gli artt. 214 e 215 c.p.c.. Nell ‘ illustrazione di questa censura si sostiene una tesi così riassumibile:
-) NOME COGNOME produsse, fra gli altri, i documenti nn. 8 e 18, contenenti dei conteggi manoscritti;
-) tutte le controparti contestarono la conformità all’originale di tali documenti, prodotti in copia;
-) NOME COGNOME non produsse gli originali di tali documenti, né mai formulò tempestiva istanza di verificazione della scrittura privata.
Di conseguenza quei documenti non potevano essere utilizzati dalla Corte d’appello.
3.2.1. La censura è inammissibile per due indipendenti ragioni.
In primo luogo, è inammissibile per violazione degli oneri di indicazione ed allegazione prescritti dall’art. 366 n. 6 c.p.c..
Oneri che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, vanno assolti riproducendo o riassumendo i documenti su cui il motivo di ricorso si fonda, indicando quando siano stati prodotti in giudizio e dove siano localizzabili, anche solo dichiarando di volersi esentare dalla produzione a norma dell’art. 369, secondo comma, n. 4 c.p.c., facendo riferimento all’eventuale presenza nel fascicolo d’ufficio , così come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 22726 del 03/11/2011).
In secondo luogo, la censura in esame è inammissibile perché non correlata alla ratio decidendi . La Corte d’appello , infatti, ritenne generica la contestazione, e una contestazione generica non fa sorgere l’onere di proporre l’ istanza di verificazione.
3.3. Con una terza censura, infine, la società RAGIONE_SOCIALE sostiene che i documenti nn. 8 e 18 depositati da NOME COGNOME (dai quali la Corte d’appello ha tratto la prova dell’esistenza di un contratto fra questi e la RAGIONE_SOCIALE), erano privi di sottoscrizione, e di conseguenza non vi era alcuna necessità di un disconoscimento formale.
3.3.1. La censura a parte il fatto che anch’essa non si correla alla ratio decidendi , ed anch’essa non rispetta , come la precedente, gli oneri imposti dall’art. 366, n. 6, c.p.c. -è inammissibile per difetto di interesse a proporla, ex art. 100 c.p.c..
Se davvero, infatti, i documenti di cui si discorre non rientravano nel genus delle scritture private, la Corte d’appello legittimamente li ha utilizzati ai fini del decidere, e diventa irrilevante lo stabilire se siano stati validamente od invalidamente disconosciuti.
4. Il terzo motivo del ricorso RAGIONE_SOCIALE.
Col terzo motivo la società RAGIONE_SOCIALE prospetta la violazione di quattro diverse norme del codice di procedura civile (artt. 115, 116, 214, 215) e di quattro diverse norme del codice civile (artt. 2697 2702, 2712, 2719), ai sensi dell’articolo 360, numero 3, c.p.c.
Al di là di tale intitolazione, nella illustrazione del motivo si sostiene che i documenti dai quali la Corte d’appello ha tratto la conclusione dell’esistenza di un credito di NOME COGNOME nei confronti della RAGIONE_SOCIALE in realtà riguardavano tutt’altro rapporto giuridico, e cioè quello fra NOME COGNOME e la società RAGIONE_SOCIALE.
4.1. Anche questo motivo, oltre ad essere insanabilmente generico e irrispettoso degli oneri di indicazione, allegazione e localizzazione già ricordati nei §§ precedenti, è manifestamente inammissibile perché investe la valutazione delle prove.
5. Il quarto motivo del ricorso RAGIONE_SOCIALE.
Col quarto motivo la società RAGIONE_SOCIALE prospetta il vizio di omesso esame di vari fatti decisivi.
I ‘ fatti decisivi ‘ che si assumono non esaminati sono costituiti da tre prove documentali; dalla sentenza di primo grado e da due atti processuali (una memoria difensiva depositata dalla RAGIONE_SOCIALE e l’atto di intervento depositato da NOME COGNOME).
5.1. Il motivo è manifestamente inammissibile.
Le Sezioni Unite di questa Corte hanno stabilito che ‘ l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti’ (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830). L’illustrazione del motivo dice omessa la considerazione di documenti e della sentenza, che non sono fatti, ma semmai li rappresentano. Ed in realtà, per sostenere il suo assunto la ricorrente ha bisogno di argomentare sul contenuto dei documenti e della sentenza e, dunque, dei fatti rappresentati, in tal modo non denunciando però omesso esame di fatti, ma dolendosi della loro valutazione.
Aggiungasi che la medesima decisione appena ricordata impone, a chi intenda denunciare in sede di legittimità il vizio di omesso esame d’un fatto, l’onere di indicare se e quando i fatti rappresentati nei documenti e nella sentenza di primo grado siano stati oggetto di argomentazione davanti al giudice di appello, onere in questo caso non assolto.
6. Il ricorso incidentale di NOME COGNOME.
Con l’unico motivo del proprio ricorso incidentale NOME COGNOME lamenta, ai sensi dell’articolo 360 n. 3 c.p.c., la violazione dell’articolo 27 della legge 203 del 1982.
Nell ‘ illustrazione del motivo si sostiene una tesi così riassumibile:
-) l’articolo 27 della legge 203 del 1982 stabilisce che tutti i contratti agrari nei quali vi sia il conferimento di un fondo rustico sono soggetti alle norme sull’affitto agrario;
-) nel caso di specie la Corte d’appello ha accertato in concreto che NOME COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE avevano concluso un contratto per effetto del quale la seconda conferì un fondo rustico;
-) il contratto stipulato fra le parti doveva perciò restare soggetto alle norme sull’affitto. e non a quelle sulla soccida, con la conseguenza che NOME COGNOME aveva diritto alla restituzione di tutte le somme pagate alla RAGIONE_SOCIALE nella veste di soccidario a titolo di compartecipazione alle spese.
6.1. Il motivo non deve essere esaminato, in quanto il ricorso incidentale è inefficace.
La sentenza d’appello impugnata incidentalmente da NOME COGNOME fu pubblicata l’8.2.2019.
Il ricorso incidentale proposto da NOME COGNOME è stato notificato il 17.9.2019, e quindi oltre il termine semestrale di cui all’art. 327 c.p.c. scaduto l’8.8.2019 (al presente giudizio, infatti, avente ad oggetto una controversia agraria, non s’applica l’istituto della sospensione feriale dei termini, giusta la previsione di cui agli artt. 1 e 3 della legge 7 ottobre 1969, n. 742, e dell’art. 92 del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12).
Il ricorso incidentale proposto da NOME COGNOME fu dunque un ricorso incidentale tardivo: consentito sì dall’art. 334 c.p.c., ma a condizione che il ricorso principale sia ammissibile. Nel caso di specie, invece, tanto il ricorso della RAGIONE_SOCIALE, quanto quello della RAGIONE_SOCIALE sono stati dichiarati inammissibili, con la conseguenza che il ricorso incidentale tardivo di NOME COGNOME, così come prescritto dall’art. 334 c.p.c., ‘ perde ogni efficacia ‘.
7. La richiesta di ‘correzione’.
E’ formulata espressamente in via subordinata e resta assorbita.
Le spese del presente giudizio di legittimità vanno compensate interamente tra le parti, in considerazione della soccombenza reciproca quanto alla RAGIONE_SOCIALE ed alla RAGIONE_SOCIALE; ed in considerazione dell’esito complessivo della lite, quanto a NOME COGNOME.
P.q.m.
(-) dichiara inammissibile il ricorso principale;
(-) dichiara inammissibile il ricorso incidentale della RAGIONE_SOCIALE;
(-) dichiara inefficace il ricorso incidentale di NOME COGNOME;
(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della RAGIONE_SOCIALE e della RAGIONE_SOCIALE, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza RAGIONE_SOCIALE civile della