Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29028 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29028 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 18279/2024 r.g. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in Foggia, alla INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO , che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in atti.
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE
-intimata – avverso la SENTENZA, n. cron. 135/2024, depositata dalla CORTE D’APPELLO DI BARI il 30/01/2024.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno 22/10/2025 dal AVV_NOTAIO.
FATTI DI CAUSA
Con atto ritualmente notificato, NOME COGNOME promosse opposizione avverso l’atto di precetto notificatogli ad istanza della Banca Popolare di Milano s.c. a r.l. (ora RAGIONE_SOCIALE BPM S.p.A., per brevità: Banca) in forza di cambiale agraria emessa il 31 gennaio 2011 per l’importo di Lire 100.000.000, eccependo la nullità del titolo ai sensi della legge n. 185/1992 e chiedendo la sospensione dell’efficacia esecutiva del precetto da ritenersi nullo, invalido ed inefficace, con condanna della opposta al pagamento delle spese di lite.
Costituitasi la Banca convenuta, che contestò integralmente l ‘avverso assunto e propose domanda riconvenzionale volta ad ottenere la condanna dell’opponente al pagamento , in suo favore, della somma di €uro 26.910,53, quale scoperto del conto corrente n. 7481 presso di essa intrattenuto dal COGNOME, l’adito tribunale rigettò l’opposizione di quest’ultimo .
Il gravame promosso dal COGNOME avverso quella decisione fu dichiarato inammissibile dall’adita Corte di appello di Bari, con sentenza del 30 gennaio 2024, n. 135, pronunciata nel contraddittorio con RAGIONE_SOCIALE BPM RAGIONE_SOCIALE.p.a .
In particolare, quella Corte ritenne che « L’appellante era ben a conoscenza che le vicende del conto corrente 7481 intestato al COGNOME. COGNOME erano state oggetto di separato giudizio, tra le stesse parti, definito con sentenza passata in giudicato. È incontestabile che il giudicato copra il dedotto ed il deducibile, al fine di garantire certezza ai rapporti giuridici tra le parti ed evitare contraddittorietà di pronunciamenti. È pertanto inammissibile ogni richiesta di intervenire a sostanziale modifica di una sentenza passata in giudicato, sul presu pposto, dichiarato nell’atto di appello, che ‘la sentenza n. 374/2014 che ha visto soccombente la BPM si è limitata, in riferimento al quantum dovuto dalla banca al COGNOME, al conteggio dei soli interessi anatocistici quantificati e liquidati in € 17.768,79 e non anche alla quantificazione dei tassi cd. ultralegali seppur accertati’. Non si comprende pertanto quale altro provvedimento avrebbe potuto adottare il Giudice di prime cure, atteso che il passaggio in giudicato della sentenza pronunciata dal Tribunale di Apricena avrebbe impedito comunque qualsiasi tipo di pronuncia in merito alla domanda riconvenzionale spiegata dalla Banca ».
Per la cassazione di questa sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidandosi a quattro motivi. RAGIONE_SOCIALE è rimasta solo intimata.
Il 12 dicembre 2024, il consigliere delegato ha depositato una proposta di definizione anticipata del giudizio ex art. 380bis cod. proc. civ., come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022.
Con istanza del 21/22 gennaio 2024, il RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la decisione del loro ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi di ricorso denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione dell’art. 352 c.p.c., nel testo ratione temporis applicabile, anteriore alla riforma cartabiana che ha introdotto il vigente art. 352 c.p.c. e -giusta il rinvio di cui all’art. 359 c.p.c. violazione dell’art. 276 c.p.c., con conseguente nullità insanabile ex art. 158 e art. 161 c.p.c. della sentenza n. 135/2024, derivante dalla mutata composizione del collegio giudicante, il tutto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c., laddove vi è stato mutamento della composizione del Collegio ». Si assume che « dalla udienza di precisazione delle conclusioni del 21 febbraio 2022, l’ordinanza di rimessione in istruttoria n. cronologico 2056/2023 dell’8 giugno 2023 ha mutato la composizione del Collegio giudicante sostituendo il AVV_NOTAIO con l’AVV_NOTAIO »;
II) « Violazione dell’art. 352, comma 1, c.p.c., nel testo ratione temporis applicabile, anteriore alla riforma cartabiana che ha introdotto il vigente art. 352 c.p.c., con conseguente nullità della sentenza ex art. 161 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c. laddove -dopo la modificazione della composizione del Collegio giudicante intervenuta con ‘Ordinanza di rimessione in istruttoria n. cronol. 2056/2023 dell’8 giugno 2023’ il Giudice non ha invitato le parti a precisare le conclusioni e non ha disposto lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica a norma dell’art. 190 c.p.c. »;
III) « Violazione dell’art. 306, comma 1, c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c., laddove la Corte d’appello -nonostante la banca opposta avesse rinunciato durante il giudizio di primo
grado alla propria domanda riconvenzionale senza però ottenere l’accettazione dell’opponente ha omesso di pronunciarsi sulla domanda riconvenzionale e non ha ammesso CTU tecnico contabile, ma ha invece confermato la dichiarazione di cessazione della materia del contendere pronunciata in primo grado »;
IV) « Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., laddove la sentenza impugnata non ha dato rilevanza sostanziale al contenuto della sentenza n. 347/2014 del 16/04/2014, passata in giudicato nella parte in cui non si è pronunciata su tutta la domanda, prendendo atto della rinuncia dell’attore al ricalcolo degli interessi usurari ».
Va rilevato, innanzitutto, che la menzionata proposta ex art. 380bis cod. proc. civ. ha il seguente tenore:
« 1. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Invero, come agevolmente emerge dalla decisione oggi impugnata e dall’ordinanza di rimessione in istruttoria del presidente della seconda sezione civile della Corte di appello di Bari dell’8 giugno 2023, n. 2056 (quest’ultima rinvenibile nel fascicolo di ufficio, cui la Corte ha accesso stante la natura di error in procedendo del vizio denunciato), il giudizio di gravame n.r.g. 1216/2019, ivi instaurato dal COGNOME, già introitato per la decisione all’udienza del 18 febbraio 2022, con assegnazione dei t ermini per gli scritti conclusionali ex art. 190 cod. proc. civ., successivamente era stato rimesso sul ruolo perché, il 30 maggio 2023, era intervenuto il collocamento a riposo di uno dei componenti del Collegio. Nulla si evince, peraltro, da quei provvedimenti, né dal ricorso in esame, se, ancor prima di detto collocamento a riposo, fosse stata almeno deliberata una qualche decisione dal Collegio. Pertanto, l’avvenuta sostituzione di quel componente con altro consigliere aveva imposto (altrimenti derivandone la nullità della decisione eventualmente resa da un nuovo Collegio) la rimessione della causa sul ruolo, ex art. 276 cod. proc. civ., per consentire la nuova precisazione delle conclusioni innanzi al Collegio nella sua diversa composizione. Basta qui solo ricordare che: i) giusta Cass. n. 15660 del 2020, «Ai sensi dell’art. 276,
comma 1, c.p.c., alla deliberazione della decisione “possono partecipare soltanto i giudici che hanno assistito alla discussione”, e la norma va interpretata nel senso che i giudici che deliberano la sentenza devono essere gli stessi dinanzi ai quali sono state precisate le conclusioni. In grado di appello, pertanto, in base alla disciplina di cui al novellato art. 352 c.p.c., il collegio che delibera la decisione deve essere composto dagli stessi giudici dinanzi ai quali è stata compiuta l’ultima attività processuale, cioè la discussione o la precisazione delle conclusioni, conseguendone la nullità della sentenza nel caso di mutamento della composizione del collegio medesimo»; ii) secondo Cass. n. 14318 del 2024, «In tema di vizio di costituzione del giudice collegiale, è al momento della pronuncia della sentenza, ossia della sua deliberazione in camera di consiglio, che il magistrato deve essere legittimamente preposto all’ufficio per poter validamente esercitare la potestas iudicandi , mentre i successivi momenti dell’ iter formativo, e cioè la stesura della motivazione, la sottoscrizione e la pubblicazione, non incidono sulla sostanza della pronuncia, pertanto diviene irrilevante che dopo la decisione uno dei componenti dell’organo collegiale, sia trasferito, collocato fuori ruolo o a riposo»).
1.2. Nessun rilievo, infine, può assumere, in questa sede, l’intervallo temporale intercorso tra la scadenza dei termini suddetti e la concreta adozione della descritta ordinanza presidenziale di rimessione sul ruolo.
Il secondo motivo è inammissibile, atteso che la corte distrettuale ha espressamente disatteso l’istanza di rimessione in termini del COGNOME e la sua odierna doglianza non contiene una chiara e specifica censura avverso questa statuizione.
I motivi terzo e quarto sono così rispettivamente formulati: «Violazione dell’art. 306, comma 1, c.p.c. e dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) e n. 4), c.p.c., laddove la Corte d’appello nonostante la banca opposta avesse rinunciato durante il giudizio di primo grado alla propria domanda riconvenzionale senza però ottenere l’accettazione dell’opponente -ha omesso di pronunciarsi sulla domanda riconvenzionale e non ha ammesso CTU tecnico contabile, ma ha invece confermato la dichiarazione di cessazione
della materia del contendere pronunciata in primo grado» e «Violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., laddove la sentenza impugnata non ha dato rilevanza sostanziale al contenuto della sentenza n. 347/2014 del 16/04/2014, passata in giudicato nella parte in cui non si è pronunciata su tutta la domanda, prendendo atto della rinuncia dell’attore al ricalcolo degli interessi usurari».
3.1. Gli stessi, scrutinabili congiuntamente perché connessi, si rivelano manifestamente inammissibili, stante l’assoluta carenza di loro argomentazione (il ricorrente afferma che «Per il terzo e il quarto motivo di ricorso è sufficiente l’esposizione successiva alla espressione ‘laddove’»). Conseguentemente, non si confrontano in alcun modo con le puntuali rationes decidendi come concretamente motivate dalla corte territoriale, sicché difettano di specificità, atteso che, come del tutto condivisibilmente chiarito da Cass. n. 21563 del 2022 (cfr. pag. 8 e ss. della motivazione), da Cass. n. 35782 del 2023 (cfr. pag. 41 e ss. della motivazione) e da Cass. n. 25495 del 2024 (cfr. pag. 7-8 della motivazione), «l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), cod. proc. civ., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., a pena d’inammissibilità della censura, non solo “di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione” , ma anche “di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 28 ottobre 2020, n. 23745, Rv. 659448-01), confrontandosi sempre con l’effettivo ” decisum ” che sorregge la sentenza impugnata. Difatti, il motivo di impugnazione “è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino
in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo”, sicché, in riferimento al ricorso per Cassazione, “tale nullità, ris olvendosi nella proposizione di un ‘non motivo’, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 4), cod. proc. civ.” (così Cass. Sez. 3, sent. 11 gennaio 2005, n. 359, Rv. 579564- 01; in senso analogo anche Cass. Sez. 3, sent. 31 agosto 2015, 17330, Rv. 636872-01, nonché, in motivazione, Cass. Sez. Un., sent. 20 marzo 2017, n. 7074, non massimata sul punto; conforme anche Cass. Sez. 1, ord. 24 settembre 2018, n. 22478, Rv. 650919-01)».
3.1.1. In altri termini, i motivi suddetti si rivelano privi di una specifica censura giuridica e logica alla motivazione della sentenza impugnata, nelle parti qui di interesse, perché, piuttosto che esplicitare, in maniera puntuale, le ragioni per cui essa sarebbe errata (confrontandosi concretamente, dunque, con le sue argomentazioni in diritto e confutandole), sostanzialmente si limitano a richiamare le stesse argomentazioni e le medesime deduzioni articolate negli atti difesivi dei gradi di merito già scrutinate e ritenute infondate dalla corte di appello. Sotto questo punto di vista, quindi, i presenti motivi appaiono una mera ripetizione delle difese che, ove questa Corte giungesse all’esame funzionale degli stessi, dovrebbero ritenersi già (peraltro correttamente) respinte.
3.2. A tanto va solo aggiunto che, come ancora recentemente ricordato da Cass. n. 1259 del 2024, «Il principio in virtù del quale il giudicato copre il dedotto e il deducibile concerne i limiti oggettivi del giudicato, il cui ambito di operatività è correlato all’oggetto del processo e riguarda, perciò, tutto quanto rientri nel suo perimetro, estendendosi non soltanto alle ragioni giuridiche e di fatto esercitate in giudizio, ma anche a tutte le possibili questioni, proponibili in via di azione o eccezione, che, sebbene non dedotte
specificamente, costituiscono precedenti logici, essenziali e necessari, della pronuncia» .
Il Collegio reputa affatto condivisibile tali conclusioni, che, pertanto, ribadisce interamente, facendole proprie, altresì evidenziando che le stesse non sono state specificamente confutate dalla parte ricorrente, limitatasi unicamente a chiedere la decisione del ricorso, nemmeno depositando una memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
In conclusione, quindi, l’odierno ricorso di NOME COGNOME deve essere respinto, senza necessità di pronuncia quanto alle spese di questo giudizio di legittimità, essendo RAGIONE_SOCIALE rimasta solo intimata.
4.1. Alla stregua di quanto sancito, affatto condivisibilmente, dalla qui condivisa giurisprudenza di questa Corte ( cfr., ex aliis , Cass., SU, n. 27195 del 2023; Cass. n 27947 del 2023; Cass. nn. 5243 e 26383 del 2024; Cass. nn. 7385 e 8668 del 2025) -secondo cui, in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380bis cod. proc. civ. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), nel caso in cui il giudizio in conformità alla proposta, l’omessa costituzione dell’intimato, se da un lato preclude la statuizione ex art. 96, comma 3, cod. proc. civ. (non ricorrendo una situazione che consenta una pronuncia sulle spese), dall’altro ne impone la condanna al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di cui all’art. 96, comma 4, cod. proc. civ., alla stregua dell’autonoma valenza precettiva del richiamo a tale ultima disposizione, contenuto nel citato art. 380bis , comma 3, cod. proc. civ., che si giustifica in funzione della ratio di disincentivare la richiesta di definizione ordinaria a fronte di una proposta di definizione accelerata (esigenza che sussiste anche nel caso di mancata costituzione dell’intimato) –NOME COGNOME va condannato al pagamento dell’ulteriore somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
4.2. Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13,
comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte del medesimo ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso di NOME COGNOME e lo condanna al pagamento della somma di € 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera del medesimo ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME