Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7381 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7381 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2956/2021 R.G. proposto da :
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2853/2020 depositata il 02/11/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 13/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
– Il ricorso riguarda la sentenza della Corte d’appello di Venezia che ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Vicenza che revocato il decreto ingiuntivo per l’importo di 83.389,62 a titolo di saldo di un’apertura di credito in conto corrente cui la sig. NOME COGNOME aveva fatto opposizione deducendo l’illegittima applicazione di interessi usurari, di capitalizzazione trimestrale degli interessi debitori, di commissione di massimo scopertoall’esito di CTU, aveva condannato l’opponente al pagamento della somma di 54.852,91 euro in favore della Cassa Rurale e Artigiana di Brendola Credito Cooperativo s.c.p.a.
2.- La Corte d’appello nel condannare la ricorrente NOME COGNOME al pagamento della minor somma di 53.913,46 euro, ha:
(i) respinto il motivo di gravame relativo all’erronea qualificazione del contratto che, ancorché denominato di apertura di credito in conto corrente, sarebbe stato era in realtà un mutuo, considerato il contenuto dell’atto e il concreto svolgimento del rapporto documentato dagli estratti conto e dalla ricostruzione operata dal CTU, e connotato dal sistematico utilizzo e ripristino della provvista, coerente con la denominazione e conforme allo schema legale regolato dagli artt. 1842 e ss.;
(ii) dichiarato inammissibile per difetto dei requisiti dell’art. 342 il motivo di gravame relativo all’accertamento negativo di tassi usurari (del tutto genericamente formulato e mancante dell’allegazione del tasso di interesse in concreto applicato dalla banca, del TEGM del periodo e di ogni elemento utile al loro raffronto);
(iii) confermato la legittimità della c.m.s. (recepita nel regolamento contrattuale attraverso richiamo alle condizioni indicate nel foglio informativo e determinabile essendo prevista la periodizzazione di addebito (trimestrale), la misura (0,500%) e il montante sul quale calcolarla (massimo scoperto nel trimestre);
(iv) respinto le censure relative all’applicazione degli interessi moratori nel corso del rapporto- anche agli effetti del preteso sconfinamento del tasso soglia e all’applicazione di interessi di mora in pari misura dalla domanda al soddisfo, dal momento che all’epoca del recesso dell’istituto dal rapporto di c/c, in mancanza di pagamento estintivo del debito, questo continuava a produrre detti interessi;
(v) ritenuto, invece, fondato il terzo motivo relativo l’illegittima capitalizzazione degli interessi dopo il 30.6.2000, in quanto non aveva costituito oggetto di specifica negoziazione (essendosi limitata la CRA Brendola a pubblicare le nuove condizioni di reciprocità sulla Gazzetta Ufficiale e a notiziare la correntista) laddove (in conformità a quanto previsto dalla giurisprudenza di legittimità, v. Cass. n. 9140/2020) era necessaria un’espressa pattuizione scritta; perciò ha epurato il saldo anche dell’appostazione indebita a tale titolo per il periodo successivo al 30.6.2000 sino alla chiusura del rapporto
– Contro la sentenza ha proposto ricorso la sig. NOME COGNOME affidandolo a tre motivi di cassazione. Banca Delle RAGIONE_SOCIALE, nuova denominazione assunta dalla convenuta. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il primo motivo di ricorso denuncia « violazione dell’art. 360 comma 1 n. 2 c.p.c. e violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c..- Motivazione carente » per avere la Corte d’appello errato nella qualificazione del contratto oggetto di controversia ritenendo che il
rapporto negoziale intercorso tra le parti forse da qualificarsi come contratto di mutuo, poiché mentre l’apertura di credito e’ caratterizzata dalla creazione di una disponibilità per un periodo di tempo determinato o indeterminato di una certa somma che il correntista può utilizzare secondo la sua necessità, così determinando il momento in cui passerà in sua proprietà, nel caso di specie era pacifico il fatto che la sig. NOME necessitava della somma erogata nell’immediato, trasferita in un’unica soluzione, il che integrava tutti gli elementi che qualificavano la causa del contratto come di mutuo; la Corte avrebbe omesso l’esame di circostanze e fatti documentalmente provati e decisivi di cui la ricorrente aveva offerto ogni riscontro assolvendo il proprio onere probatorio ex art. 2967 c.c.
1.1- Il motivo è inammissibile in quanto è tutto versato in fatto, mirando ad una revisione dell’accertamento motivatamente compiuto dal giudice di merito (di cui s’è detto poco sopra), onde va ribadito il consolidato principio per cui, traducendosi l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto di un negozio giuridico in una indagine di fatto affidata al giudice di merito, il ricorrente per cassazione, al fine di impugnare detto ragionamento decisorio deve far valere la violazione dei canoni legali di interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, precisando, altresì, in quale modo e con quali considerazioni il giudice del merito si sia discostato dai canoni legali assunti come violati o se lo stesso li abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti non potendo, invece, la censura risolversi nella mera contrapposizione dell’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata (v. ex multis Cass. n. 9461/2021; Cass. n.16987/2018; Cass. n. 28319/2017), come fa invece in tal caso la ricorrente; peraltro invocando del tutto impropriamente la violazione dell’art.
2697 c.c. che si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne è gravata secondo le regole dettate da quella norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia errato nel ritenere che la parte onerata abbia assolto tale onere, poiché in questo caso vi è soltanto un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; Cass. 5 settembre 2006, n. 19064; Cass. 14 febbraio 2000, n. 2155; Cass. 2 dicembre 1993, n. 11949).
Sotto quest’ultimo profilo, la ricorrente, denuncia una motivazione carente (anomalia motivazionale che non può essere più denunciata quale vizio di legittimità come chiarito dalla nota sentenza delle Sezioni unite n. 8053/2014) e accenna alla omessa considerazione di un fatto decisivo (a suo dire l’erogazione nell’immediato della somma sul conto trasferita in un’unica soluzione), senza, tuttavia, che la doglianza assurga alla soglia di nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, 1° co., n. 4 e 6 c.p.c. che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte, esige che si denunci l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia): tutti elementi che vanno illustrati -evidentemente- ove la parte ricorrente intenda ottenerne il vaglio in questa sede- indicando con quali affermazioni la sentenza d’appello sarebbe incorsa in detta violazione e quale sarebbe il fatto storico decisivo di cui avrebbe omesso l’esame, il «come» e il «quando» tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua «decisività»; mentre « l’ omesso esame di elementi istruttori in quanto tale -quale risulta nel caso
di specie l’omissione lamentata, visto che la Corte di merito nel motivare ha preso in considerazione proprio lo svolgimento in concreto del rapporto quale risultava dagli estratti conto non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti » (Cass. Sez. Un. n. 8053/2014, confermata da innumerevoli pronunce di questa Corte). Fermo, comunque, che, avendo la decisione gravata confermato la sentenza di primo grado per le stesse ragioni, inerenti ai medesimi fatti, poste a base della decisione impugnata, il motivo sotto detta specifico profilo di censura sarebbe inammissibile anche ex art. 360 comma 4 c.p.c.
2.- Il secondo motivo denuncia in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e 4 c.p.c un error in iudicando per motivazione apparente, la violazione dell’art. 1815 c.c., e omesso esame su un punto decisivo della controversia; reputa la ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto in modo corretto della consulenza tecnica di parte che « per il principio di autosufficienza è da intendersi qui integralmente riportata e trascritta », la quale aveva esplicitato la realtà fattuale del rapporto di credito inter partes e rispetto alla quale la motivazione sarebbe del tutto carente, poiché il consulente tecnico di parte aveva dimostrato che il TAEG applicato dall’istituto di credito convenuto era stato superiore in molti casi al tasso soglia tenendo conto della giurisprudenza consolidata per cui, ai fini della verifica dell’usurarietà di un mutuo, deve tenersi conto degli interessi moratori previsti in contratto al momento della stipula indipendentemente dal fatto che si verifichi in concreto un ritardo nel pagamento delle rate e prescindendo dalla circostanza che siano stati effettivamente richiesti contabilizzati o riscossi interessi moratori. Perciò la motivazione sul punto della Corte d’appello sarebbe apparente e anche errata
ove il giudice aveva ritenuto il motivo inammissibile ex articolo 342 c.p.c., avendo invece con l’atto d’appello la sig. COGNOME esposto specificamente i motivi dell’impugnazione.
2.1- Il motivo è inammissibile.
Anzitutto nella sua formulazione esso prospetta genericamente e cumulativamente vizi di natura eterogenea, prospettando una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quelli della violazione di norme di diritto, sostanziali e processuali, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione (cfr. Cass. n. 4979 del 2024; Cass. nn. 35782, 30878 e 27505 del 2023; Cass. nn. 11222 e 2954 del 2018; Cass. nn. 27458, 23265, 16657, 15651, 8335, 8333, 4934 e 3554 del 2017; Cass. nn. 21016 e 19133 del 2016; Cass. n. 3248 del 2012; Cass. n. 19443 del 2011). Una tale impostazione, che assegna al giudice di legittimità il compito di dare forma e contenuto giuridici alle lagnanze della parte ricorrente al fine di decidere successivamente su di esse, finisce con il sovvertire i ruoli dei diversi soggetti del processo, gravando l’altra parte del compito di farsi interprete congetturale delle ragioni che il giudice potrebbe discrezionalmente enucleare dal conglomerato dell’esposizione avversaria.
Peraltro nella specie la formulazione del motivo non permette di cogliere con chiarezza le diverse doglianze prospettate, rendendole di fatto scindibili, onde consentirne l’esame separato, giacché neppure è illustrato con quali argomenti e affermazioni la sentenza d’appello sarebbe incorsa nell’omesso esame di un fatto decisivo, fermo che laddove detto omesso esame dovesse ritenersi individuato dalla ricorrente nella consulenza tecnica di parte, ciò non farebbe che confermare la manifesta inammissibilità del
motivo in quanto il fatti storico decisivo per il giudizio non può riguardare elementi di prova offerti dalla parte.
Perciò il motivo si riduce ad una inammissibile pretesa di sottoporre alla Corte di legittimità il riesame delle risultanze istruttorie già compiuto dal giudice di merito -cui compete in via esclusiva -con motivazione (che riguarda il difetto dei requisiti dell’art. 342 c.p.c. del motivo di gravame relativo all’accertamento negativo di tassi usurari, in quanto del tutto genericamente formulato e mancante dell’allegazione del tasso di interesse in concreto applicato dalla banca, del TEGM del periodo e di ogni elemento utile al loro raffronto) che non risulta né carente né apparente -come genericamente dedotto dalla ricorrente, dovendosi ribadire che la motivazione è apparente laddove « il vizio logico della motivazione, la lacuna o l’aporia che si assumono inficiarla» ne rendano appunto « apparente il supporto argomentativo» (v. Cass. Sez. Un. 8053/2014 cit.).
Anche in questo caso si tratta, perciò, di censure del tutto inammissibili in quanto versate in fatto non riconducibili al vizio di legittimità di violazione o falsa applicazione di legge dedotto.
– Il terzo motivo denuncia nullità della sentenza o del procedimento ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. con riguardo alla statuizione della Corte d’appello a proposito della commissione di massimo scoperto; reputa la ricorrente che dalla motivazione della sentenza non sarebbe dato percepire il fondamento della decisione poiché non sarebbe « conoscibile il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento apparendo l’anomalia motivazionale caratterizzata da assoluta inconciliabile contraddittorietà»
3.Il motivo è manifestamente inammissibile, poiché è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il
vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (Cass. S.U. 7 aprile 2014, n. 8053). Nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, 1° co., n. 6, e 369, 2° co., n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare perché, e con riferimento a quali passaggi argomentativi la sentenza gravata svelerebbe siffatti anomalie motivazionali: il che, nella specie, è invece affidato ad una affermazione apodittica laddove la Corte d’appello ha affermato – con sintesi e chiarezza -la legittimità della pattuizione relativa alla c.m.s. in quanto « (recepita nel regolamento contrattuale attraverso richiamo alle condizioni indicate nel foglio informativo e determinabile essendo prevista la periodizzazione di addebito (trimestrale), la misura (0,500%) e il montante sul quale calcolarla (massimo scoperto nel trimestre) ».
4. – Il ricorso in conclusione va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento delle spese in favore di parte controricorrente, liquidate nell’importo di euro 4700,00 cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis.
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1° Sezione